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Si può scrivere un Fantasy adulto anche in Italia?
Francesco Barbi sembra volercelo dimostrare. Intervista e recensione

E

sistono libri che cominciano a far notare la loro presenza con effetto ritardato; libri che passano inosservati, in silenzio, nonostante spesso celino al loro interno delle piccole perle. L’acchiapparatti di Tilos è uno di questi. Sebbene infatti la sua pubblicazione risalga a più di un anno fa, il romanzo d’esordio di Francesco Barbi rappresenta una delle più belle e inaspettate sorprese nel panorama del Fantasy italiano; un’opera capace di proporre la giusta miscela di umorismo e azione, di avventura e personaggi fuori da ogni schema, e che, per una volta tanto, non è il primo capitolo di una saga di ventotto volumi. Ma quali sono gli ingredienti di questo cocktail così ben riuscito?

 

C’era una volta, tanto tempo fa...

...un becchino gobbo di nome Ghescik che, in gran segreto, coltivava la passione per tutto quanto fosse in qualche modo legato all’occulto. Un giorno però al buon Ghescik si presentò l’occasione per truc... ehm, vincere in un’“onesta” scommessa il diario di un antico negromante. Peccato solo che tale azione porterà con sé una serie d’imprevisti, tra cui la liberazione del boia di Giloc, un essere mostruoso e dall’animo decisamente poco incline all’amore fraterno. Così, accompagnato dallo scemo del villaggio Zaccaria, una prostituta, un cacciatore di taglie sfigurato e un gigante incapace di comunicare se non attraverso proverbi, il nostro “prode” Ghescik tenterà di fermare il demone, sfuggendo al tempo stesso dai tanti, troppi nemici che ha saputo crearsi a causa del suo modo di agire decisamente poco incline al rispetto delle leggi.

Quella appena presentata è, a grandi linee, la trama de L’acchiapparatti di Tilos. Si da subito si denota un deciso cambio di rotta riguardo la tipologia di personaggi proposti, almeno rispetto alla stragrande maggioranza dei testi Fantasy attualmente in circolazione: non più eroi tutto muscoli e azione, bensì veri e propri emarginati. Ed è proprio la perfetta alchimia tra i protagonisti a rappresentare il fiore all’occhiello di questo libro. Va infatti reso merito a Barbi di sapere caratterizzare ottimamente, soprattutto grazie al brio dei dialoghi, buona parte dei personaggi da lui inventati, anche se, in generale, sono i “diversi” a rappresentare il cuore pulsante del romanzo. Ciò che avvince maggiormente dei personaggi di Barbi è il modo in cui l’autore dimostra di saperne tratteggiare i caratteri con non comune sensibilità, senza però risultare mai affettato o, peggio ancora, a cadere in toni forzatamente tragici. In generale, a colpire di loro è la profonda umanità, oltre che singolarità.

Stile, ritmo e ambientazione

A rendere la lettura de L’acchiapparatti di Tilos quanto mai piacevole è anche l’impronta stilistica lasciata dall’autore. La scrittura di Barbi è limpida, semplice, ma non per questo banale. Lo scrittore toscano dimostra non solo di saper sempre infondere alle sue pagine il giusto ritmo, ma soprattutto di possedere un’ottima proprietà di linguaggio, soprattutto quando è costretto a cadere nel tecnicismo. È inoltre da lodare come Barbi sia in grado, con grande naturalezza, di mutare registro a seconda della situazione, passando dai divertenti dialoghi tra Ghescik e Zaccaria al crudo realismo delle scene d’azione. Volendo parafrasare un passaggio del libro, si potrebbe dire che neL’achiapparatti di Tilos «tutto è finalizzato all’efficacia».

