Giuseppe Catozzella ha scritto un libro tosto ("Espianti", ed. Transeuropa, 300 pp, € 14,90) in cui, anche se l'autore è un trentenne italiano, non si narrano sfighe amorose e drammi da tinello. E non è neppure un libro sulla narrativa, di quelli che si ripiegano su stessi senza andare da nessuna parte. Della trama, della storia, del traffico di organi che ne sta alla base (e che lega inesorabilmente alla cronaca il tutto) Catozzella parla nell'intervista video allegata. In queste poche righe ci piace invece raccontare la bella sorpresa di aver letto un libro di respiro, capace di alzare il tiro oltre l'ombelico dell'autore, trasportandoci su strade vicine e lontane, attraversando i nostri uffici ma senza morirci dentro d'inedia. Affrontando lunghi percorsi e temi che vanno decisamente oltre le insopportabili quattro mura della routine microquotidiana che troppi libri italiani hanno raccontato negli ultimi decenni.
Qui invece si ha il coraggio, forse la presunzione, di narrare la miseria civile di un paese - l'Italia - in cui la corruzione e la criminalità sembrano aver preso definitivamente il sopravvento; in cui tutto, ma proprio tutto, viene considerato merce: corpi, voti, esistenze. E lo fa, per fortuna, con le armi della letteratura: non è un saggio, non è un noioso dossier, ma un romanzo avvincente (all'americana potremmo dire visti i riferimenti a McCarthy, Palahniuk e altri), dove si racconta qualcosa che accade, mette in relazione le persone, le porta a compiere azioni e muovere reazioni. In questo libro c'è vita, grazie al cielo. C'è un cammino che attraversa i linguaggi e i panorami contemporanei (la Milano dei loft e del guerriglia marketing) e quelli arcaici (il Sud dimenticato nelle pagine di Levi e De Martino e l'India del Kumbh Mela), percorre le vie della spiritualità ma non ci si ubriaca, arrivando invece ad una consapevolezza civile, quello stato di grazia che permette agli occhi di vedere oltre la cortina fumogena del consumismo, dell'omologazione e della connivenza.
Saviano ce lo ha ricordato più volte in questi ultimi anni con la frase con cui Céline rispose alla domanda «ma per lei quanti modi ci sono di fare letteratura?». «Ce ne sono solo due: fare letteratura e costruire spilli per inculare le mosche». Chi ha più voglia di sopportare e supportare scrittori, registi, autori, artisti che si divertono a martirizzare creature appena un poco meno utili di loro?