In mostra a Villa Filippini di Besana fino al 20 marzo gli arazzi e le borse realizzate dalle detenute delle carceri di Bollate e di Lecce: rieducazione attraverso l’arteterapia.
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a mostra, organizzata dalla cooperativa Zigoele, ospita due diversi tipi di prodotti: gli arazzi lavorati all’interno del carcere di Bollate e le borse, contrassegnate dal logo “Made in carcere”, realizzate dal penitenziario di Lecce.
La rassegna di Besana rientra nell’ambito di un più vasto progetto, “Al di là delle barriere”, finalizzato ad un veloce e completo reinserimento sociale dei detenuti attraverso un’attività artistica svolta in maniera professionale.
La scelta degli oggetti esposti è tutt’altro che casuale. Per la loro realizzazione sono stati infatti utilizzati ago e filo, emblema di laboriosità, per rammentare l’impegno e lo sforzo che queste donne devono dedicare al compimento di un percorso di pena lungo e difficile, non solo durante la permanenza in carcere, ma anche e soprattutto per il loro reinserimento in società a condanna scontata.
Alcuni arazzi sono stati realizzati con tecniche particolari che hanno richiesto lunghe ore di lavoro e hanno richiesto l’utilizzo del sapone, simbolo di purificazione dello spirito e della coscienza.
Le borse sono state realizzate con tessuti di scarto e riciclati, “per offrire un’altra chance alle donne detenute, ed un’altra doppia vita a tessuti ed oggetti”.
La cooperativa Zigoele è nata dall’incontro di quattro ragazze che hanno conseguito una specializzazione in terapeutica artistica presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera; essa realizza all’interno del carcere un’attività riabilitativa e terapeutica, ponendo l’attenzione sul linguaggio artistico come forma comunicativa e come “specchio delle vicende umane”.
Giunti ormai nel terzo millennio, in una società globale e civilizzata, il carcere non può essere più solo un luogo di reclusione ed isolamento. La rieducazione è un aspetto fondamentale della pena detentiva ed è un principio caratterizzante l’ossatura del moderno stato di diritto.
L’ articolo 27 della Costituzione Italiana, enunciando che “le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato”, sancisce il principio della finalità rieducativa nell’ambito della detenzione.
Tale concetto non può essere identificato con il pentimento interiore, emenda morale e spirituale, astrattamente possibile in qualunque condizione carceraria; rieducare il condannato significa riattivare il rispetto dei valori fondamentali della vita sociale.
“Rieducazione” non può essere intesa se non come sinonimo di “recupero sociale”, e di “risocializzazione”. Grazie all’attività lavorativa infatti, i detenuti hanno modo di imparare un mestiere e di costruire un percorso di riavvicinamento al mondo reale.
Un percorso che nella realtà penitenziaria italiana è spesso arduo in quanto i valori di legalità e solidarietà che ispirano la nostra costituzione e l’intero ordinamento giuridico rischiano di scontrarsi con gravose difficoltà pratiche; il sovraffollamento delle carceri ed il verificarsi di continui episodi di violenza sono più che mai una realtà.
La buona notizia è che negli ultimi anni grandi passi avanti sono stati fatti: nelle carceri di Bollate e di Lecce legalità e rieducazione non sono più un’utopia, e la mostra di Besana ne è una concreta e tangibile conferma.
Links: www.zigoele.weelby.com, www.madeincarcere.it .