"Salimmo in macchina che eravamo già ubriachi. Destinazione: bere. Era questa la nostra prospettiva. Una specie di mestiere comune, che ci univa nella distanza".


 

Salimmo in macchina che eravamo già ubriachi. Destinazione: bere. Era questa la nostra prospettiva. Una specie di mestiere comune, che ci univa nella distanza.

Gianpiero parcheggiò male, davanti a questo locale un po' fuori mano. Non appena entrammo, una ventata di aria umida e calda ci schiaffeggiò. Il posto era pieno. Era Venerdì e i ragazzi di prospettiva come noi, erano già tutti lì che ballicchiavano, che parlicchiavano e bevicchiavano a gruppi di tre o quattro. Attraversammo lo stanzone e ci dirigemmo verso la zona all'aperto. Una specie di piccolo giardino con un pozzo al centro e qualche tavolo intorno. Naturalmente erano tutti occupati. Facemmo tappa al bancone, senza aspettare di guardarci intorno.

 

"Mettici un altro po' di vodka, che cazzo".

 

Il barista mi guardò senza dire niente ed eseguì. Preparò un vodka lemon bomba, che però non

era abbastanza freddo. Il giro lo pagò Gianpiero. Prendemmo i bicchieroni e ci appoggiamo a bere al pozzo, che scoprii essere finto. Il dj, dietro la misera consolle, passava musica di merda da classico venerdì sera di merda. Una bionda, un po' sovrappeso, ballava con un’amica, anche lei in carne, ma mora. Tutte e due erano scosciatissime e abbondanti. Si dicevano cose nell'orecchio, ridendo e guardando verso di noi. Gianpiero mi guardò sorridendo, alzò un po' il bicchiere verso di loro, e fece come per brindare. Le due fecero lo stesso e la bionda fece anche un paio di cerchi a mezz'aria con l'indice, come per dire a dopo.

 

