Il professore, preside di Lettere e Filosofia dell'Università di Milano, è stato il sesto protagonista della rassegna Abitatori del Tempo 2011 sul tema della verità.
"V
erità nell'arte”: questo il titolo del sesto incontro di Abitatori del Tempo 2011, tenutosi l'11 Marzo a Giussano presso la sala consiliare. A tenere banco per più di un'ora, il professor Elio Franzini, studioso di estetica dell'Università di Milano, che comincia l'intervento stupendosi che così tanta gente abbia deciso in quella serata di autopunirsi a mò di “fioretto” della Quaresima per ascoltare la sua performance. In realtà , tutti i presenti sono stati ben che contenti di acoltarlo, data la straordinaria capacità di Franzini di calamitare l'attenzione dello spettatore e di provocarlo servendosi di immagini e musica.
La verità è per Franzini, come per tutti, ciò che corrisponde al reale. L'opera d'arte è un qualcosa di sensibile che non si accontenta di essere soltanto corrispondente al reale, ma essa stimola il pensiero. A esemplificazione di queste parole, Franzini fa ascoltare alla platea il mottetto Mozartiano “Ave verum Corpus”, scritto dal musicista per esprimere i sentimenti provati dai fedeli davanti alla morte del Cristo. Qualcosa di ineffabile, che va oltre il dato sensibile della musica, si accompagna al brano: questo è il pensiero nato dall'arte.
E così, Franzini avanza nei secoli illustrando come la conoscenza proveniente dall'arte sia stata interpretata dai filosofi: se Aristotele ne parla discriminandola rispetto alla storia, il cui compito è quello di narrare i fatti - mentre l'arte punta all'universale -, i neoplatonici del Consiglio di Nicea nel VIII secolo d.C. riconoscevano all'arte la possibilità che essa trasporti verso l'infinito (nel loro caso, Dio); Leonardo Da Vinci riesce a dimostrare come anche il dipinto nella sua immanenza possegga una sua verità: fatto ben constatabile nel suo “Adorazione dei Magi” del 1482. Il quadro palesemente non è una rappresentazione realistica della natura, ma uno studio sulla natura, sulle sue potenzialità, rappresnetate dalla moltitudine espansa degli alberi ai piedi dei magi, in cui su più piani di dimensione ci sono foglie, cespugli e rami. Questi piani visivi irreali sono i piani e le dimensioni del pensiero, sono le potenzialità arboree, sono le diverse prospettive da cui un dato, reale, può essere letto e pensato.
Leonardo da Vinci "Adorazione dei Magi", 1481-82
Se c'è un periodo della storia umana in cui la verità dell'arte ha rappresentato il fulcro dei dibattiti filosofici quello è stato il Romanticismo, in cui l'arte viene vista come portatrice di un messaggio di trascendenza e come modello qualitativo della filosofia. Ripetendo le parole di Shelling sulla bellezza artistica del Faust di Goethe, visto come capolavoro assoluto, Franzini coglie il segno dell'intera epoca: l'arte permette all'uomo di uscire dall'indifferenza, l'arte “ci introduce nella commossa meraviglia, che è la parte migliore dell umanità”. La funzione veritativa dell'arte consiste, per i filosofi romantici, nel riunificare ciò ora è scomposto: riunire natura e storia, permettere quello streben verso l'infinito, così perfettamente ritratto da Friederich nei suoi immensi dipinti naturalistici in cui vi è sempre uno sguardo umano in contemplazione: la natura che guarda alla storia, e viceversa.
Caspar David Friedrich "Viandante sopra un mare di nebbia", 1818
E dopo lo sturm und drang romantico, Elio Franzini porta al filosofo che maggiormente ha parlato della funzione veritativa dell'arte: Hegel. Per Hegel, che ha elevato l'arte a seconda forma assoluta dello Spirito, l'arte ha un valore di verità più grande della natura stessa, perché contiene anche un elemento conettuale. L'arte è la sintesi perfetta di idea e forma sensibile, essa è concetto in forma e materia. Ma dopo averla elevata così tanto, Hegel ne dichiara subito la morte: l'arte muore perché non più capace di tenere in equilibrio forma e concetto dentro di si.
