Il drammaturgo in un incontro alla Feltrinelli di Monza parla di teatro e storia, Resistenza e attualità. Nel video letture dal suo "I me ciamava per nome: 44.787. Vierundvierzigtausendsiebenhundertsiebenundachtzig. Risiera di San Sabba"
L'intervista
Lei guarda la tv?
Cerco di guardarla il meno possibile. Quando non la guardo sono molto felice. Io fumo solo quando non ci sono le mie figlie, cioè dopo che sono andate a letto la sera tardi. Siccome vado a dormire alle due e mezza, in quelle ore leggo, fumo e qualche volta guardo la tv.
La guarda molto poco eppure lei parla dei telespettatori come dei "teledeportati di massa".
Perchè so. Perchè vedo i miei figli. Si parla di una media di 4 ore passate davanti alla tv per i ragazzi. Loro non hanno la capacità di distinguere fra quello che passa in televisione e la realtà, fra Cappuccetto Rosso e un televisore che prende realmente fuoco. Assorbono tutto allo stesso modo. E questo vale anche per gli adulti, con effetti devastanti.
Cosa può essere un antidoto secondo lei?
Leggere, stare con gli amici, confrontarsi, parlare, andare a teatro, girare. Evitare tutto quello che, come dice Don Gallo, elimina il confronto. La televisione impone un atteggiamento passivo, quando la si guarda non si parla. E invece potrebbe essere uno strumento fantastico, meraviglioso.
Foto da "La nave fantasma" di Paolo Arosio
Lei è molto legato ad un teatro che ha uno stretto rapporto con la storia. Come c'è arrivato?
La storia è sempre stata un mio pallino. È importante sapere cosa abbiamo dietro, non possiamo comprendere cosa ci accade oggi se non conosciamo quanto è accaduto cinquant'anni fa. A Trieste, quando ho studiato Lettere con indirizzo storico, c'era un gruppo molto importante di studiosi: Rino Sala, Giovanni Miccoli, Enzo Collotti, Fogar, Ganapini. Il loro lavoro colpiva perchè riguardava l'immediato passato; parlavano della guerra, di quello che non si studiava a scuola ne' da nessun'altra parte. Non se ne parlava perchè c'è stata una rimozione scientifica. Addirittura si arrivava a cambiare i titoli delle canzoni da Awshwitz a Nel vento pur di non parlare di certe cose.
Oggi c'è chi, dopo il voto, ha come prima preoccupazione quella di riscrivere i libri di storia.
Perchè ha paura di fare i conti con il proprio passato di fascista e di mafioso. Si vuole far credere che della Resistenza si sia sempre parlato, troppo. Ma quando? i ragazzi non sanno niente, neppure di fatti più recenti: a Milano il 60 per cento degli studenti crede che la strage di Piazza Fontana sia opera delle Brigate Rosse, figurarsi cosa sanno della Seconda guerra mondiale.
Com'è oggi il 25 aprile a Milano?
A me viene tristezza, perchè si va verso la cancellazione di una pagina fondamentale per questa nazione, dal punto di vista etico, non solo storico. Non so quale sia il motivo, ma rimane la tendenza di questo popolo a rimanere fascista, con caratteristiche razziste, xenofobe.
Foto da "La nave fantasma" di Paolo Arosio
Qual è il suo rapporto con il territorio, il quartiere, la città, la regione?
Diciamo che negli ultimi tempi è pessimo. Una volta avevo i miei tempi, frequentavo i bar, mi perdevo. Da quando c'è il Teatro della Cooperativa, dal 2001, si corre tanto, ci sono troppe cose da fare, c'è molto poco tempo. E mi dispiace molto perchè è nei bar che rubi le battute migliori per gli spettacoli. Mi mancano certi riti, perchè mi piace la gente che ha tempo per la noia, per il gioco, per la riflessione, che non fa niente.
Un atteggiamento un po' meridionale.
Ti assicuro che anche a Trieste e a Milano c'è gente così. Sempre meno! Adesso sempre al cellulare, anche sul tram, una schiavitù.
E in generale, il teatro oggi che rapporto ha con la quotidianità, con la società?
Io credo che sia diventata un'isola. Il teatro è sempre stato legato alla realtà, all'attualità. Magari usando metafore per aggirare censure e pericoli: lo stesso Shakespeare parlava di quanto gli accadeva intorno senza usare i nomi dei veri sovrani per non rischiare di finire appeso per il collo. Noi oggi conosciamo la Grecia e la sua storia anche attraverso il teatro. Anche per questo non mi piace definire, il mio, "teatro civile" o "di narrazione" o "impegnato", perchè tutto il teatro lo è alla fin fine. Io faccio soprattutto teatro, che poi ci siano elementi di storia è un aspetto aggiunto. Io cerco di collocarmi in maniera indegna in quel filone, molto forte a Milano, nato al Piccolo. Un teatro che per costituzione ha uno stretto rapporto con la città, con le fabbriche, con gli operai. Un teatro pubblico, d'arte ma popolare. Lo stesso di Dario Fo e dell'Elfo. Un teatro che respirava quanto accadeva in città. Ecco questo legame oggi si è rotto, a Milano e in generale. Il teatro si è estraniato dalla vita quotidiana delle persone. Io parto dal presupposto che i miei testi devono essere comprensibili tanto da uno stradino quanto da un intelletuale. A volte invece ho l'impressione che certo teatro si sia messo in una sua nicchia. E' giusto che ci sia un'avanguardia che cerchi e scopra nuovi linguaggi, ci mancherebbe altro, ma mi sembra che questo teatro abbia soppiantato nell'attenzione della critica, nei finanziamenti pubblici quello un po' più popolare. Alla fin fine anche Strehler faceva le sue baracconate, colpi di scena, cose che ricordavano il circo. Cose molto popolari in fin dei conti. Gli intellettuali adesso fanno meno parte della vita. Questa è una critica che rivolgo a certa sinistra bada. Non si accorgono di quello che succede intorno e si beano nel loro ambiente. Se il teatro non ha a che fare con la vita, secondo me c'è qualcosa che non funziona.
Attore, regista e autore teatrale, dopo l'esordio a Trieste si è trasferito a Milano per lavorare con Giorgio Strehler, Gabriele Salvatores, Elio De Capitani e Ferdinando Bruni. Nel 1995, per il cinquantennale della Liberazione, ha diretto la lettura scenica "Risiera di San Sabba: La memoria dell’offesa", basata su testimonianze di sopravvissuti allo sterminio nazifascista. Il testo è stato poi adattato per il teatro con il titolo "I me ciamava per nome: 44.787" e pubblicato da Baldini e Castoldi Dalai. Nel 2000 ha debuttato alla Maratona di Milano la prima versione del monologo "Mai Morti", interpretato da Bebo Storti; nella sua forma definitiva, il testo è stato in tournée per tre anni. Nel 2001 Sarti ha aperto nel quartiere Niguarda di Milano il Teatro della Cooperativa. Insieme a Giovanni Maria Bellu e Bebo Storti, nel 2004 ha messo in scena "La nave fantasma", storia del battello che nella notte di Natale del 1996 colò a picco in Sicilia con a bordo di 283 emigranti.
Biografia a cura di dopamina da Zam.it