Paradossalmente, proprio al ritmo è legato uno dei pochi aspetti stilistici che meno mi hanno convinto. Per infondere maggiore dinamicità alle scene d’azione, Barbi adotta infatti in questi casi il presente al posto del passato remoto. Il problema, a mio modo di vedere, è cheL’acchiapparatti di Tilos è un romanzo che non fa particolarmente leva sull’azione, tanto che questi cambi temporali, proprio per via dello spazio ridotto ad essi dedicato, stonano parecchio con lo stile generale. Senza contare che non tutte le scene d’azione prevedono al loro interno il presente al posto del passato remoto, così da far sospettare che tale stratagemma sia stato introdotto in corso d’opera, piuttosto che elaborato a inizio lavoro.

Discorso a parte lo merita il tipo di narratore adottato da Barbi, il quale si presenta come espressione del mondo da lui stesso descritto: tra narratore e mondo narrato si percepisce una profonda affinità sociale e culturale (ovviamente impossibile da attuarsi con l’autore), sino a inglobare nella sua voce, ottica e linguaggio quelli che sono i pensieri dei singoli personaggi. Allo stesso tempo, però, il narratore è conscio che il suo destinatario non fa parte della realtà descritta, tanto da rendere necessarie alcune spiegazioni esterne alla narrazione vera e propria, sebbene in nessuna occasione egli si metta a dialogare apertamente con il lettore. Ci troviamo quindi di fronte a un narratore sì onnisciente, ma che talvolta oscilla tra impersonalità ed eccessiva vicinanza con la realtà descritta.

Proprio in riferimento a tali “spiegazioni esterne”, va comunque reso il merito a Barbi di essere stato capace di aggirare egregiamente il rischio infodump.

Per “infodump” s’intende qualsiasi descrizione o spiegazione superflua ai fini soprattutto della storia (e specifico della storia, non solo della trama). Il problema è che il genere Fantasy, sebbene i verità ci si potrebbe allargare alla narrativa fantastica tout court, è quello più incline a tale tipo di passaggi. Come si può infatti rendere vivo un mondo, se non ci si lascia andare a qualche bella pagina di “fantastoria”?

La questione verte tutta sull’equilibrio che l’autore è in grado di dare alla sua opera. Suo compito è saper fondere a dovere descrizione con narrazione, spiegazione con azione. Non è compito facile (a dispetto di chi pensa che per scrivere Fantasy basti lasciar correre la fantasia), e questo Barbi sembra saperlo molto bene, visto che per gran parte del romanzo adotta, a mio avviso abilmente, uno stratagemma allo stesso tradizionale e funzionale, ovvero dedicare la prima pagina, o al massimo le prime due, di alcuni capitoli alla descrizione di un particolare aspetto delle Terre di Confine. Una struttura semplice, per non dire quasi scolastica, ma che Barbi sa sfruttare con la giusta abilità, tanto che al sottoscritto spesso capitava di non vedere l’ora di arrivare alla fine di un capitolo soltanto per leggere l’introduzione di quello successivo, segno che a volte i vecchi metodi possono ancora funzionare; basta sapere come usarli a dovere.

La maestria con cui Barbi riesce ad aggirare gli infodump permette di focalizzarsi su uno dei pochi possibili difetti de L’acchiapparatti di Tilos, ovvero l’ambientazione. È indubbio che lo scrittore toscano, nel momento in cui si è messo a portare su carta le Terre di Confine, avesse ben in mente la struttura da dare al mondo da lui ideato. Tuttavia proprio tale mondo appare forse un po’ troppo simile a quello che è stato il reale Alto Medioevo europeo. Certo, sono da lodare il realismo e la coerenza delle Terre di Confine, di certo frutto di un buona documentazione di base, ma forse proprio tale impostazione rischia di lasciare l’amaro in bocca a chi, leggendo un romanzo Fantasy, cerca anche (e talvolta soprattutto) ambientazioni più esotiche.

