BilBolBul, a Bologna il festival del fumetto ospita il grande maestro e gli dedica un convegno
Uno spettro si aggira per Bologna. E non è rosso. Non sempre, almeno. Tendenzialmente è nero, si chiama Bilbolbul, ed è il primo protagonista della storia del fumetto italiano. Attilio Mussino lo ideò per il Corriere dei Piccoli nel 1908: un piccolo africano il cui corpo rispondeva docilmente alle sollecitazioni metaforiche del suo autore: verde di rabbia, bianco di paura e così via. L'anno 2009 lo vede confinato in un ospizio, a condividere la sorte di altri illustri colleghi in una serie di tavole esposte sotto l'ombra del Nettuno.
E' il BilBolBul, il festival internazionale di fumetto della città. Non una fiera-mercato come le tante che costellano periodicamente la penisola. Giunta alla terza edizione, la creatura dell'associazione Hamelin continua a portare a Bologna convegni, mostre e autori, in un'ottica che sa quasi di ricerca. Nell'unire alla ricognizione del panorama internazionale un filone d'indagine e una retrospettiva d'autore, gli organizzatori si approcciano al linguaggio con l'intenzione forte di aggiornare il discorso. E ci riescono. Dopo Magnus e Gianni De Luca, quest'anno l'attenzione si è fermata sulle relazioni tra fumetto e storia, ed è stata la volta di Sergio Toppi.
Al fumettista milanese era stata dedicata una mostra a Seregno, nel settembre del 2007. L'allestimento bolognese conferma l'attenzione per un disegnatore dal tratto inconfondibile, il cui peso nella storia del fumetto non era stato finora riconosciuto fino in fondo. A questa lacuna storiografica e critica ha cercato di porre rimedio il convegno tenuto giovedì 5 marzo presso la Pinacoteca nazionale.
Tra i relatori, il ricercatore Matteo Stefanelli, il direttore de «Il Giornalino» Stefano Gorla, lo storico e semiologo Daniele Barbieri, l'editore Sergio Bonelli.
Il complesso degli interventi delinea un quadro di riflessioni coerente e strutturato, che esplora lo stile del maestro dall'organizzazione sintattica delle tavole alle influenze internazionali. Emerge, in generale, l'idea che il fumetto di Toppi tenda a costruirsi intorno a un doppio canale. Per una via, la narrativa toppiana si articola in racconti brevi, rapidi. Quasi parabole. La perfezione della messa in scena etno-storica – dal Vecchio West agli indigeni australiani – si declina in storie in cui si avverte tuttavia una temporalità sospesa, prossima al tempo assoluto del mito. E' l'altro versante del segno di Toppi, quello che conduce nei territori del sacro. Diluendo la narrazione nel battito delle tavole, le vignette si aprono e scompaiono, perdendosi in strutture totemiche, poche figure scolpite su cui l'autore lavora in profondità, accumulando segni fino a ottenere una sorta di «epifania calligrafica».
Il convegno corona i propri lavori con l'intervento dell'autore stesso, intervistato da Giulio Cesare Cuccolini. Come anticipato da Bonelli, l'uomo è timido e cortese, ma l'accoglienza calorosa della platea scioglie la freddezza e consente l'avvio di un confronto disteso. Minuto, di un'eleganza antica da vecchio lombardo, Toppi racconta delle sue suggestioni, dalla grafica giapponese alla letteratura americana, passando per l'Edipo Re di Pasolini.
Sarà questa varietà di fonti a costituire la ricchezza di un fumetto capace di porsi tra i capisaldi del fumetto contemporaneo, in grado di influenzare autori di scuole e tradizioni diversissime come Frank Miller e David B.
La mostra – che resterà aperta fino al 12 aprile – testimonia tutta la ricchezza della produzione toppiana. Sospesa tra il sacro e la Storia: uno scarto forse indecidibile, forse connaturato alla natura ibrida di un linguaggio diviso tra immagini e parole.
In ogni caso, uno scarto da scoprire.