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Intervista al musicista dopo l'annuncio del ritiro: "In Italia quello che conta sono i numeri, sono i guadagni, quindi sono anche le leccate di culo. La maggior parte dei giornali, sono gestiti male e molti giornalisti sono solo degli stupidi leccaculo".

 

Fotografie di Francesca Pontiggia

 

 

Quello di stasera al Tambourine sarà uno dei tuoi ultimi concerti. Pochi mesi fa hai infatti annunciato il tuo ritiro dalle scene. Tra i motivi principali di questa tua decisione c’è il clima che si respira nell’ambito della musica indipendente italiana. È davvero così pessima la situazione?

È pessima a seconda dei punti di vista. Per i punti di vista legati al fatto che sia un buon momento e che ci sia buona visibilità, che ci sia molta gente che suona e che suona bene, non è affatto pessima, anzi molto favorevole. Però è anche vero che, per quel che mi riguarda, è veramente pessima nell’atteggiamento, nell’etica, nella morale e in tutto ciò che ormai circonda il mondo legato alla musica alternativa, che è diventato veramente stucchevole, pieno di gente spocchiosa che si crede chissà chi, e che inevitabilmente finisce per non dare né un’immagine né un buon clima in cui lavorare. Quindi io purtroppo faccio molto riferimento a quest’ultima sensazione.

 

Se invece dovessi trovare un esempio da seguire, qualcuno nella scena alternativa che si discosta da quanto hai detto, chi sceglieresti?

Dal punto di vista artistico una persona che stimo molto è sicuramente Vasco Brondi, che è un mio carissimo amico. È una persona che tutto quello che ha lo merita, lo ha raggiunto con molti sacrifici, ma ciononostante è rimasta una persona con i piedi per terra, molto genuina, non certo riconducibile al resto dello schifo che gira in questo ambiente.

 

 

Hai anche accusato la stampa musicale, affermando che ormai non esistono più veri critici. Cosa manca oggi a chi scrive di musica, secondo te?

Manca la cultura, manca l’onestà. Per onestà intendo l’onestà interiore, non certo quella economica o riferita ai guadagni. Manca l’onestà nell’essere convinti di quello che si scrive e si abusa, secondo me, da un punto di vista di potere editoriale. Si continua quindi a dare ottimi voti a dischi che assolutamente non meritano e si è creata nel tempo, negli anni, una sorta di oligarchia, di paura di bocciare le cose che non meritano, che sono tante in Italia. Però in Italia quello che conta sono i numeri, sono i guadagni, quindi sono anche le leccate di culo. La maggior parte dei giornali, potrei farti anche i nomi ma forse non ne vale la pena, sono gestiti male e molti giornalisti sono solo degli stupidi leccaculo delle band importanti.

 

Il tuo ultimo disco è “Ingrediente Novus”, una raccolta di tuoi vecchi brani rivisitati per l’occasione. Cosa ti ha spinto ad affrontare un progetto del genere invece del solito best of?

Perché i best of innanzitutto non mi sono mai piaciuti, perché se io ho tutti i dischi di una band non vedo il motivo per il quale devo andarmi a comprare un best of, che ripete quello che ho già a casa nella mia discografia. Quindi è proprio nella nostra filosofia, parlo di me, della mia produzione e anche della mia etichetta, La Tempesta, è nel nostro DNA cercare di lavorare in una certa maniera, molto passionale, legata a una certa metodologia. Pertanto non ci siamo creati nessun problema nel pensare di ri-registrare anche i brani vecchi e di dare loro un nuovo vestito, più attuale, che potesse far in qualche modo sorridere l’ascoltatore, farlo immergere in questa nuova forma di poesia di brani già conosciuti, già ascoltati in altra maniera.

 

 

Assieme al CD è presente anche un DVD, contenente, oltre a un cortometraggio, un live elettrico ed uno acustico. In quale dimensione ti senti più a tuo agio sul palco? Per quali motivi?

Ti dirò, mi trovo molto bene sia quando suoniamo con la produzione intera, sia quando suoniamo in set un po’ più intimisti, come quello di stasera. In quest’ultimo caso mi trovo bene per il semplice fatto che io fondamentalmente compongo così, ho sempre composto i brani in maniera acustica. Poi è in sede di pre-produzione che gli arrangiamenti si sviluppano e diventano i brani che uno conosce negli album. Quindi mi trovo molto bene e probabilmente riesco ad esprimere tutta l’enfasi, la natura del mio scrivere; riesco sicuramente ad esprimerla molto meglio nei set acustici, come quello di stasera. Il concerto elettrico con la produzione è sicuramente un po’ più rock e si discosta un po’ da quelli che sono i miei gusti, le mie preferenze: io sono un grande amante della psichedelia, non del rock. È anche vero però che mi emoziono molto quando con la band facciamo delle performance e dei concerti convincenti.

 

Nel disco sono presenti anche due inediti. Uno di questi è “Per carità di stato”, il pezzo più direttamente politico che tu abbia mai scritto. Come è nata l’esigenza per te di scrivere un testo del genere? E credi che la musica abbia ancora la forza di veicolare messaggi sociali e politici?

Secondo me assolutamente sì, perché chi fa musica e ha un minimo di riscontro e un pubblico, anche piccolo come il mio, è in una condizione privilegiata. Quindi io, che scrivo e che poi realizzo il supporto discografico, posso permettermi, se mi è concesso, di cantare e di dire quello che mi pare. Quindi è una cosa molto importante, che secondo me ha ancora i suoi benefici e un suo potere. Per quando riguarda l’esigenza, direi che non è stata in realtà un’esigenza quella di scrivere un testo politico; mi è venuto così, in qualche giornata di disappunto, come nella vita di tutti noi. Ho incrociato sensazioni, parole e suoni in maniera un po’ melodrammatica, un po’ da titoli finali di un film di mafia; mi è riuscito secondo me molto bene, è un brano molto ispirato. Se dovessi dire che è stata un’esigenza però direi una bugia: semplicemente è nato, l’ho scritto, l’ho cantato e ne sono molto, molto, molto fiero.

 

Quali sono i tuoi progetti per i prossimi anni? Resterai per sempre al di fuori della musica o, magari, ti ritaglierai un ruolo diverso?

Innanzitutto il mio futuro sarà quello di uomo, che è la cosa più importante. Sicuramente sarà legato alla musica, dalle ceneri di Moltheni nascerà sicuramente una nuova creatura, che adesso non ha ancora forma, perché non è stata pensata. La musica resta e resterà una priorità nella mia vita, insieme ad altre cose è quella che so fare meglio. Continuerò a farla perché mi fa stare meglio. Quindi aspettate, con un po’ di pazienza, qualche nuova creatura in futuro, ancora non so cosa.

 

 

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.