L'ospedale psichiatrico di Como in un libro del fotografo Gin Angri e del poeta Mauro Fogliaresi
"Il pessimismo è una malattia?". Il titolo spunta da uno schedario, scritto a macchina con le sbavature di nastri ormai dimenticati. L'articolo, pubblicato su un numero del 1928 della rivista Psicologia, lascia questa risposta in sospeso, come tante altre legate alla diagnosi, gestione, cura e non-cura della malattia mentale negli ultimi centocinquanta anni. Una domanda che non possiamo trattenerci dal porci anche oggi, nel tentare di addentrarci verso i sottilissimi confini tra gestibilità e comprensione della complessità umorale, caratteriale, nervosa. Eppure domande e risposte a volte non occupano il piano principale di un ragionamento, ma possono - al contrario - lasciare spazio solo al lusso dell'osservazione, della percezione, dell'invasione di sensazioni da conservare allo stato puro, senza rielaborazione razionale.
Il fotografo Gin Angri e il poeta Mauro Fogliaresi hanno fatto esattamente questo quando, per la prima volta, hanno iniziato ad esplorare e ritrarre l'ex ospedale psichiatrico San Martino di Como partendo dall'archivio che custodisce 42mila vite di pazienti, lo schedario della biblioteca, le comunicazioni amministrative, le cure a base di iperico, inoculazione di malaria ed elettroshock, le lettere mai spedite di pazienti che per anni sono rimasti ad attendere ogni giorno le risposte. Una città sconosciuta che per quasi due secoli ha vissuto come un'enclave nella città conosciuta, senza interazioni dirette, nonostante le duemila vite che la struttura di cura psichiatrica, una delle più grosse in Lombardia, è arrivata ad ospitare anche in tempi recenti, prima dello smantellamento imposto dalla legge Basaglia nel 1978. Il libro Le stagioni del San Martino. Documentario fotografico sulla psichiatria (Marna edizioni, 280 pagg., 30 euro) racconta lo stretto indispensabile per farci comprendere cosa stiamo per vedere, e poi lascia spazio alle immagini, ai volti, agli sguardi dei ricoverati, a quelle espressioni che oggi ci appaiono quasi grottesche nella loro approssimazione. Calligrafie accuratissime, nelle schede parlano di pazzia morale (ma cosa sarà mai...?) e quella parziale, della mania furiosa, della melanconia e della demenza, delle preoccupazioni ipocondriache che bastavano a far guadagnare anni di ricovero coatto, delle mentecatte, dei malati psichici di ogni età ricoverati assieme ai detenuti con problemi comportamentali e ai pellagrosi. Il libro è un rispettoso e delicato viaggio da tre punti di vista, ognuno dei quali lascia un segno: l'esplorazione dell'archivio, la dismissione dell'istituto, il rapporto del San Martino con la città e il territorio, con le tante foto in bianco e nero scattate dai degenti geriatrici. Mi fermo qui, aggiungo solo un assaggio di queste immagini.
Dal blog di Paola Pioppi