Conclusioni

L’acchiapparatti di Tilos è un buon libro; non un capolavoro, ma comunque uno dei migliori esordi nella narrativa fantastica italiana degli ultimi anni (soltanto Pan di Francesco Dimitri era stato capace di convincermi con altrettanta forza). Pregi principali di quest’opera sono l’ottima caratterizzazione dei personaggi e una trama solida, pur nella sua semplicità, il tutto condito da uno stile scorrevole, ma per nulla banale, per quanto il sottoscritto non abbia particolarmente amato alcune scelte come l’uso del presente nelle scene d’azione. A ciò si aggiunge l’assenza alcun buonismo risolutore nel finale, il quale, anzi, nella sua malinconia di fondo è stato capace di emozionarmi come non mi capitava da tempo. Difetti veri e propri il libro non ne ha, fatta eccezione per un paio di piccole incongruenze che comunque non inficiano più di tanto il valore della trama; semmai delle debolezze, le quali dipendono almeno in parte dai gusti del lettore, come l’ambientazione, non molto originale, ma molto ben costruita nel suo realismo. Insomma, un libro che mi sento di consigliare caldamente, e non soltanto agli amanti del Fantasy.L’acchiapparatti di Tilos è la dimostrazione (e se ne sentiva davvero il bisogno) di come si possa scrivere anche in Italia un romanzo Fantasy esplicitamente rivolto a un pubblico adulto, privo di buonismi d’alcun tipo e soprattutto che non ponga l’accento sugli “effetti speciali” a scapito della trama.

INTERVISTA A FRANCESCO BARBI

Chi è Francesco Barbi?
Per dare una qualche risposta, potrei fare un tentativo all’insegna della sintesi: Francesco Barbi è nato nel 1975 a Pisa, si è laureato in Scienze Fisiche, e insegna matematica e fisica nelle scuole superiori. Ha una figlia di un anno e mezzo che adora e il sogno, divenuto quasi un’esigenza, di riuscire a scrivere. Tanto. Per tutta la vita.
Oppure potrei rispondere con un estratto (lievemente modificato) da un racconto a cui sto lavorando proprio in questo momento e che, sebbene contenga una descrizione fisica, forse la dice più lunga riguardo al sottoscritto:
«Ho un volto “patibolare”. Almeno così lo descriveva mia madre, nella mia tarda adolescenza. Nonostante l’apparente accezione negativa che questo termine sembrava evocare, a me piaceva. Forse perché pensavo che nell’espressione patibolare fosse insita una certa peculiarità, un certo mistero. Sarà stato per la bocca, labbra carnose e denti grandi. O forse per il naso, che già all’epoca aveva cambiato le sue fattezze. Un’appendice di carne disossata che schiaccia il mio profilo. Gli occhi, piuttosto piccoli, marroni. Contornati dalle sopracciglia, e con quel loro taglio, riescono ad avere un’espressione profonda e penetrante, a quanto mi si dice.»

Le Terre di Confine da te immaginate sono un’ambientazione che definirei quasi storica, per via della loro verosimiglianza e vicinanza con quello che è stato l’Alto Medioevo europeo. Da dove è nata la decisione di non abbandonarsi a un’ambientazione troppo fantastica e quale ruolo ha per te la precisione storiografica?
Sono sempre stato affascinato dalla storia Alto Medioevale, soprattutto dagli aspetti più cupi e grotteschi di quell’epoca. Mi considero piuttosto pignolo e attento ad aspetti quali coerenza e plausibilità, e dunque volevo una base solida per la costruzione delle Terre di Confine. Spinto dal bisogno di verosimiglianza, ricordo di aver letto o riletto numerosi saggi sul periodo medioevale. Agli inizi della stesura, ho addirittura pensato alla possibilità di cimentarmi in un romanzo storico.
Ho poi deciso di scrivere un romanzo fantasy non solo per la personale predilezione per il genere, ma anche perché questa scelta mi garantiva più libertà: credo che al tempo il bisogno di coerenza, realismo e credibilità sarebbe potuto rivelarsi una difficoltà insormontabile nell’affrontare un romanzo propriamente storico.
E in effetti, per non venir meno a certe mie esigenze, tendo spesso a cercare espedienti che mi facciano sentire più libero, meno vincolato. Anche la scelta di ambientare le vicende dell’acchiapparatti in terre di confine è stata probabilmente dettata da questo mio bisogno. Pur ricordando vividamente atmosfere medioevali, quei territori, coacervo di razze e culture diverse, mi hanno garantito quella libertà creativa di cui avevo bisogno nella scelta dei nomi, delle credenze e dei tessuti economici e sociali.
L’acchiapparatti rimane comunque un libro low-fantasy, in cui compare fondamentalmente un unico elemento magico-fantastico, incarnato nella creatura ancestrale rinchiusa nelle prigioni di Giloc. Anche la stregoneria nelle Terre di Confine è ormai ridotta ad un eco dei tempi andati.

