La vita di un artista drogato nel racconto disegnato di Andrea Pazienza
I
l rapporto fra le arti e le sostanze psicotrope, quelle cioè capaci di alterare i processi psichici, è ricchissimo di studi, letteratura, esempi e leggende. Fra le arti, è sicuramente la musica quella che più spesso viene associata all'uso e abuso delle sostanze, sia da parte di coloro che la creano, sia di coloro che l'ascoltano solamente. La musica, soprattutto, per la sua capacità di dare vita a “riti” collettivi che – per fare esempi – difficilmente possono riproporsi con una mostra o con la lettura di un romanzo. E infatti, se dovessimo associare alla droga il nome di qualche artista, verrebbe sicuramente facile pensare alle tante rockstar che negli anni Settanta hanno legato la propria vita, oltre che la propria musica, all'eroina lasciandoci le penne; così come alcuni dei nomi più importanti della storia del jazz. Ma di questo parliamo in altri articoli di questa rivista.
Anche sulla capacità delle sostanze di “aiutare” il processo creativo si sono dette tantissime cose, spesso a sproposito, tanto che a noi piace ricordare una vecchia battuta: “Se sti capelloni per fare due canzonette devono ammazzarsi di eroina, Mozart di che avrebbe dovuto farsi?”.
Molto più limitata è invece la letteratura autobiografica di coloro che delle sostanze hanno fatto uso continuato. Pompeo vi rientra a pieno diritto. È un racconto disegnato di Andrea Pazienza. Pubblicato come si usava allora, negli anni Ottanta, a puntate sulle riviste e poi in varie edizioni come volume, in Pompeo sono raccontate le ultime ore di un giovane uomo – lo stesso Pazienza, senza dover indagare molto - alle prese con gli sbattimenti, i deliri e le disperazioni che la vita da tossico comporta. Anche se sei baciato dalla fortuna e dal talento, anche se vivi con agio della tua arte, anche se non devi battere la strada per trovare da farti. Il tono è febbricitante, passa dall'umorismo sublime del grande satirico che Pazienza fu, sino al lirismo esistenziale e nerissimo di un grande autore, capace di affondare le mani, i pennarelli e le parole nella propria esistenza marcia.
Non era Pompeo il primo lavoro in cui il disegnatore di origini pugliesi faceva esplicito riferimento alle droghe e al suo coinvolgimento. In tantissime altre sue tavole compaiono sballati frichettoni, lisergici fuorisede, eroinomani sfondati. Ma sempre erano storie in cui a pravalere era il contesto sociale e politico, dove le droghe diventavano pretesti per raccontare soprattutto gli anni Settanta, quelli del suo debutto da disegnatore, a cominciare da quelle di Pentothal - quando Pazienza ancora scimmiottava Moebius - fino a quelle, esilaranti, dove regna sovrano un gergo a metà fra Brancaleone e il dialetto meridionale.
In Pompeo cadono tutte le quinte della messinscena e l'anima peciosa dell'autore eroiname viene gettata in faccia al lettore. Le giornate vuote trascorse fra una pera e l'altra, l'incapacità di avere altri interlocutori oltre ai pusher e ai richiami del corpo in astinenza, l'assurdità del talento buttato nel cesso in cambio di un'ora di “paradiso”.
In Pompeo non c'è mai compiacimento, non viene mai in mente di pensare “però che figo”, perchè vediamo il tossico per quello che è, un fantoccio inconcludente, codardo, vile, bugiardo, egoista. Conscio della sua pochezza ripercorre le sue ultime ore perchè sa che alla fine si darà fine.
Per certi versi è inevitabile l'inquietudine che nasce pensando che poco tempo dopo (nel 1988) Pazienza morirà di overdose a 32 anni. Come una rockstar, potrebbe dirsi assecondando la mitologia del “muori prima di invecchiare”, o come un testa di cazzo qualsiasi. Decidete voi.
