Italia Suxxx. Michele Wad Caporosso e l’urgenza di sentirsi parte del proprio tempo
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on è un libro autobiografico ma sicuramente c’è molto di Michele Wad Caporosso, della sua “fortuna” di nascere in provincia e di sperimentarsi tra radio (conduce una trasmissione su Radio Popolare Network, una rubrica su Radio2 Rai e un programma su Sky), siti web e carta stampata (collabora con Rolling Stone, Rumore, Vogue e L’Espresso) in una grande città come Milano da oltre cinque anni, in Italia Suxxx "Tempi duri, cani sciolti e musi sporchi", un saggio che – per forza di scrittura – è dovuto diventare un romanzo. Laurea in scienze politiche di Bari, braccio altamurano con l’associazione Back2Back e vocazione rigorosamente glocal, Michele Wad nel suo romanzo Italia Suxxx (che ad Aprile in Puglia verrà presentato il 10 presso il Laboratorio Urbano di Altamura, il 13 alla libreria Pasador di Santeramo e il 14 alla Feltrinelli di Bari, il 22 all'Einaudi di Barletta, il 30 al Bug di Bari) gioca tra musica e parole: con il pretesto di una trasmissione radiofonica impossibile che diventa rivoluzione, parla di sottocultura, di una generazione impotente e di una via d’uscita “obbligata” che passa per la trasformazione del “tempo libero”, della passione in lavoro.
Una scrittura sporca che accompagna il lettore in una rivoluzione fatta di parole e pensiero senza pretese di insegnare nulla, ma con l’urgenza di sentirsi parte del proprio tempo.
Perché hai deciso di scrivere questo libro?
L’idea iniziale, la proposta della casa editrice era fare un saggio sulle controculture giovanili in Italia di cui, nei miei articoli, fotografavo spesso il malcontento. In Italia si percepisce tanto malcontento nel settore della cultura, ma quando lo percepisci anche nei microcosmi della sottocultura – dove dovrebbe esserci solo passione - vuol dire che non si sta bene da nessuna parte. Vista la mia scrittura sporca, abbastanza impubblicabile a livello di saggio, è nata l’idea di costruire un romanzo. Poi il romanzo in fase di editing ha preso delle vie piuttosto anomale: da focalizzarsi sul dispiacere culturale in Italia è arrivato a mischiarsi con scene di guerrilla, con rifacimenti culturali agli anni ’70, alle rivolte americane che hanno avuto riflessi anche in Italia, e molta musica. Il punto di partenza principale è la frase che apre l'ultimo libro di Douglas Coupland "GENERAZIONE A", un libro che non ho letto né comprato ma che aprendolo in libreria mi ha colpito con questa frase di Malcom Mclaren (il creatore dei Sex pistols): se vuoi farti capire dalla tua generazione offendili e distruggili.
C’è un giudizio molto critico sulla generazione italiana.
Gente persa. Ovviamente generazione non intesa in senso anagrafico. Chi ha meno di 40anni ha una benda sugli occhi, è impotente.
La soluzione è la rivoluzione, come auspicava Mario Monicelli, il cui invito alla ribellione è citato nel romanzo?
Ho avuto il piacere di essere ospite nelle stessa puntata con Monicelli in una trasmissione radiofonica in Rai la scorsa estate, nello stesso periodo in cui disse quella frase ad Annozero che io cito a fine libro. Mi colpì molto: era una trasmissione fatta di giovani, ma un 90enne scosse la radio, la Rai. La rivoluzione va intesa ovviamente non in senso violento anche se – per assurdo – io direi che se proprio qualcosa deve succedere: vale tutto.
Purché succeda qualcosa?
Purché ci facciamo sentire, purché ci appropriamo degli spazi, purchè – come è spiegato nel libro – avvenga questo cannibalismo transgenerazionale. Adesso il tempo è nostro. Sentirsi parte del proprio tempo è fondamentale. Alla presentazione del libro che faccio alla Fnac di Roma tra i vari ospiti ci sono anche gli organizzatori della manifestazione Il nostro tempo è adesso (ilnostrotempoeadesso.it) che spiegheranno l’iniziativa. Nel romanzo non si parla di chissà quale mossa politica, è una storia, fiction e realtà al 50%, però è onnipresente un sentimento di urgenza fortissimo, che c’è in me, in chi rappresenta il romanzo e in chi si sente rappresentato nel romanzo.