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Non vedevo Gianpiero da quasi dieci anni. Io ero rimasto a rigirirarmi nel fango di Caserta, lui era andato a rigirarsi nel fango di Milano. Lavorava nella pubblicità: aperitivi, coca, soldi, bella gente, belle fighe, serate nei locali chic. Nonostante avessimo dieci anni di cose da raccontarci, parlavamo davvero poco. Perlopiù ci limitavamo a bere, a ricordare qualche vecchio episodio, a chiederci notizie di qualche amico comune. Quando finii il mio drink, ero a pezzi. Provai a rollare una sigaretta, ma a metà operazione, gettai tutto nel metro e mezzo di profondità del finto pozzo e cercai il bagno. Spinsi la porta per entrare, ma sbattè contro la spalla di uno che era già dentro. Il tipo, un ventenne alto e magrissimo con la vocina da ricchione, sbottò qualcosa. Gli dissi che mi dispiaceva "ma che cazzo, chiudila la porta la prossima volta". Aspettai buono il mio turno. Dopo un po' il tipo uscì dal bagno e fece uno scatto buffo con la testa, per scostarsi il frangettone asimmetrico dagli occhi. Si rivolse a me, dicendo qualcosa che neanche capii, ma con un tono che non mi piacque affatto. Andò verso il lavandino, dandomi le spalle. Gli diedi un calcio nel culo, forte, con la pianta del piede. Una pedata, una spinta, più che un calcio vero e proprio. Questo gli fece accorciare subito la distanza tra lui e la sua metà. Mi infilai in bagno e cercai di chiudere la porta, ma mancava la maniglia. Il tipo cominciò a spingere la porta per entrare. Il calcio l'aveva fatto incazzare e adesso voleva qualcosa da me: una spiegazione, un pungno, chissà. Rimasi con la schiena appoggiata alla porta e centrai la tazza prendendo bene la mira. Non che spingesse particolarmente forte. Probabilmente aveva appoggiato i palmi delle mani alla porta, dando delle piccole spinte senza cattiveria. Quando finii, tirai su la cerniera e mi scostai dalla porta all'improvviso. Il ragazzo arrabbiato franò con tutti i suoi centimetri di altezza mezza bellezza sulla tazza sporca. Prendere la mira è facile, il problema è tenerla per tutto il tempo. Chiusi la porta alle mie spalle e cercai di spingergli la testa nel cesso. Vidi il suo frangettone penzolare e immergersi di qualche centimetro nel mio scarto di produzione alcolica. Gli dissi di farla finta, in alternativa gli avrei spaccato la testa proprio lì, sul bordo della tazza. Smise di agitarsi ed elemosinò vilmente il mio perdono. Tirai lo scarico, ma lasciai la presa per permettergli di tirare fuori la testa in tempo. Si sedette sul pavimento bagnato e pieno di impronte e farfugliò ancora qualcosa di incomprensibile. Gli feci segno di tacere, tirai fuori dalla tasca il mio coltello a scatto e gli dissi che se fuori dal cesso avesse provato ad attacare briga, magari insieme ai suoi compagnucci, gli avrei tagliato le palle davanti a tutti. Alla vista del coltello sbiancò. Istantaneamente comparvero, sotto i suoi occhi, grandi occhiaie nere. Andai al lavandino, ci appoggiai il coltello ancora aperto, mi lavai le mani e la faccia, aspettando che uscisse lui per primo. Quando tornai da Gianpiero, lo trovai in compagnia delle due bagasce. La mora aveva in mano due bicchieri. Uno era per me. Me lo porse sorridendo. Disse che stavano aspettando me per brindare. Facemmo le presentazioni e brindammo. Scroccai una Marlboro morbida alla bionda, dicemmo diverse banalità e quando anche quel drink finì, Gianpiero, che il cazzo nei pantaloni proprio non sapeva tenerlo, propose di andare da qualche altra parte a fare un giro. Lasciammo il Kensington e ci dirigemmo verso San Leucio, dove a quell'ora si stava da Dio. Montammo tutti e 4 nella vecchia Dedra di Gianpiero, che era di un lindore ai limiti del patologico. La radio mandava Dirge, un pezzo che mi piaceva da morire, dei Death in Vegas. Le ragazze sembravano divertite dalla situazione, come se non fossero abituate a salire in auto di sconosciuti. Parlavano tra di loro più che con noi, ridevano e si muovevano molto. Anche loro avevano bevuto un po' e la mora approfittava di ogni risata per mettermi una mano sulla gamba, per stringerla un po'. Mi persi nel la la la ipnotico della canzone, socchiusi gli occhi e quasi mi addormentai. Il mio compagno di prospettiva, che mi teneva d'occhio dal retrovisore, tirò fuori un bussolotto che mi passò senza dir nulla. Infilò la mano nel cassettino al lato passeggero, facendolo sbattere sulle ginocchia della bionda e ne tirò fuori uno specchietto. Aprii il bussolotto e presi due palline di coca che avevano un aspetto niente male. Preparai quattro righe abbondanti, arrotolai l'ultimo cinque euro che mi era rimasto in tasca e tirai su la mia riga. Per scherzo sbarrai gli occhi come se mi fossi improvvisamente liberato da tutto l'alcool che avevo in corpo e che mi rallentava alla grande. Porsi lo specchietto alla mora. Disse che non lo aveva mai fatto prima e che, per essere la prima volta, le sembrava troppa roba. Mi offrii di tirare su mezza riga e lo feci subito. Lei si nascose i capelli dietro le orecchie e mi imitò. Tossì un po' e fece una smorfia, tirando fuori la lingua, credo per il gusto amaro che sentì improvvisamente in gola. Rise e disse che alla fine non era niente male, che già cominciava a sentire qualcosa, un'energia e altre stronzate del genere. La bionda prese lo specchietto, si infilò il mio cinque euro nel naso e fece sparire la sua riga in un secondo, senza batter ciglio. Gianpiero non volle accostare per tirare la sua riga, e lo fece mentre guidava. La bionda gli teneva lo specchietto accanto alla faccia e lui fece tutto al volo, senza lasciare il volante. Fece una specie di gridolino di incoraggiamento e accelerò. La mora appoggiò la testa sulla mia spalla e la sua mano sulla mia pancia, infilando le dita tra i bottoni della mia camicia. Lo faceva piano, come se ci fosse tra noi già una certa intimità, come se io l’avessi incoraggiata a farlo. In compenso la coca non mi aveva ripreso affatto. Aveva solo modificato la sequenza e la velocità dei miei flash. Arrivati a destinazione, ci sedemmo su di un muretto umido e pieno di muschio e godemmo del panorama. Poco distante da noi, una comitiva di una decina tra ragazze e ragazzi, fumava hashish. Qualcuno suonava male una chitarra scordata. La bionda si attaccò alla bocca di Gianpiero, che evidentemenete non aspettava altro, per cui la mora mi guardò come per dire beh e adesso che si fa?. Distolsi lo sguardo e mi appoggiai con i gomiti sul muretto, facendo finta di essere perso nei miei pensieri. Lei mi abbracciò da dietro, neanche fossimo stati due fottuti fidanzatini adolescenti, appoggiò il mento sulla mia spalla e mi disse una cosa del tipo "non ti va di fare l'amore con me?". Non risposi niente, così pensò bene di infilarmi la mano nei pantaloni senza neanche sbottonarmeli. No che non mi piaceva. Aveva gambe e culo burrosi e il seno dalla forma che più odiavo: attaccati al centro. Mi sembrava una sorta di malformazione, da sempre. Non so come, ma mi ritrovai in macchina, sul sedile posteriore, con lei sopra di me, che cercava di infilarselo dentro, senza riuscirci. Ero troppo ubriaco e mi piaceva troppo poco, affinché potessi reagire. Così semplicemente la lasciai fare. Cominciò a baciarmi convusamente e a toccarmi come un'ossessa. Finì a strofinarsi sui miei stinchi. Provò a farmi reagire usando la bocca, ma non ci fu verso di farlo, né me ne preoccupai.

