Il folk-punk della band al Tambourine per presentare il nuovo album "Andate tutti affanculo"
Foto di Francesca Pontiggia
Trasferire lo spirito che anima le esibizioni dei buskers all’interno di un normale rock club: è ciò che riescono a fare gli Zen Circus durante i loro concerti. È stato così anche venerdì sera al Tambourine, dove hanno portato in scena il loro ultimo disco, intitolato in modo più che diretto “Andate Tutti Affanculo”, oltre a brani ripescati dai loro lavori precedenti, a creare una scaletta molto particolare e densa di momenti a dir poco travolgenti.
La carica folk-punk che animava i loro esordi non si è infatti stemperata col passare degli anni, è anzi diventata il perfetto accompagnamento per i loro testi, carichi di ironia e portatori di uno sguardo disincantato sull’Italia di oggi. Lo stesso sguardo, privo di censure e di richiami a ciò che è politicamente corretto, è emerso anche nei divertenti intermezzi tra una canzone e l’altra, che hanno tirato in causa più di una volta Radio Maria e la Lega Nord, non certo dipinti come esempi da seguire.
Il mix di tutti questi elementi ha quindi portato, come prevedibile, a un grande successo per il trio pisano anche nelle terre brianzole. Un’ora e mezza di concerto, iniziato con quello che potrebbe essere il manifesto di chi ha dai trentacinque anni in giù oggi in Italia, cioè “Vecchi senza esperienza” e poi proseguito con continui salti tra i nuovi brani in italiano e quelli vecchi, che contemplavano anche l’uso dell’inglese. Tra i primi devono essere citati la title track dell’album, con il suo testo amaro ma al tempo stesso con un pizzico di speranza e la sua coda strumentale insistente anche in versione semi-acustica; “L’egoista”, un’accusa diretta a tutti, senza alcuna distinzione; “It’s paradise”, che attacca in particolare la Chiesa (e, questa volta, Radio Maria); “Canzone di Natale”, in cui l’ironia raggiunge il suo picco di cattiveria descrivendo la festività dal punto di vista di un eroinomane. Tra i pezzi dei dischi precedenti i più applauditi sono stati quelli tratti da “Villa Inferno”, il disco registrato assieme a Brian Ritchie dei Violent Femmes, il gruppo americano degli anni ’80 che è sempre stato un modello per i tre toscani. Gran parte del pubblico si è così trovata a cantare quelli che ormai sono dei veri classici del gruppo, come “Figlio di puttana” “Vent’anni”, “Punk Lullaby” e la cover di “Wild Wild Life” dei Talking Heads. Oltre a questi, la necessità di suonare in acustico ha fatto sì che fossero eseguiti anche pezzi dai primi due dischi, diventati ormai rari nelle esibizioni live, come ad esempio “Chicken Factory” o “Folk-Punk Rockers”, che hanno portato indietro di qualche anno gli stilemi musicali della band, almeno per una sera.
Memorabile e assolutamente in linea con l’idea di musica del gruppo è stato poi il finale di concerto, con i tre in versione totalmente unplugged a cantare dietro il bancone del Tambourine “Aprirò un bar”, canzone che già qualche anno fa anticipava gli sviluppi futuri degli Zen Circus. Non perché abbiano aperto un locale, ma per il loro passaggio alla scrittura di ottimi brani in italiano, come dimostrato pienamente a Seregno, diventata per una sera un festoso circo zen.