Chi beve birra campa cent'anni ma resta una capra?
I giovani affollano i locali dove si consuma e disertano i luoghi dove si prova a capire
A
ll'inizio del 2000 un'inchiesta della Caritas monzese aveva riscontrato una forte tendenza all'individualismo, tendenza in linea con il dato nazionale, se non fosse per alcune caratteristiche territoriali che ne esaltavano la vocazione a città industriale, quella tutta casa e lavoro. La cultura si forma nel vivere sociale con la frequentazione di luoghi idonei alle relazioni umane. La Monza del III° millennio sembrava un gigantesco non luogo. Aveva un centro storico molto simile a un qualsiasi Auchan a cielo aperto, spogliato nel corso degli anni dei suoi abitanti, soprattutto anziani, per far posto a negozi, uffici, banche, agenzie immobiliari & compagnia bella. Come tutti i centri commerciali, "naturali" o "artificiali", il centro cittadino era soggetto alle regole di chiusura dei negozi: oltre la fatidica ora si poteva osservare le strade bellamente deserte. Era una coprifuoco "naturale".
L'ex fabbrica Frette in riva al Lambro
La cultura, quella vicino alle arti, a Monza era ristretta a un circolo di ceto medio alto, spesso in trasferta nella vicina Milano
Nella città del duemila si faceva fatica a vedere le tracce urbanistiche della vecchia città industriale, composta da molte fabbriche di varie dimensioni inserite nel tessuto urbano, ma anche da spazi di relazioni a esse connesse, come i Cral aziendali, Enel, Cgs, il campo Singer ecc, formidabili spazi intergenerazionali, luoghi d'incontro tra vecchi e giovani diventati oggi assai rari. A queste strutture si sommava la rete delle cooperative operaie e contadine, le Case del Popolo e i circoli Acli che erano gli aggregatori di massa delle iniziative sociali, ludiche e culturali. La cultura, quella vicino alle arti, a Monza era ristretta a un circolo di ceto medio alto, spesso in trasferta nella vicina Milano, che utilizzava come luoghi di fruizione soprattutto le strutture ecclesiastiche: l'oratorio San Carlo, sede della Pro Cultura, o il complesso dei padri Barnabiti con annesso il cineteatro Villoresi. L'amministrazione comunale, dopo decenni passati al contagocce innovativo, forte di una minuscola galleria civica e un mini centro sportivo chiamato Nei, aveva da poco fatto il gran salto acquisendo il teatro Manzoni e ristrutturando il Serrone della Villa Reale, completando poi con l'amministrazione Faglia l'apertura di Binario 7 e la progettazione dell'area ex macello.
Largo Mazzini visto da via Italia
Gli spazi per la cultura a Monza, sembrerebbe, non mancano, o non mancherebbero. Non manca neanche il tessuto molecolare, composto da una notevole presenza di associazioni culturali e compagnie teatrali. Complessivamente nella provincia di Monza e Brianza sono registrate oltre duemila associazioni di volontariato. E' un evidente segno di laboriosità e interesse diffuso per la cultura. Eppure, girando per la città, si ha sempre la sensazione di essere sospesi nel vuoto, un senso pervasivo di noia immanente.
Le vie del locali, Lecco, Raiberti, Enrico da Monza e Bergamo, fanno fatica a contenere le migliaia di giovani strasbordanti nelle strade.
Il cinema è passato di moda, non ci sono le moltitudini che calano il sabato sera e la domenica pomeriggio dalla Brianza a prendere d'assalto il Centrale, il Capitol o l'Astra. In compenso le nuove generazioni continuano a calare numerose per frequentare i locali e le birrerie cittadine. Queste mutazioni modaiole, cominciate trenta anni fa con l'apertura della prima birreria, la storica Spaten di via Borgazzi ( la frequetai anch'io, sic! ), hanno raggiunto il livello di guardia. Le vie del locali, Lecco, Raiberti, Enrico da Monza e Bergamo, fanno fatica a contenere le migliaia di giovani strasbordanti nelle strade. Tutta la zona di via Bergamo rimane spesso inaccessibile, specie nelle serate promozionali: due fustini, pardon, birre al costo di una sono un'attrazione irresistibile, per chi ha pochi spiccioli a disposizione. Fa niente se genera un notevole e inutile disturbo alla città. Se questo fosse un sensore per la misurazione del livello culturale cittadino, non c'è dubbio, la fruizione della cultura monzese è assai povera. Non bastano le stagioni teatrali al Binario 7 o le iniziative di AreaOdeon a frenare l'impoverimento. Lasciare ubriacare per strada migliaia di giovani è una povertà culturale, manifesta palesemente la "non risposta" della città ai bisogni dei suoi abitanti e il prevaricare dell'interesse di una manciata di euro sulle novelle attività del “terziario avanzato”.
Case di Taccona
Uscire dalla centrifuga di periferia-centro può aiutare a ritrovare un senso, una relazione tra la vita la natura e gli spazi.
Mentre pazientemente aspetto la maturazione di un senso comune, di una risposta culturale al disastro urbanistico, lo sprawl, quello relazionale umano, avanza inesorabilmente. I livelli sociali fanno fatica a comunicare tra loro. Il gap comunicativo generazionale dei linguaggi restringe il range sempre di più. L'incomunicabilità non è più solo tra i vecchi e giovani, che fanno fatica a capirsi con i loro diversi linguaggi, retaggio di conoscenza delle differenti età, ma anche tra le fasce di età con pochi anni di differenza. Se non si capisce, il bere aiuta. Fuori dalla kappa metropolitana qualcuno sta riscoprendo l'esistenza del territorio. Uscire dalla centrifuga di periferia-centro può aiutare a ritrovare un senso, una relazione tra la vita la natura e gli spazi. Il cammino di Sant'Agostino non è la via Lattea o il pellegrinaggio a Santiago de Compostela, né una suggestiva riparametrazione tra lo spazio e il tempo. E' soltanto una delle poche iniziative culturali interessanti lanciate in Brianza da brianzoli, non monzesi, una piccola alternativa allo sprawl psichico. Qui bisogna camminare, c'è poco tempo per bere e distrarsi dal percorso, se non ci si vuole perdere nel labirinto degli spazi interni.
Locale Asettico
A lato del film Uccellaci e Uccellini Pier Paolo Pasolini filmò un cortometraggio, La terra vista dalla luna. All'inizio non riuscivo a capire perché in una scena del film Ninetto Davoli diceva ” ...non ci capisco niente”. Non riuscivo a capire perché non ci capiva niente. Poi, rivedendo più volte il film e il cortometraggio finalmente capii. Per capire bisogna camminare, star zitti e osservare. Negli spazi desolati c'era lo sprawl della periferia di Roma, il nuovo che avanzava. Allora, il regista, per festeggiare la scoperta fece andare i due protagonisti a puttane. Questa è cultura, per capire bisogna ascoltare. E' scontato. Una media Martins si gusta meglio nel chiassoso perditempo di uno dei tanti locali da bere di Monza, mentre invece una conferenza sulla progettazione territoriale si ascolta in silenzio, nella biblioteca di Vimercate.
Fine