A Milano un incontro di approfondimento sulla figura storica e letteraria di Ipazia, filosofa neoplatonica protagonista dell'ultimo film di Alejandro Amenábar.
A Milano, presso la Sala delle Colonne della Banca Popolare di via San Paolo, si è svolto qualche giorno fa un incontro pubblico tra studiosi e il regista Alejandro Amenábar, il cui ultimo film – Agorà, la storia di Ipazia, una celebre filosofa neoplatonica vissuta ad Alessandria tra il IV e il V sec. e barbaramente uccisa da una setta di fanatici cristiani – è in sala dal 23 aprile dopo essere stato presentato a Cannes.
L’incontro milanese – il secondo di un terzetto che ha visto partecipi anche Roma e Genova – è stato organizzato dalla casa di distribuzione Mikado in collaborazione con la rivista Reset, e ha coinvolto in un vivace dibattito il regista stesso, Umberto Eco, il teologo Vito Mancuso, le accademiche Eva Cantarella e Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri.
Uno scambio (a tratti piuttosto brillante, in verità) tra personalità e saperi forti, strutturati. Forse troppo: tant’è che di cinema – a ben guardare – alla fine si è parlato poco e nulla. Il povero Amenábar si è in effetti trovato a dover rendere conto di inesattezze storiche, di sottese accuse ideologiche, di travisamenti dottrinali. Di tanto in tanto, qualcuno dei relatori – con una certa bonaria condiscendenza – chiamava in causa le ‘licenze poetiche’ del film, ma sempre al fine di argomentare posizioni proprie di un discorso (intuiamo) di ben altra portata.
Sarà. Intendiamoci: il tema della tavola rotonda era quello, e d’altronde la vicenda della sventurata Ipazia merita tutti gli approfondimenti storiografici e metafisici del caso. La figura in effetti è di quelle che esercitano un fascino potente: ne testimonia la lunga esistenza letteraria del personaggio, che dal recupero illuminista in avanti ha goduto di incarnazioni prestigiose, da Proust a Mario Luzi.
Epperò. Epperò non si può fare a meno di pensare che tutto questo dispiego di sapere umanistico, dopo tutto, sia quanto meno eccessivo. Già l’intervento di Mancuso - sostanzialmente la ripresa di un suo articolo apparso su Repubblica il giorno prima – pare più indirizzato verso il cuore della faccenda: ma sarà poi vero, come vuole darci a intendere Amenábar – che le religioni sono geneticamente connesse con l’esercizio della violenza?
E qui – finalmente – il cineasta riesce a rispondere, a inserire una parola dissonante nelle paludate disquisizioni sull’Alessandria proto-cristiana. Il punto del film – dice – non consiste in un’accusa al Cristianesimo. Né in una denuncia della violenza implicita di tutte le fedi. L’idea è piuttosto quella di cogliere un momento di passaggio e compenetrazione tra due poteri (quello laico e imperiale, in declino, e quello temporale della Chiesa, in ascesa). Su questo sfondo, la figura di Ipazia emerge secondo un paradigma eroico forse più romantico che illuminista, ma comunque secondo dinamiche narrative proprie del racconto cinematografico (e non), che poco o nulla si curano e della veridicità storica e del suo contesto filosofico/dottrinale.
Il fatto poi che la Mikado abbia diffuso la notizia che il film – mostrato a una commissione di prelati (ma perché poi? «Per coinvolgerli») - sia stato accolto da ‘stizzito silenzio’ genera qualche sospetto sulla reale natura di tutto questo dibattito. E’ un peccato, perché usciti da questo incontro resta in bocca più il sapore del marketing furbetto che la suggestione simbolica di una storia che – come più o meno scriveva Luzi – è accaduta sì, ma continua prepotentemente ad esistere nell’eventualità della Storia, interrogando le epoche e le generazioni.
(nel segnalare questo ampio dossier sul dibattito in corso, riserviamo una nota finale – giusto una parentesi, ma doverosa – alla pessima organizzazione logistica. Per un quarto d’ora, dopo l’inizio del dibattito, dall’interno della sala si udivano le vibranti proteste di almeno un centinaio di persone, rimaste fuori dopo quaranta minuti di attesa caotica. Il tutto per via di un’avventata gestione delle prenotazioni e di una cattiva informazione ai mezzi di stampa. Il che è qualcosa che non ci si aspetterebbe da un’iniziativa di questa caratura.)