Insorgenze urbane e postmodernità nel Mezzogiorno
N
egli ultimi anni, dal Sud Italia riaffiora un fenomeno antico: le città rurali diventano soggetti politici capaci di decidere al di fuori e contro l'autorità costituita. Esse attingono la loro potenza da comportamenti di massa pubblicamente illegali, volti a riappropriarsi dei territori sottraendoli al controllo dello Stato. Si tratta di una profonda sovversione delle categorie della politica moderna. La rivalsa dei luoghi, lungi dal proporsi come guerra civile, si svolge piuttosto nella forma dell'insurrezione di massa che paralizza l'apparato del dominio statale, semplicemente ponendolo in contatto con il corpo dei cittadini attivi. Sono le stesse forme della sovversione che abbiamo visto all'opera nei paesi dell'ex blocco dell'Est. Ma ricordano anche le insurrezioni meridionali dell'Ottocento, quelle "insorgenze di massa banditesche" contro i francesi prima e i piemontesi poi. Scanzano, Cosenza, Acerra, Serre: nell'immaginario dei giovani meridionali sono nomi che rievocano esperienze comuni di difesa e risarcimento dei luoghi dalle offese e le ferite che la modernizzazione ha inflitto loro.
Pubblicato da Derive e Approdi, a cura di Franco Piperno, Vento del meriggio raccoglie i contributi di Adalgisio Amendola, Francesco Caruso, Massimo Giglio, Elisabetta Della Corte, Franca Maltese, Franco Piperno, Oreste Scalzone e Pietro Sebastianelli.
A partire dagli anni '90 del XX° secolo è andato delineandosi nel sud Italia un "pensiero meridiano", una ricerca di senso che, con la critica alla "questione meridionale", corrente politico-economica meglio nota come "meridionalismo" dalla seconda metà del'800, analizza le relazioni attuali del meridione con la globalizzazione e la modernizzazione del pianeta. Il lento maturare del pensiero meridiano nel rifiuto alla modernizzazione si sta rivelando un enorme magazzino di concetti, sentimenti e relazioni, in cui Meridione può attingere a piene mani per rientrare nella propria consapevolezza di autonomia etica e civile.
Così comincia la prefazione di Franco Piperno che presenta il saggio. Il sistema neo-moderno differisce in più punti dalla modernità classica del XIX° secolo, se la modernità classica trovava il suo fondamento nel conflitto-cooperazione tra gli operai e il capitale, il modello neo-moderno trova la sua dinamica tra capitale-finanziario e cittadino-consumatore. Il pensiero meridiano si sviluppa attraverso una critica minuziosa che trae anche spunto dalla storia antica e recente del Meridione, dal pensiero post coloniale e anti globalizzante che si è formato nel mondo. Il punto principale è la riscoperta dei luoghi (glocal) come contrapposizione al non senso, a quella sorte di irrealtà costituita dal sistema della merce e del denaro che sta gradualmente soppiantando il sistema produttivo reale, ridimensionando il ruolo di capitale produttivo e produttori, operai e contadini.
Tutta una serie di concetti vengono così rivisti aldilà dei luoghi comuni, come ad esempio la famosa sindrome Nimby (va bene tutto, ma solo oltre il mio giardino), quella pretesa dei luoghi di non farsi assoggettare al potere dominante, riposizionando gli aspetti localistici ed egoistici, che ne sono parte costitutiva, in un ambito conflittuale della coscienza dei luoghi nei confronti della globalizzazione.
Ma l'aspetto più eclatante è la denuncia della vera emergenza del Meridione, ovvero l'emergenza prioritaria non sta tanto nella malavita organizzata, luogo comune per eccellenza del Meridione nel mondo, bensì nella burocrazia e negli apparati amministrativi del decentramento statale. Una classe politica piagnona e miserevole che si fa forte del sottosviluppo per accedere ai finanziamenti europei e alle elargizioni statali di mantenimento, neanche più in grado di poter spendere tutte le somme messe a disposizione, perché culturalmente arretrata e staccata dal contesto sociale di massa. Dopo aver distribuito risorse e posti di lavoro a parenti ed amici, non riesce neanche a mantenere quel sistema clientelare che per cento anni ha fatto la fortuna delle classi del politicismo e del meridionalismo. Una vera emergenza di crisi di rappresentanza e amministrativa senza precedenti.
Il fenomeno mafioso è messo al secondo posto in ordine d'importanza. Anzi, nel testo di Adalgisio Amendola viene messo in discussione l'approccio repressivo dello stato nei confronti della mafia; il famigerato articolo 41bis e l'emergenza legislativa contro ogni forma di economia, ad esempio la contraffazione o lo spaccio illegale, in realtà invece di curare aggravano la malattia, come quelle cure contro il cancro che debilitano irreversibilmente il malato invece di guarirlo. La 'ndrangheta calabrese viene quindi analizzata da altre angolazioni, ripercorrendone la storia fondante del contesto sociale e territoriale, focalizzando gli aspetti di sopravvivenza al sistema della globalizzazione che ne fanno una forza potente.
Qui si creano i parallelismi a quanto è successo nella recente storia dell'est europeo, la criminalità è divenuta una sorte di neo-borghesia che, seppure assai diversa dalla borghesia produttiva dell'industrializzazione del XIX° secolo, rivive allo stato embrionale molte simmetrie con la borghesia classica, assumendo la capacità di controllo e di governo nei territori. Durante la lettura del capitolo si possono scorgere alcuni temi trattati dal famoso testo filosofico Millepiani, scritto dai francesi Deleuze-Guattari nel 1980 e ancora attualissimi: la macchina da guerra e il nemico qualunque, un ribaltamento della guerra come prosecuzione della politica che investe lo stato di diritto e le relazioni sociali dei territori.
I capitoli successivi analizzano le insorgenze degli ultimi anni nelle città del sud a partire dall'emergenza rifiuti. In diversi luoghi si sono riproposti fenomeni di democrazia diretta, dove la crisi di rappresentanza politica è stata risolta con l'attivismo diretto delle popolazioni. La rappresentanza nelle negoziazioni ha avuto un valore solamente di mandato specifico e revocabile, cioè molto contestuale e sgravato da riferimenti ideologici, quasi a riscoprire l'antica vocazione delle città-stato della Magna Grecia come Sibari, Crotone, Locri.
Il libro si conclude con le dieci tesi per la rinascita del Meridione di Elisabetta Della Corte e Franco Piperno, un riassunto molto sintetico sul concetto di rivalsa dei luoghi come base fondante del pensiero Meridiano. Il decalogo si propone soprattutto di generare discussione e animazione sul futuro, non come fuga nell'irrealtà del concetto astratto, quanto nella riappropriazione della realtà del presente, ovvero quella che viene quotidianamente eclissata dal sistema mediatico e dalla politica di avanspettacolo.
Vento del meriggio. Insorgenze urbane e postmodernità nel Mezzogiorno
Curato da: Piperno F.
Editore: DeriveApprodi
Data di Pubblicazione: 2008
Collana: Fuorifuoco
Pagine: 227