L’acchiapparatti di Tilos, caso quasi più unico che raro per quanto riguarda la narrativa fantastica, è un romanzo autoconclusivo. Sebbene infatti l’epilogo faccia immaginare un futuro per alcuni dei personaggi, la storia ha un inizio e un finale ben marcati, tanto che giunto all’ultima pagina non ho provato alcuna sensazione di vuoto. Quanto di questo finale così equilibrato si trovava già nel progetto iniziale e quanto invece è giunto solo in corso d’opera?
Ho sofferto come un cane per “vedere” un finale soddisfacente. E assolutamente non ho saputo dove sarei andato a parare fino ai tre quarti della prima stesura. D’altra parte sono convinto che un libro dovrebbe sempre essere in qualche modo autoconclusivo e quindi sentivo il forte bisogno di un finale che fosse un finale.
Ho scritto l’acchiapparatti “per situazioni”, almeno per ciò che riguarda le prime due parti, ovvero inventando e immaginando strada facendo ciò che sarebbe accaduto in seguito sulla base di quanto già narrato. Non avrei saputo fare altrimenti: l’essere vincolato ad una trama già delineata con precisione avrebbe messo a repentaglio l’intero progetto. Dunque avevo molte idee, note e appunti, ma soltanto una pittura molto vaga della struttura globale.
Quando sono arrivato a metà del libro e sentivo di dover iniziare a tirare le fila per convergere verso il finale, ho rallentato il ritmo di scrittura, impaurito dal fatto che scegliere una strada a quel punto avrebbe implicato l’impossibilità di sceglierne altre. Ho iniziato a passeggiare e a ragionare. Ho dovuto superare varie crisi, tagliare alcuni capitoli, riscriverne altri, e rinunciare a numerose idee. Pensavo molto e scrivevo ben poco. Mi sono poi bloccato per diversi mesi, prima di riuscire a stendere l’ultima parte. Quando finalmente ho intravisto il finale, ho scritto la quarta parte spedito, con facilità e godimento.

Leggendo L’acchiapparatti di Tilos ho avuto la sensazione che Campanila credesse davvero nel tuo libro. Tutto, dal bassissimo numero di errori di battitura all’attenzione verso i più piccoli dettagli grafico-tipografici, dà l’idea di un progetto gestito con grandissima passione, cosa che spesso non si trova nei volumi di case editrici ben più blasonate. Mi chiedevo, quindi, come è stato il tuo rapporto con Campanila.
Il mio rapporto con Campanila è stato molto “facile”. Senza dubbio la casa editrice ha creduto in me e nell’acchiapparatti. Mi hanno dato fiducia, hanno lasciato che decidessi pressoché tutto in merito al libro: dalla scelta dell’artista che avrebbe illustrato la copertina, alla duplice mappa delle “Terre di Confine”, dall’impaginazione alla grammatura delle pagine, superiore a quella preventivata. Anche l’editor, sebbene mi abbia affiancato nell’opera di revisione nel corso di molteplici riletture, non ha mai imposto il suo punto di vista e ha mostrato grande rispetto per le mie scelte.

