20160120 vauro renzi 

Un librone con 1.300 vignette di uno dei più bravi autori di satira in Italia. Vauro ha sempre usato il cinismo, la ferocia, il cattivo gusto per colorare i suoi personaggi col nasone. Per questo si è salvato dall'irrilevanza

In un articolo pubblicato il 5 novembre su Internazionale, lo scrittore Nicola Lagioia ha provato a misurare la febbre alla satira italiana. Un buon modo per ripercorrere gli ultimi decenni di un genere che ha conosciuto periodi di grande vitalità e ora sembra attraversare una fase di profonda depressione, in cui riescono a regalarci ancora lampi di genio i titoli di Lercio e le vignette di una piccolissima squadra di disegnatori, più o meno gli stessi di trenta anni fa (quaranta ormai). Ovvero l’immenso Altan, Ellekappa e quell’irriducibile di Vauro. A questi andrebbe aggiunto il “nostro” Fulvio Fontana che silenziosamente ogni giorno sulla sua pagina Facebook (e poi sulle nostre pagine) regala piccoli capolavori di leggerezza, commentando con ironia invidiabile gli accadimenti quotidiani. Nel bell’articolo di Lagioia si parla delle testate che hanno fatto la storia della satira in Italia, a partire dal Male fino a Cuore — passando per Tango — e si parla anche della versione televisiva della satira, ovvero quel qualcosa che assai difficilmente riesce ad andare un po’ più in là dello sberleffo, della caricatura, tanto che assai spesso è addirittura gradita a coloro che ne dovrebbero essere il bersaglio (quei politici che sorridono ai monologhi di Crozza, hai presente?). È una lettura consigliabile soprattutto a chi, sfogliando i giornali oggi, potrebbe pensare che la satira sia quelle noiosissime illustrazioni che pubblica il Manifesto o i meme che infestano i social network.

Tuttovauro 250X Ancora più utile può essere leggere il volume che Piemme ha pubblicato sul finire dello scorso anno, “Tutto Vauro. Sessanta mi dà tanto”. Un librone con circa 1.300 delle sue vignette. Vauro Senesi, sessantenne di Pistoia, ha sempre usato il cinismo, la ferocia, il cattivo gusto per colorare i suoi personaggi col nasone. Non ha mai badato ad essere garbato e forse questo lo ha salvato dall’irrilevanza di cui sono ammalati la gran parte dei suoi colleghi. Perché non è che oggi manchino, ma appaiono per lo più disinnescati, caricati a salve, decorativi. Vauro invece è cattivo nel suo mestiere, a volte pure troppo (ameno per la legge, visto che qualche causa l’ha persa). E soprattutto fa ridere, perché una delle caratterisiche della satira — forse la principale — è proprio che deve far ridere. Se ne parlava appunto con Fulvio Fontana alla cena di redazione prima di Natale: persiste un equivoco (soprattutto a sinistra) secondo cui la satira debba far riflettere, per cui va bene anche se non fa ridere. Un equivoco pari a quello (soprattutto a destra) secondo cui se fa ridere (e basta) è satira. In realtà — e le vignette di Vauro lo dimostrano in maniera esemplare — se non fa ridere allora non è satira. È illustrazione, è fumetto, è quello che si vuole ma la satira per sua natura deve far ridere.  Ma se fa solo ridere è comicità. La satira è critica attraverso l’ironia. Se manca la critica o manca l’ironia allora non è satira. Poi può essere più o meno efficace, riuscita, felice, nichilista, ben disegnata, ma senza questi due ingredienti si parla di altro.

vauro senesiTornando al librone di Vauro, non è suddiviso cronologimente ma per temi. Il primo capitolo, “Uno tira l’altro”, prende di mira i capetti che si sono avvicendati alla guida del Paese; a cominciare dall’ultimo, Renzi il boy scout, per risalire a Mounty Killer, il Fanculotto, Povero Silvio e via così. Il secondo,“Porco mondo”, è invece dedicato alle questioni che da sempre stanno più a cuore al Vauro “civile”: il colonialismo occidentale, il razzismo, l’attacco alla democrazia, i migranti. Poi c’è la parentesi a colori, con le tavole letteralmente colorate. Quindi “Ma che bel paese” in cui scorre la cronaca e i disegni del satiro che pubblica quotidianamente, un tempo sul Manifesto e oggi su Il fatto. “Bassifondi” è il capitolo dedicato a cricche, tangenti, ruberie, facce di culo, ovvero lo zoo Italia. “Oppio per oppio” è l’ora di religione, l’ambito in cui  (forse) Vauro dà il meglio di sé: dissacrante come questo Paese di baciapile merita. In “Altro mondo” la protagonista è la morte, perché sul manuale del bravo satiro c’è scritto grande che nessun tema è precluso e Senesi in questo è addirittura pedante, non rinfodera il pennarello innanzi a niente e a nessuno. Infine “’uomo con la matita” in cui è lui stesso ad essere ritratto nelle vignette, in compagnia o da solo (l’ho già detto che non risparmia nessuno). La bonus track si chiama “XXX. Le vignette dello scandalo” e raccoglie quelle risultate particolarmente indigeste, che gli sono valse querele e processi (veri o mediatici).

Arrivati a questo punto dell’articolo, che Vauro sia fra i nostri autori preferiti non dovrebbe essere un mistero. Adoriamo il suo tratto (il disegno meriterebbe un discorso a parte, magari ne parliamo un’altra volta), adoriamo il suo puntualissimo essere fuori tempo e lo ringraziamo perché ci fa ridere senza smettere di restare vigili e critici.

 

Gli autori di Vorrei
Antonio Cornacchia
Antonio CornacchiaWebsite: www.antoniocornacchia.com

Sono grafico e art director, curo campagne pubblicitarie e politiche, progetti grafici ed editoriali. Siti web per testate, istituzioni, aziende, enti non profit e professionisti.
Scrivo soprattutto di arti e cultura.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.