Stefano Benni legge Pompeo
Allora, la scoperta di questo tipo di fumetto fu sconvolgente: una intensità e "sincerità" così profonde non appartenevano alla sfera della satira e delle sturiellet a cui Pazienza e tanti altri ci avevano abituato. Forse solo nelle canzoni avremmo potuto ritrovare qualcosa di prossimo. Fu così che ripercorremmo a ritroso la via "drammatica" del più amato autore della letteratura disegnata italiana. Incrociammo altri episodi come "Il segno di una resa invincibile" e capimmo, anche lì nelle ultime delle province italiane dove vivevamo, che il mondo non finiva con Corto Maltese e Tex Willer. Ci sono voluti molti anni, dopo la scomparsa del papà di Zanardi, per ritrovare un autore capace di toccare tali abissi di sensibilità: si chiama Gianni "Gipi" Pacinotti e sta sfornando libri sempre più belli e densi.
Libri come Pompeo e La mia vita disegnata male servono a segnare la differenza fra l'intrattenimento e l'arte. Non ci sembra cosa da poco.
Un filmato (in due parti) in cui appaiono anche alcuni dei "colleghi" storici di Pazienza:
Stefano Tamburini, Filippo Scozzari e Tanino Liberatore.
La biografia di Andrea Pazienza secondo Wikipedia.it
Pazienza nasce a San Benedetto del Tronto figlio di Enrico Pazienza, professore di educazione artistica, e Giuliana Di Cretico. Residente da subito a San Severo, la città del padre (nonché quella "del suo pensiero"), vi trascorre l'infanzia, passando le estati con la famiglia a San Menaio, frazione di Vico del Gargano.
All'età di tredici anni, nel 1968, Pazienza si trasferisce per studio a Pescara, tornando quasi ogni fine settimana a San Severo, dove continua a frequentare gli amici di sempre e a lasciare tracce della sua genialità, tra l'altro realizzando le scenografie di alcuni spettacoli presso il Teatro Verdi. Nella città abruzzese si iscrive al liceo artistico e stringe amicizia con l'autore di fumetti Tanino Liberatore. In questi anni crea i suoi primi fumetti, in parte tuttora inediti, e realizza una serie di dipinti; collabora, inoltre, col Laboratorio Comune d'Arte "Convergenze", che dal 1973 espone i suoi lavori in mostre sia collettive sia personali.
Nel 1974 si iscrive al DAMS di Bologna, vivendo gli anni della contestazione giovanile, sfondo del fumetto Le straordinarie avventure di Pentothal, primo lavoro di Pazienza pubblicato («Alter Alter», 1977). In quella facoltà incontra altri artisti e scrittori come: Pier Vittorio Tondelli, Enrico Palandri, Giacomo Campiotti, Gian Ruggero Manzoni, Freak Antoni. Nel 1977, con Filippo Scozzari, Stefano Tamburini, Massimo Mattioli e Tanino Liberatore, fonda la Primo Carnera Editore e la rivista «Cannibale», e dal 1979 al 1981 collabora col settimanale «Il Male». Col gruppo di «Cannibale» e con Vincenzo Sparagna, fonda nel 1980 il mensile «Frigidaire», sulle cui pagine fa la sua comparsa Zanardi. La collaborazione con Frigidaire rivela un Pazienza, per quanto insofferente delle scadenze e delle pressioni editoriali, autore estremamente prolifico. Nel soli primi mesi di vita della rivista, realizza soggetti e disegni per decine di storie in bianco e nero, a colori, e persino con tecniche miste. Tra i personaggi, Francesco Stella, L'investigatore senza nome, Pertini (per un albo speciale disegnato in tre giorni - dice Pazienza). Realizza anche molte copertine, un calendario, alcuni poster, e molti spot grafici. Inoltre omaggia Tamburini e Scozzari di simpatiche collaborazioni, ed illustra articoli e racconti, su richiesta del direttore Sparagna. Già star del fumetto, non disdegna contributi di autori meno noti nelle sue storie (Nicola Corona, Marcello D'Angelo, un pool di coloristi per l'albo Zanardi).
