Per la prima edizione del Salone Davide Van De Sfroos, padrone di casa, sul palco con Giovanardi, Frankie, Syria, Voltarelli, Carrieri. Gli stand di venditori, promoter, editori e giochi
Foto di Francesca Pontiggia
Davide Van De Sfroos, direttore artistico del MOA, salutando al termine del concerto che lo ha visto protagonista domenica pomeriggio, ha detto: “Speriamo che questo sia solo l’inizio, la prima edizione di una lunga serie, e non una cosa estemporanea”. Un auspicio che non possiamo che fare nostro: l’idea di una fiera della musica, con stand, conferenze e concerti è sicuramente ottima, qualcosa che in Italia quasi mai si è cercato di organizzare seriamente e che a Cernobbio è stata affrontata con voglia di fare e un impiego di risorse non indifferente.
Certo, come ogni prima edizione di una manifestazione, alcune cose non hanno convinto, ma la sensazione generale al termine di tutto è stata senz’altro positiva: il clima che si respirava a Villa Erba era quello di un evento a misura d’uomo, capace di mescolare la realtà del territorio comasco ad una visione a più ampio respiro.
Abbiamo seguito le giornate di sabato e domenica della fiera, concentrandoci in particolar modo sul lato artistico, ma non disdegnando un giro tra gli stand, soprattutto mentre si esibiva la giovane promessa del bel canto Jessica Brando, 15 anni e tanta voglia di fare che le sono valsi un premio, consegnatole dal ministro Meloni (né applaudita né fischiata, per la cronaca). Stand che non sempre erano ad argomento musicale, se non da un punto di vista molto ampio (notevoli ad esempio le chitarre di cioccolato); per la prossima edizione la speranza è che più addetti ai lavori presentino il loro lavoro al pubblico, aumentando il numero di etichette discografiche presenti (un paio o poco più quest’anno) e magari anche di riviste di settore. Perché è bello giocare a Guitar Hero, ma la vera musica passa da altre strade.
Dopo la già citata Jessica Brando il palco allestito nel padiglione centrale e non all’aperto (causa pioggia) è stato occupato da Dente, una delle promesse del cantautorato italiano, emigrato da Parma verso la metropoli Milano per inseguire il suo sogno. La sua proposta musicale è abbastanza interessante, un mix tra l’ironia beffarda di Rino Gaetano e le atmosfere intime del Battisti di metà anni ’70. Non sempre funziona però: si passa così da piccole perle come “Vieni a vivere” o “Beato me” a brani con molto meno mordente, che riducono notevolmente l’impatto del live.
Molto meglio è andata con i Calibro 35. Il loro concerto è stato infatti un crescendo continuo, basato su pezzi sempre più coinvolgenti e funk, suonati in maniera impeccabile da quattro tra i migliori musicisti della scena italiana. Dopo una prima parte contrassegnata da brani più elaborati e dopo un break centrale con divagazioni nel noise anni ’80-’90, i brani finali sono stati un vero e proprio fiume in piena di groove, con il basso di Luca Cavina (da Forlì, in Pedania, come detto da lui) e i fiati e le tastiere di Enrico Gabrielli (da Arezzo, la città di Licio Gelli) a dominare la scena.
Dopo di loro è stato Morgan a chiudere la serata, con il suo nuovo progetto che coinvolge un’orchestra di 25 elementi. Per lui quasi 2 ore di concerto, non particolarmente entusiasmanti e contraddistinte da una certa prolissità; dopotutto si sa che il suo ego non è propriamente piccolo, quindi ci si può aspettare qualche celebrazione di troppo. Non ci si può invece lamentare delle canzoni: ad alcuni classici del passato (da Tenco a De André), riletti nel suo ultimo disco “Italian Songbook”, Morgan ha affiancato i pezzi migliori della sua produzione, ad esempio “Cieli Neri” dei Bluvertigo e “Altrove”, tratta dal suo esordio solista. Con qualche ridondanza in meno e con delle pause più brevi tra un brano e l’altro sarebbe andato ancor meglio, ma Morgan è fatto così, prendere o lasciare.
La domenica si è invece tornati a suonare all’aperto, davanti alla bellissima Villa Erba, uno dei migliori esempi dell’architettura ottocentesca comasca. Il concerto è diventato una festa, una celebrazione della musica d’autore officiata da Davide Van De Sfroos, accompagnato da una serie di amici, a mescolare generi e provenienze in nome della qualità. Si è passati così dalla tradizione milanese rivitalizzata da Mauro Ermanno Giovanardi (da brividi la sua interpretazione di “Gh’è ammò un quaivun”) a quella romana omaggiata da Syria con “Il barcarolo”; dall’inno rap di Frankie Hi-Nrg “Quelli che benpensano” alla grande canzone d’autore di Roberto Vecchioni; dallo spirito folk-punk dei giovani ticinesi The Vad Vuc al blues senza tempo di Fabio Treves con la sua inseparabile armonica; da Max Pezzali impegnato con “Pulenta e galena fregia” a Matthew Lee con il suo pianoforte rock’n’roll indiavolato; e ancora dal cantautorato calabrese di Peppe Voltarelli a una bellissima esibizione di Roberta Carrieri nella sua (e nostra…) “Vorrei”.
Memorabile il finale di concerto: tutti o quasi gli artisti sul palco a cantare “La Curiera”, con inserti in calabrese e barese e pure un passaggio rappato, a far capire una volta di più che la musica serve a unire, non a dividere.
Nelle foto, dall'alto: Syria, Max Pezzali, Davide Van De Sfroos e Roberta Carrieri, De Sfroos con Mauro Ermanno Giovanardi, ancora De Sfroos con Roberta Carrieri e Peppe Voltarelli.