Spesso si sente dire, in riferimento a ogni nuovo romanzo che “l’importante è leggere”, come a voler dire che un brutto libro è meno nocivo di un libro non letto. Qual è il tuo pensiero al riguardo e come credi che possa (o debba) evolvere il Fantasy in Italia?
Sì, leggere è senz’altro molto importante. Un brutto libro è meno nocivo di un libro non letto? Non saprei. Ad ogni modo leggere un brutto libro potrebbe implicare il non leggerne uno bello. E ci sono moltissimi bei libri al mondo: perché allora leggerne di brutti?
A dir la verità, capita anche a me alle volte di leggere un brutto libro. Devo però dire che quando mi rendo conto di avere tra le mani un bel libro, la mia lettura si fa automaticamente più concentrata, attenta ai dettagli. Voglio pensare che i bei libri ti lascino sempre qualcosa in più rispetto agli altri e quindi abbiano un maggior peso. Forse, e lo spero ardentemente, ciò accade anche quando il lettore non ha una solida capacità critica.
Per quanto concerne la seconda parte della domanda, non me la sento di affrontare un discorso così ampio. Mi limito a dire che, nel mio piccolo, ce la metto e ce la metterò tutta per dare un qualche contributo.

Ritieni che le scelte fatte negli ultimi anni si muovano nella direzione corretta per la crescita della narrativa fantastica italiana oltre che verso la domanda di tutte le fasce di lettori?
Non credo di avere le competenze e le informazioni per rispondere alla domanda con cognizione di causa. Ad ogni modo non mi porrei il problema delle fasce di lettori: un libro può e dovrebbe essere un libro di qualità, qualsiasi sia il target. In tal senso, mi sembra di poter dire che le scelte nell’editoria del fantasy in Italia non siano unicamente dettate dalla volontà di una reale crescita, di un incremento nella qualità delle pubblicazioni... Operazioni commerciali ed economia la fanno da padrone... Un po’ come nella politica mondiale, o nella vita di molti di noi. Si tende a pensare al proprio orticello, all’immediato futuro, e non si riflette sulle questioni nel più largo respiro.

Francesco, tu hai 34 anni e, considerando che buona parte degli esordienti degli ultimi anni nel campo del Fantasy in Italia sono minorenni o comunque giovanissimi, si potrebbe scherzare dicendo che sei quasi un rudere. Ma, fuor di battuta, come interpreti il fenomeno del cosiddetto “Fantasy Baby Boom”?
FB: Sulla questione il mio punto di vista è chiaro. Posso comprendere le motivazioni economiche che spingono qualche casa editrice ad investire sui giovanissimi, ma una tale operazione mi intristisce. Sono convinto che un adolescente non possa scrivere, salvo rarissime eccezioni, un bel libro. Di nessun genere. Anzi, a maggior ragione nella narrativa per ragazzi, che spesso si rivolge a lettori alle prime armi e dunque maggiormente vulnerabili e soggetti all’influenza di un cattivo romanzo. Un adolescente è una persona non ancora matura e non nel pieno delle potenzialità, che ha vissuto, letto ed è “cresciuta”, nel senso più ampio del termine, poco: ritengo improbabile che possa scrivere un buon libro.

AC: Per concludere, quali sono i tuoi futuri progetti?
Al momento sono appena riuscito a riprendere a scrivere. Sono nell’ennesima, e spero stavolta ultima, fase di revisione di un libro di racconti di fantascienza distopica dal titolo Marchi indelebili. Si tratta di una serie di storie che si intrecciano quasi impercettibilmente, ambientate in un futuro tetro e apocalittico, dominato dal totalitarismo e dall’alienazione. La società, protagonista di questa raccolta, che viene rappresentata ricorda alcune opere di Orwell, Huxley, Bradbury, ma naturalmente essa è immaginata da un individuo immerso nelle problematiche del ventunesimo secolo.

Una volta completato il libro di racconti, penso che mi dedicherò anima e corpo alla stesura del seguito dell’acchiapparatti. Ho un gran desiderio e molte idee, note e spunti che mi attendono su una mezza dozzina di quadernetti.

20090313-acchiapparatti-di-tilos.jpgTITOLO: L’acchiapparatti di Tilos
AUTORE: Francesco Barbi
GENERE: Fantasy
ANNO: 2007
EDITORE: Campanila
PREZZO: 18,90€
PAGINE: 424
ETA’ CONSIGLIATA: 16+