Pazienza si dedica anche all'insegnamento, dapprima presso la Libera Università di Alcatraz (Santa Cristina di Gubbio) di Dario Fo (coordinata dal figlio Jacopo). Quindi nel 1983 fonda a Bologna, in collaborazione con l'Arci locale, la Scuola di Fumetto e Arti Grafiche Zio Feininger, a fianco di Magnus, Lorenzo Mattotti, Silvio Cadelo, e altri. Qui tiene personalmente un corso fino al giugno del 1984 (tra gli allievi Francesca Ghermandi, Alberto Rapisarda, Enrico Fornaroli e Sauro Turroni), raccontando quell'esperienza di insegnante qualche anno più tardi nel romanzo grafico Pompeo.
Lungi dal limitarsi al fumetto ed esprimendosi nei più diversi ambiti della grafica, Pazienza firma, in questi anni, manifesti cinematografici (tra cui quello della Città delle donne di Fellini nel 1980, e quello per Lontano da dove, regia di Stefania Casini e Francesca Marciano, nel 1983), videoclip (Milano e Vincenzo di Alberto Fortis e Michelle dei Beatles per il programma di RAI UNO Mister Fantasy), copertine di dischi (come Robinson di Roberto Vecchioni e Soul Express di Enzo Avitabile) e campagne pubblicitarie. Lavora anche per l'amato mondo del teatro, realizzando scenografie e ideando locandine.
Il crescente successo riscontrato in campo grafico non gli impedisce di dipingere. Espone nuove opere sia nel 1982, in occasione della rassegna Registrazione di Frequenza presso la Galleria Comunale d'Arte Moderna di Bologna, sia nel 1983, presso la galleria milanese Nuages e alla mostra Nuvole a go-go presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma (con Francesco Tullio Altan e Pablo Echaurren). Inoltre, decora con pitture murali l'aula del Polo Didattico della Facoltà di Lettere di Genova, e realizza il gigantesco Zanardi equestre a Cesena.
Se in questi anni Pazienza incontra una grande fama grazie al suo lavoro, contemporaneamente ne conosce anche i lati oscuri, che progressivamente lo distruggeranno: le droghe, in particolar modo l'eroina, fanno ben presto capolino nella sua vita, alternandosi tra periodi in cui egli riesce a distaccarsene, e periodi in cui non riesce a farne a meno. È proprio a causa di ciò che ben presto viene bollato come "tossico", (anche se lui stesso, come testimonia una video-intervista a Red Ronnie del 1984, amava scherzarci sopra), lavora di meno e viene abbandonato dalla fidanzata storica.[senza fonte]
Trasferitosi a Montepulciano nel 1984 e apparentemente disintossicato, nel giugno 1985 conosce la fumettista Marina Comandini e, un anno dopo, la sposa. Nel frattempo continua a collaborare con le più importanti riviste italiane del fumetto, tra cui «Linus», e partecipa alla creazione del mensile «Frizzer» (che si affianca a «Frigidaire»). Collabora inoltre alla rivista «Tempi Supplementari» e, dal 1986, anche con «Avaj», supplemento al mensile «Linus», con «Tango», supplemento del quotidiano «l'Unità», con «Zut», rivista satirica diretta da Vincino, e con «Comic Art». Nel 1987 firma la scenografia dello spettacolo di danza Dai colli del coreografo Giorgio Rossi, e collabora alla sceneggiatura de Il piccolo diavolo di Roberto Benigni (il comico non accredita il contributo di Pazienza, ma gli dedica l'intero film uscito postumo). E' a Montepulciano che nascono opere legate alla sua crescente passione per la poesia e la storia: "Pompeo", "Campofame" da un poema di Robinson Jeffers, "Astarte".
Nella notte del 16 giugno 1988 si spegne improvvisamente a Montepulciano. Voci confermate da chi lo frequentava parlano di un ritorno all'eroina, da cui era riuscito ad allontanarsi da tempo, o di un suicidio indotto da overdose (a tale proposito sembra quasi autobiografica la storia Pompeo, del 1985, nella quale vengono affrontate senza false ipocrisie e con crudo realismo le problematiche legate all'uso delle droghe pesanti).[senza fonte] Pochi giorni dopo la sua scomparsa, si apre a Peschici, postuma, la prima mostra che avrebbe dovuto tenere insieme al padre Enrico.
È sepolto nel cimitero di San Severo (disse al padre: «se mi dovesse succedere qualcosa, voglio solo un po' di terra a San Severo, e un albero sopra...»).