L'etica della comunicazione commerciale
nell'intervento di Pasquale Barbella
Si intitola “Maledetta Pubblicità” il nuovo incontro organizzato dalla Rivista che Vorrei, ospite della Feltrinelli di Monza il 20 maggio.
Antonio Cornacchia ci presenta, in questo caldo pomeriggio, Pasquale Barbella, uno dei migliori esponenti del mondo della pubblicità. Prendendo spunto dal suo libro, “Confessioni di una macchina per scrivere. La pubblicità tra visione di marca e visione del mondo”, si viene a creare un’interessante conversazione, dai toni confidenziali, quasi intimi: sarà che l’argomento trattato è di ampio interesse comune e quotidiano, sarà l’ambientazione poco dispersiva della libreria, sarà l’affabilità dell’oratore.
Il titolo del libro par fare da scaletta all’intervento di Barbella: la “macchina per scrivere” innanzitutto, poiché, come ci racconta l'ex direttore creativo della BGS D'Arcy, il suo sogno è sempre stato quello di poter lavorare con le parole, con la scrittura. Occupazione non semplice da trovare, se non, come nel suo caso, quando “è lei che ti chiama”. Così nasce il Barbella copywriter nel 1967, ossia in un’epoca in cui ancora non avevano visto la luce né la televisione a colori, né quella commerciale. Altri tempi, per così dire, quelli in cui gli obiettivi della TV italiana erano di “educare, informare, intrattenere”. Ed è proprio questo il punto: quello che ci propone l’ospite è un discorso dal carattere più etico che tecnico, più umano che settoriale.
È, infatti, una “visione del mondo” quella che al giorno d’oggi la pubblicità veicola, lo stesso insieme di idee, credenze e valori che, un tempo, erano trasmessi dalle religioni e dai miti. Un ruolo dunque di fondamentale importanza, in un interminabile gioco di rimando tra il mondo della vita quotidiana e il mondo mediatico – insolvibile il dilemma se sia uno a influenzare l’altro o viceversa. Per questa ragione il pubblicitario avrebbe una grossa responsabilità nei confronti degli spettatori e, denuncia Barbella, questo deve essere tenuto presente soprattutto nell’odierno panorama commerciale: mentre questioni come il non mentire o il non fare concorrenza sleale sono già assicurate da un sistema normativo, altre, come il“ricordarsi che si entra nelle case e nelle vite delle persone” sono regolate solamente dal buon senso e dalla preparazione.
Antonio Cornacchia e Pasquale Barbella (Foto Fabrizio Radaelli)
Alla pubblicità post-bellica Barbella riconosce un ruolo sociale, quasi didattico, in grado di favorire l’emancipazione della persona, poiché presentava dei prodotti tecnologicamente innovativi attraverso contenuti creativi; contenuti che, a suo parere, non sono andati evolvendosi negli anni, non si sono adeguati al cambiamento culturale e sociale del paese. Affermazione questa che, più di tutte, scatena la curiosità dei presenti, i quali denunciano invece una maggiore sfrontatezza degli spot odierni rispetto al passato. Barbella precisa che i linguaggi sono effettivamente differenti, ma la qualità di una pubblicità si valuta dai suoi contenuti, che sono rimasti invariati nel tempo e si rivelano perciò inadeguati alla società contemporanea.
Ed è sempre a partire dai contenuti che prende forma la nostra “visione di marca”, ovvero il nostro giudizio su un prodotto. A tal proposito l’autore del libro parla di “inadempienza contrattuale tra acquirente e azienda”: le aspettative create dalle pubblicità sarebbero deluse al momento dell’acquisto, nonostante notorietà della marca e prezzo del prodotto. Sarebbe questo un fattore di antisocialità, che provoca antipatia nei confronti dell’azienda, la quale, sostiene Barbella, è lecito che venga punita: nel caso una pubblicità si rivelasse di scadente qualità o ingannevole, sarebbe consentito punire l’azienda non acquistando il prodotto. Alla domanda, se non fosse il caso di istituire un “premio negativo” per tali pubblicità, l’ospite risponde che un provvedimento di questo genere non servirebbe ad altro se non ad alimentare la dimensione folkloristica della pubblicità, donandogli, quindi, ancor più visibilità.
Mostra coerenza, Barbella, tra vita di privato cittadino e vita professionale quando svela che nel corso della sua carriera, conclusasi nel 2003, ha avuto occasione di respingere due aziende molto importanti, di cui non condivideva più il comportamento.
La riflessione si allarga alla televisione e al sistema mass-mediatico con l’introduzione del concetto di “pornografia”, parola ormai legata solamente all’ambito sessuale, ma che di per sé indica un’esibizione totale ed integrale: il sistema televisivo odierno, sviluppatosi a partire dagli anni ’80 con l’avvento della TV commerciale, è caratterizzato dal “mettere in mostra”, grazie ad espedienti quali l’uso di luci molto forti, scenografie dai colori accesi e forme stravaganti; il kitsch esagerato e costoso. Ci vengono svelati i retroscena dei programmi, grazie alla forma circolare dello studio televisivo al centro del quale viene posto il cameraman, che ha così libertà di movimento a trecentosessanta gradi. Non ci sarebbero più angoli nascosti, non ci sarebbe più discrezione; lo dimostrerebbe il successo sempre maggiore dei reality-show, nonché l’avvento delle nuove tecnologie, quali internet e il telefono cellulare, che privano sempre di più l’individuo della propria privacy. Al contrario la cosiddetta “paleotelevisione”, ovvero quella del periodo precedente gli anni ’80, aveva una gestione dello spazio più teatrale, le luci erano di volta in volta direzionate sul punto d’attenzione, la messa in scena più discreta, il tutto coadiuvato dalla trasmissione in bianco e nero.
Un intervento dal pubblico attribuisce a Barbella un atteggiamento nostalgico, che l’ospite giustifica semplicemente con il fattore “qualità”: non è il ritorno a quegli anni che lui auspica, bensì un ritorno alla consapevolezza, all’assunzione di responsabilità e all’integrità morale di un lavoro, quale quello del pubblicitario, che starebbe progressivamente perdendo la facoltà di espressione del pensiero, asservito a freddi meccanismi commerciali.
Un personaggio di tutto rispetto, Pasquale Barbella. Impreziosisce il proprio intervento con aneddoti divertenti, si alza dalla poltroncina e si avvicina ai presenti per guardarli in faccia; un amante del mestiere, disilluso e deluso dalla deriva a cui esso punta progressivamente e per cui non manca di lanciare un appello.
Forse andrebbe ascoltato.