Anche ad Alan, il protagonista, viene rivolta la fatidica domanda che cosa vuoi fare da grande? Tu cosa risponderesti?
E' una delle domande più inflazionate nella crescita di una persona. Ne siamo sottomessi sin da bambini. Tanto che nessuno sa rispondere. E’ inibitorio chiederlo. Io quello che voglio fare da grande lo sto già facendo e cioè: faccio quello che voglio, purchè sia sostenibile in questa parte del mondo.
Non è solo una questione lavorativa: il nostro tempo libero è ormai il nostro lavoro (come da quarta di copertina). Lo status di precarietà non è più lavorativo ma esistenziale. Poi c’è sempre chi decide di far vita da mantenuto o da impiegato alla vecchia maniera. Forse saremmo stati tutti più tranquilli e regolari se il sistema fosse rimasto fermo a vent’anni fa. La cosa positiva di questa insicurezza sociale e esistenziale, imposta dall’alto, è che adesso emergono le passioni. Ci si riduce a vivere dei propri sogni non come una speranza ma come ultima spiaggia. Per riadattare il discorso ad Altamura direi che è come se fossimo tutti sull’orlo del Pulo: la scelta è buttarsi o vivere dei propri sogni.
Uno dei protagonisti del tuo libro è la provincia, la gente che scappa dalla provincia e quella che trova rifugio dalle megalopoli.
La provincia è un vivaio di sentimenti, poesia e coraggio. Tutti i più grandi artisti provengono dalla provincia, che è una dimensione bellissima dove si sviluppa l’odio per la città circostante. Chi vive in provincia, odia la provincia. Chiunque ad Altamura odia, o lo ha fatto anche solo per un secondo, Altamura. Però chi nasce nella provincia è fortunato, la provincia è un ponte di credibilità e spessore verso il mondo. Soprattutto verso l'Italia, che è una grande provincia. Penso che il provincialismo sia un talento ma va coltivato: quando una persona di provincia arriva in città la spacca, “se la mangia”, ha la fame di chi vuole mangiarsi tutto. Un concetto importante del libro è la glocalizzazione cioè applicare alle dimensioni globali delle dinamiche locali e viceversa, creare degli incontri tra microcosmo e macrocosmo. Far scattare il cortocircuito.
C’è un passo in cui sembra di leggere Altamura: le feste patronali, le sagre, le processioni, la banda di paese, fare la maglia, il pranzo ad un’ora fissa, la donna che cucina e lava i piatti, l’uomo che lavora e poi guarda la tv […] le megaparentele, quello è il figlio del cugino di mio nipote, l’assessore è mio zio alla lontana, l’omofrafobia cioè la paura che tuo fratello o qualcuno in famiglia sia gay, le liste civiche degli pseudo-giovani alle elezioni, quell’erezione popolare da sindrome elettorale, il free press locale che imita “l’Espresso”, il tipo alla radio che ancora fa denuncia come fosse Peppino Impastato, la giustizia privata, la malavita locale, il boss ucciso con 33 colpi di arma da fuoco, l’aperta campagna e la chiusa mentalità…
Il romanzo non è autobiografico, e quella città non è necessariamente Altamura, sarebbe riduttivo individuarne una sola. Però per esempio il giornalista cui faccio riferimento, è assolutamente Alessio Dipalo. Secondo me è una persona che dovremmo abbracciare. Io non seguo molto come viene visto a livello locale, ma bisogna amarlo e basta, indipendentemente da quello che dice. Nessuno dice la verità, ma pochi provano a farlo.
Quella sua rabbia, che inevitabilmente ricorda Peppino Impastato, un eroe della radio di denuncia e dell'antimafia. Sicuramente dirà una serie di cose sbagliate, ma è una persona onesta, che ha entusiasmo. Quando pensi a Peppino Impastato si pensa ad un mito, oltre che a un martire, non capisco perché quando si pensa ad Alessio Dipalo lo si mette al muro. Solo perchè non è stato mai ucciso, o perchè ad Altamura non c'è nessun Badalamenti. Non lo seguo molto stando fuori Altamura, però quando posso lo faccio: trovo che sia divertente, crea ragionamento, dibattito, e soprattutto non si sottomette.