 

"Sei carino, peccato che non ti viene duro".

 

Mi scusai, dicendo che ero molto stanco e molto ubriaco. Ci rivestimmo e tornammo al muretto. Gianpiero e la bionda erano spariti chissà dove e tornarono solo dopo mezz'ora, che io trascorsi nel silenzio assoluto, questa volta perso per davvero nei miei pensieri. Al suo ritorno la bionda era tutta sorridente e aveva i capelli appiccicati alla fronte, per via del sudore, disse lei. Fumammo ancora una sigaretta e tornammo al Kensington, per recuperare l'auto delle due tipe. In macchina mi addormentai.

Rincasai poco dopo le 5,00. La luce del mattino cominciava a farsi largo timidamente: un colpo di stato quotidiano ai danni della notte. Non appena fui dentro, sentii la sua voce roca di sonno, ma non per questo meno dolce del solito. Mi aveva aspettato tutta la notte, dormendo sul divano nell'ingresso. Forse temeva di non sentirmi rincasare dalla camera da letto. Ci fissamo per un attimo lunghissimo.

 

"Papà sei tornato"

"Si amore, papà è tornato. Prendi la tua coperta e andiamo a letto, papà è molto stanco".

 

Sorrise come solo il sole sorride. Ci avviammo verso la camera da letto mano nella mano.

Solo un figlio può amare così tanto un padre,. Questo pensai, mentre ci addormentavamo abbracciati, bagnati dalle prime luci del Sabato.

 

 

Mastro Tensione vive in provincia di Caserta. Ha 30 anni, una moglie, un figlio e qualcosa che non va nella testa. Contatti: yeahs@hotmail.it

 

Gli autori di Vorrei
Pino Timpani

"Scrivere non ha niente a che vedere con significare, ma con misurare territori, cartografare contrade a venire." (Gilles Deleuze & Felix Guattari: Rizoma, Mille piani - 1980)
Pur essendo nato in Calabria, fui trapiantato a Monza nel 1968 e qui brianzolato nel corso di molti anni. Sono impegnato in politica e nell'associazionismo ambientalista brianzolo, presidente dell'Associazione per i Parchi del Vimercatese e dell' Associazione Culturale Vorrei. Ho lavorato dal 1979 fino al 2014 alla Delchi di Villasanta, industria manifatturiera fondata nel 1908 e acquistata dalla multinazionale Carrier nel 1984 (Orwell qui non c'entra nulla). Nell'adolescenza, in gioventù e poi nell'età adulta, sono stato appassionato cultore della letteratura di Italo Calvino e di James Ballard.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.