Effettivamente, fa riflettere Franzini, l'arte muore quando nel mondo viene meno il concetto di bellezza. Oggi, si può affermare che non esiste più un'univoca idea di “bello”, l'arte è piuttosto legata a motivi contingenti o transeunti dalla vita psichica. “Un tipo di arte che ha perso il suo contatto originario con la bellezza ha pragmaticamente perso il suo carattere fondativo di vero?” chiede retoricamente Franzini. Paul Klee parlava dell'arte moderna notando il suo “equilibrio incerto”, Wassily Kandinsky parla dell'arte come di conglomerati, una cornice che contiene un'altra cornice che contiene dei quadri di forme diverse, il russo Malevič chiede apertamente come sia possibile definire “belli” i quadri astratti. Domande leggittime, ma ben retoriche, poiché l'arte moderna non si limita a rappresentare la realtà attraverso cui esplicitare un concetto: essa è già il concetto, essa è idea, essa è già pensiero.
Elio Franzini conclude il suo affascinante viaggio nel mondo dell'arte tirando le somme del suo discorso: la funzione dell'arte è quella di rendere intellegibili i valori profondi, che non siano necessariamente religiosi o teologici, ed il suo vero consiste nel render chiaro che il mondo è attraversato da più dimensioni e da una molteplicità di sensi, che vanno sempre interrogati in modo diverso, al fine di raggiungere la conoscenza. Non smettere mai di interrogarsi sulle cose, proprio come Paul Cézanne ha ritratto più di centoventi volte lo stesso Mont Victoire al fine di coglierne ogni sfumatura, ogni luce, ogni perché.
Chi è Elio Franzini
Elio Franzini (Milano 1956) è professore ordinario di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Dal 1 ottobre 2004 è preside della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Laureatosi con Giovanni Piana e Dino Formaggio, le sue ricerche si sono orientate, seguendo la tradizione della scuola milanese, verso la fenomenologia, che ha indagato in alcune sue connessioni storiche e teoriche con particolare riferimento ai temi della costruzione artistica, del simbolo e dell’immagine.
Nell’a.a. 2008-9 è titolare dell’insegnamento di Teorie della rappresentazione e dell’immagine.
Le sue prime ricerche si sono rivolte verso l'approfondimento di alcuni problemi di fondazione dell'estetica fenomenologica, con specifica attenzione ai temi della costituzione del sentimento, della temporalità e dell'oggetto estetico. Si è in seguito occupato di una fenomenologia della creazione artistica, approfondendo anche le relazioni fra espressione artistica e teoria delle passioni.
Accanto agli interessi relativi alla fenomenologia dell’affettività, ha sviluppato varie ricerche sulla genesi storica dell’estetica a partire dal Settecento, cioè dal secolo in cui l’estetica stessa è stata battezzata. Si è qui inteso mettere in luce come le ricerche estetiche settecentesche siano nate in uncontesto culturale caratterizzato sia dalla eredità delle retoriche secentesche sia dalle dispute filosofiche, artistiche e antropologiche che si sviluppano all’interno dell’epoca dei Lumi.
Configurandosi come un grande dialogo tra ragione e passione, tra elemento animale ed elemento spirituale, tra fiducia nella storia e pessimistica inquietudine, l’estetica esplora in questo secolo le possibilità e i limiti della natura e dell’uomo, intrecciando e costituendo, in tale ricerca, tutti quei
nodi concettuali (dalla bellezza al sublime, dall’immaginazione al gusto sino al genio e al sentimento) che costituiranno il patrimonio storico dell’estetica sino ai giorni nostri. Peraltro, il percorso conoscitivo all’interno del problema filosofico del sentimento, che ha avuto per principali protagonisti Hume, Kant e Husserl, oltre che i nodi essenziali dell’estetica tra Seicento e Settecento, ha permesso di costruire una sorta di orizzonte “psicologico” o “antropologico” a partire dal quale è possibile esplorare le basi fondative dell’estetica. I problemi della sensazione, del sentimento, del senso comune inquadrano infatti il senso gnoseologico dell’estetica, il ruolo cioè che essa riveste in una teoria generale della conoscenza. L’estetica incarna, in tale contesto, un “modo” specifico, precategoriale, della ragione, che svela il suo senso manifestando il significato conoscitivo dell’esperienza sensibile: all’origine del sapere, all’origine della scienza, vi è un “sentire comune” in cui doxa ed episteme si incontrano.
L’analisi di questo tema, del ruolo cioè della rappresentazione estetico-sensibile nei processi generali della conoscenza, ha condotto a indagare il senso dell’immagine e dell’immaginazione, e dei processi simbolici loro correlati, che conducono a costruire il percorso costitutivo di una
“fenomenologia dell’invisibile”. Il tema della “rappresentazione” e delle sue connessioni con il linguaggio e con l’espressione retorica e artistica dal Settecento sino alla tradizione fenomenologica è al centro dei suoi più attuali interessi.
Da dipartimento.filosofia.unimi.it