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All'Hangar Bicocca le installazioni luminose dell'artista londinese

 

Breath, in programma fino al 21 giugno presso l’Hangar Bicocca, presenta una selezione tra i più recenti Solid Light Films di Anthony McCall, come vengono soprannominate le installazioni dell’artista londinese. Abolito lo schermo, diaframma simbolico tra l’evento e lo spettatore, McCall proietta i fasci di luce semovente in un ambiente oscurato nel quale, grazie alla foschia, tra pareti effimere si possono aggirare i fruitori.

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Vedi bambini attraversare d’un fiato lo spazio e spiccare il primo volo verso la luce, sotto i cui raggi immancabilmente vanno a riposarsi.
E giovani coppie darsi la mano mentre, pacifiche, si scambiano opinioni sul mistero dell’origine di ogni vita: quel punto luminoso che ha richiesto loro di sdraiarsi a pancia in su, perchè potesse essere propriamente osservato.
Vedi distinti signori smembrare il gruppo, per disporsi ordinatamente in fila, nel tentativo di passare attraverso gli spazi bui, tra pareti così difficili da scansare: non le senti avvicinarsi.
Vedi pochi intrepidi, in bilico sui tracciati luminosi, lo sguardo che dritto attraversa il muro, letteralmente lo seziona prima ancora che sopraggiunga il resto del corpo.
Vedi coloro che non rinunciano al sottile brivido, quello tra paura e delizia, che li assale quando infrangono la barriera con ogni centimetro di se stessi; per questo, disobbediscono al limite con metodica, sadica lentezza.
Vedi?
O forse, lì per lì, il buio quasi totale ti ha tolto il respiro per un attimo, come opprimendoti in modo tangibile.
Difficile, in una società che vive sotto i riflettori, addentrarsi in uno spazio dove a essere illuminato sei proprio tu: lo spazio Hangar Bicocca apre i battenti, fino al 21 giugno, per un’altra esposizione volta a favorire l’autocoscienza.

Breath presenta una selezione tra i più recenti Solid Light Films, come vengono soprannominate le installazioni del londinese Anthony McCall.
L’artista concepisce le sue prime proiezioni verticali negli anni Settanta (Line Describing a Cone, 1973) all’indomani di un lavoro sulla performance e di studi sulla meccanica della proiezione cinematografica: attento agli aspetti materiali e in prima istanza corporei della trasmissione, quasi per naturale inclinazione, McCall resta attratto dallo spessore (letterale) del mezzo luminoso, prima ancora che dalle sue potenzialità di medium-contenitore di un qualsiasi messaggio esterno (ed estraneo).

Se McCall, con vocazione all’eclettismo, deborda dai paradigmi del cinema, non approda per questo alla scenografia, che tutto sommato ancora rientrerebbe nella più ampia categoria della settima arte. A voler catalogare simili opere, si preferisce parlare allora di scultura; disciplina che, seppure fruita nel tempo, permette anche allo stesso spettatore di vivere un’esperienza spazialmente connotata.
Il cinema, in fondo, non mette in crisi l’ordinaria percezione di chi assiste allo spettacolo, non almeno a livello sensoriale. Al contrario, l’arte di McCall forza il corpo, giocando sulla limitatezza dei sensi: proprio dall’infrangere limiti inconsistenti, non per questo meno presenti all’organismo, giunge all’individuo una sorta di lezione esistenziale dove concetti astratti (quali la libertà e il libero pensiero, per giungere all’estremo della ribellione nei confronti dello status quo) vengono espressi in modo tangibile, se non letterale.

Si ha un bel dire che il corpo sia sostanzialmente un mezzo, ottuso se non stupido; resta però uno strumento conoscitivo imprescindibile, senza la cui intermediazione ogni metafisica è di fatto irraggiungibile. Non a caso, la secolare tradizione della mistica insegna che, per ricevere una visione in dono, bisogna predisporre il corpo mediante progressive costrizioni; l’arte di McCall è allora spirituale nella misura in cui coinvolge (e sconvolge) innanzitutto la vita sensoriale dell’individuo.
Trattasi pur sempre di installazioni spaziali che, per loro stessa natura e funzione, chiamano in causa una reazione comportamentale, richiedendo l’instaurarsi di una relazione con l’individuo fruitore, a prescindere da un qualsivoglia messaggio che viene (ineludibilmente) trasmesso, e percepito, attraverso la fisicità dell’opera.
E se questo fisico umano è ottusamente ancorato a quanto sa già, quest’arte è intelligente nel fargli cambiare idea.

Hangar Bicocca
via Chiese 2, Milano
Orari: tutti i giorni 11.00-19.00, giovedì 14.30-22.00, lunedì chiuso
Biglietto: intero €8, ridotto €6
Visite e laboratori gratuiti per tutte le scuole solo su prenotazione www.hangarbicocca.it

Dal blog di Caterina Porcellini