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Il regista Andrea Caccia parla del suo film diario, suo e dei 70 adolescenti che armati di telefonino lo hanno girato.


Vedozero, un’idea, un progetto, un caleidoscopio per giocare con le immagini che 70 adolescenti dotati di 70 telefoni cellulari hanno girato “Rivolgendo le minitelecamere verso sé stessi”, questa la prima indicazione data dal regista Andrea Caccia, ideatore del progetto. “L’idea di Vedozero – così si legge nella presentazione del film – nasce dopo un decennio di esperienze maturate in ambito scolastico e cinematografico dal regista Andrea Caccia e dalla casa di produzione Roadmovie. L’intento: realizzare un film sul mondo degli adolescenti, fatto dagli adolescenti”.

Come è nato il progetto?

Per caso, come spesso capita, dalle esperienze di laboratorio fatte in molte scuole e dalle riflessioni che ne hanno seguito oltre che dalla mia passione per il cinema diaristico personale. Seguendo questi due binari ho pensato ad un progetto particolare che mi permettesse di entrare nelle scuole, luoghi dove il cellulare è molto presente ma anche molto “indemoniato”. Ho voluto mettere in mano a 70 adolescenti il telefonino come telecamera e in questo modo portarli a riflettere sul senso dell’immagine in maniera differente da quanto poteva accadere nei laboratori sui film o sui documentari. Per una volta ho scelto una alternativa al classico corso con lezioni frontali che spesso annoiava solamente i ragazzi, ho voluto mostrare loro invece cosa significa filmare oggi invitandoli a girare il cellulare verso di sé.

Cosa ha dato ai ragazzi questo progetto?

Innanzitutto la responsabilità di scegliere come descriversi, infatti Vedozero è un film non tradizionale in cui non c’è nulla di scritto prima ma è partito dai ragazzi che con ogni immagine hanno portato con sé i racconti che poi io ho solo intrecciato. Oltre alla possibilità di partecipare ad un progetto collettivo, che ha avuto anche una certa visibilità, spero che gli adolescenti che hanno partecipato, chi più chi meno, alla realizzazione del film, abbiano acquisito una maggiore capacità di guardarsi attorno con spirito critico. Utilizzando in prima persona il linguaggio cinematografico si diventa spesso maggiormente consapevoli anche di ciò che poi si guarda o che ci viene proposto.

 

 

Perché “Vedozero”?

Al momento della presentazione del progetto del film, in occasione del bando con cui poi è stato sovvenzionato, abbiamo scelto il titolo pensando al “ripartire da zero” e recuperare un senso della visione del mondo adulto e del mondo dei protagonisti stessi partendo da zero, da una tabula rasa, scartando fin da subito la tradizionale maniera di rappresentarli che esiste oggi. Questa è la nostra idea ma è molto curioso conoscere le differenti interpretazioni che sono state fatte, è una preziosa fonte di spunti e riflessioni sulla propria opera. Alcuni, ad esempio, hanno letto Vedozero” come “non ci sono valori in questi adolescenti” , un’accezione negativa, di mancanza di valori, che non era nostra intenzione comunicare.

Con che criterio sono stati selezionati e messi in sequenza i contributi dei ragazzi?

Prima di tutto ho voluto rispettare i temi proposti e i tempi ad essi dedicati mantendone le proporzioni anche nel lavoro finale, poi ho seguito alcune linee narrative e stilistiche scegliendo il materiale a seconda di percepivo un’eco della mia adolescenza. E’ stato affascinante trovare nei loro sguardi un punto di incontro con il mio sguardo, molti richiami alla mia adolescenza. Io, come regista, non ho girato nulla ma ho potuto comunque confezionare un film autobiografico.

Il contributo dei ragazzi nel montaggio?

Assieme a loro abbiamo scritto i testi, ad esempio, sempre cercando di vedere tutti i loro filmati come pezzi di un puzzle finito ma caduto per terra, pezzi che costituiscono un insieme ma che sono anche scollegati.

Come hanno accolto il progetto i docenti?

Inizialmente con entusiasmo ma, a film finito, alcuni si sono mostrati stupiti e spesso turbati dal vedere i propri alunni da un punto di vista differente: “Io pensavo di conoscerli i miei ragazzi”. Ne sono felice, un film deve cambiare lo spettatore che deve uscire dalla sala diverso da quando è entrato, la reazione dei professori è stato un segno della buona riuscita del progetto.

 

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Cosa vi ha fatto scoprire sui giovani Vedozero?

Mi ha sorpreso su alcuni aspetti, ad esempio dando loro tutta la responsabilità della scelta su come girare ammetto che mi aspettavo di ricevere molti più contenuti provocatori invece i ragazzi hanno subito seguito le indicazioni senza forzare la mano. Un’altra cosa curiosa che ho potuto notare è stata la quasi totale mancanza di sesso, e domandandone la ragione mi sono sentito rispondere “ci viene già sbattuto in faccia sempre, ci sono cose che meritano invece di essere tenute per sé”

Tre scuole di Rho, Monza e Vimercate, quale ruolo ha conquistato il territorio nel film?

Un piccolo ruolo, direi, se non zero: i luoghi sono spesso irriconoscibili, in quasi tutti i filmati ricevuti c’è una scarsa attenzione al territorio, gli spazi privilegiati sono quelli interiori e pochi si concentrano fuori dal sé. Il territorio o parla di sé o si riduce ad un semplice fondale, non c’è un attaccamento ai luoghi quasi a sottolineare quel senso di spaesamento e di voglia di fuga caratteristico dell’età dell’adolescenza.

E ora, i prossimi progetti?

Non ci sarà un “Vedouno”, ogni volta mi piace ripartire da zero.

 

www.vedozero.it