Tanti sono i personaggi famosi coinvolti nella trasmissione radiofonica dai protagonisti: da Lee Scratch Perry a Diplo, da Neffa a Wyclef. Quali sono i tuoi miti di riferimento? I tuoi simboli?
E’ difficilissimo rispondere. La mia attitudine è sempre stata "fan di nessuno". Odio tutti i fanatismi, anche perché quando conosci le persone ritenute dei "geni", ti accorgi che sono persone talmente normali, quasi sempre deludenti. Anche artisti famosi a livello mondiale alla fine spesso sono frustrati e insicuri. Se proprio volessimo individuare qualcuno all’interno della cultura italiana indicherei solo gente che è gente sul serio.
Dal romanzo emerge un giudizio negativo anche sulla politica. Durante le elezioni, ad esempio, si organizza un grande viaggio per andar via dall’Italia.
Ma si, ormai la gente non vota più, c’è uno scetticismo generale, non c’è più legame tra istituzione e persone. L’idea stessa che una persona sola possa far qualcosa ottenendo una carica istituzionale, quest’idea è fallita. A livello locale si diventa politici solo per non dover chiedere favori agli altri. E' banale, ma è vero.
A livello nazionale è tutto amplificato estremamente, ma il meccanismo è lo stesso. Magari siamo capitati in un’epoca storica sbagliata, ma va detto che chi c’era prima di noi ha fallito. Solo se ne prendiamo atto, possiamo convivere con il male momentaneo, con questa lotteria genetica che ci ha voluto giovani in quest’epoca di disastri e disegnarci noi il paese, il piccolo paese piuttosto che la nazione. Questo non è vittimismo generazionale, chiunque ha un attimo di sensibilità capisce che siamo anestetizzati. A livello politico non si può far niente, ci si può solo far convincere dal più simpatico o seducente di turno. Io ho sempre votato ma non non credo sia quella la via.
La via dei partiti va resettata. Per esempio sarebbe bello pensare un triennio – anche ad Altamura per esempio – in cui la politica locale e tutta la gente che la decide si fermi per lasciar fare a chi ha entusiasmo e gioia di creare qualcosa. Sarebbe esemplare, ma è solo una fantasia da scrittore, un'utopia.
Michele Wad Caporosso voterà per i referendum di giugno?
Certo. Poveri o ricchi, ci restano due cose: l'aria e l'acqua. E’ inverosimile che si possa mercificare l’acqua. E' fantascienza che qualcuno voglia appropriarsene, con tutti i business collaterali. Su questo io sarei quasi per un ritorno evangelico a riempire l’acqua dalla fontana. Certe cose del passato hanno il loro fascino.
Intervista per gentile concessione dell'autrice e di Free Magazine
Foto tratte dalla campagna "Luoghi comuni" di Lettera 27
Michele Wad Caporosso conduce una trasmissione su Radio Popolare Network, occasionalmente fa il DJ e collabora con Rockit, Rolling Stone, Vogue, Rumore e L’Espresso: mescolando l’esperienza sul campo, un citazionismo infarcito di testi e interviste a personaggi più o meno noti del panorama musicale contemporaneo (almeno per i non addetti ai lavori), costruisce una storia che descrive e riflette lo stato di calma apparente che i giovani disoccupati vivono in questi ‘cazzo di anni zero’. Seppur infarcito di sogni, situazionismo spiccio e boutades gratuite, il libro scatta una polaroid precisa e in molti punti tagliente di quello che è l’Italia dei trentenni di oggi.
Un paese costituito da stranieri in terra straniera, che hanno solo ‘futuri impossibili davanti’ e che se potessero passare al comando non saprebbero però dove mettere le mani. Anarchismo light che riflette sulla sua capacità di non modificazione del reale, ma che nell’utopia e nel web 3.0, ovvero nel futuro tutto da costruire now, virtualmente trova la sua ragion d’essere.
In chiusura, una bella citazione di Monicelli: “Spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. [...] È doloroso, esige dei sacrifici. Se no (il popolo), vada alla malora - che è dove sta andando, ormai da tre generazioni”. Per inguaribili sognatori il motto da scrivere sui muri resta, per qualche lunghissimo istante, Italia Suxxx. E poi? Sta a voi decidere ‘che fare’.
(Dalla recensione di Marco Braggion su SentireAscoltare)