Un festival nel quale la parola d'ordine è "oltre": andare oltre un'unica forma di arte e comunicazione, un'unica lingua, un'unica espressione, un unico simbolo. Arte, musica, letteratura si fondono nei tanti incontri in nome dell'amore per la cultura.
Si è conclusa la settimana scorsa la dodicesima edizione della Milanesiana, kermesse culturale ideata da Elisabetta Sgarbi e promossa da Provincia, Regione Lombardia e Comune di Milano, nonché dalla Fondazione Corriere della Sera e tanti altri importanti sponsor (da Lottomatica a Eni, per dirne alcuni).
Progetto nato dalla volontà dei primi anni 2000 di rafforzare il lato più squisitamente culturale della città di Milano, quest'anno la Milanesiana si è allargata ed espansa fino ad andare oltre i suoi stessi confini: appuntamenti gemellati (due mostre e un incontro con gli autori) si sono infatti svolti nella vicina Torino, segno di una volontà prorompente che spazia aldilà delle barriere per diventare davvero interculturale. Inoltre, ulteriore novità dell'anno, presenti anche i videogiochi tra le arti omaggiate.
Per chi non la conoscesse, infatti, la Milanesiana è proprio un festival nel quale la parola d'ordine è "oltre": andare oltre un'unica forma di arte e comunicazione, un'unica lingua, un'unica espressione, un unico simbolo. Arte, musica, letteratura si fondono nei tanti incontri in nome dell'amore per la cultura. Ed anche dell'idea principe che detta il ritmo degli eventi. Quest'anno il tema scelto era "bugie e verità".
Descrivere tutti gli eventi, visitare tutte le mostre, ascoltare tutti i concerti e partecipare a tutti gli aperitivi con gli autori è pressoché impossibile. Guardando il programma, in effetti, ci si domanda se i milanesi possiedano il dono dell'ubiquità - o siano dei pallidi presenzialisti. Dal 26 giugno al 12 luglio è un continuo evolversi di eventi e mostre, che lasciano lo spettatore sopraffatto dall'abbondanza della scelta. Non potendo purtroppo sdoppiarsi in tutti i luoghi coinvolti e non avendo la possibilità di assistere ad ogni avvenimento, si consiglia caldamente agli avventori di studiare bene il programma, puntare i propri orologi per gli eventi gratuiti (in cui una lunga e affollata fila vi attenderà) e scegliere quelli cui partecipare pagando.
Premessa doverosa per presentare Le bugie dell'anima, titolo dell'evento del 5 luglio 2011 svoltosi al Teatro dal Verme (Milano, via San Giovanni sul Muro, 10 euro) alle 21.00. In realtà, l'evento è cominciato un po' più tardi dell'orario indicato, ma questo gli spettatori se lo aspettavano, dato che il primo artista venuto ad esprimere le sue bugie (dopo l'emozionato ed elegante preambolo dell'organizzatrice, Elisabetta Sgarbi) era Morgan. Gli "Ambigrammi musicali" che ha eseguito al pianoforte, accompagnato da fagotto e violoncello, erano suoi recenti pezzi rivisitati, in cui il musicista ha mischiato improvvisazione e copione, gorgheggiando tra i tasti e con la voce (ma con più scarsi risultati). Il suo intervento, molto applaudito, molto divertito e divertente, inframmezzato da qualche battuta finto volgare ( altrimenti, per sua stessa ammissione, poi si dice che Morgan "è cambiato, non è più rock") è culminato nell'esecuzione de "Il nostro concerto", in versione molto appassionata e anche molto piacevole. Morgan va via ringraziando la Sgarbi, senza la quale la Milanesiana non esisterebbe, e ciò sarebbe davvero un grave peccato.
Subito dopo, si cambia genere (pur restando, da programma, ancora nel "prologo": prologo musicale quello di Morgan, prologo cinematografico quello a seguire): parte sul grande schermo nero allestito in teatro Trans Siberian Window di Theo Volpatti. Il giovane fotografo, videomaker, documentarista, già noto per il suo lavoro alla Triennale 2007 Beijing In And Out, propone una serie di immagini che scorrono veloci come un rapido viaggio in treno scattate dall'effettivo viaggio che l'autore ha compiuto in Russia. Donne, spazi giganteschi, camere di albergo, qualche scorcio urbano, albe o tramonti, si sussegguono a ritmo elettronico, dando l'impressione di irrequietudine e immensità di quella zona del mondo.
La parte centrale dell'evento è affidata ai reading in lingua di due autrici straniere contemporanee. Parte prima: Bugie e falsità. Ecco che Catherine Dunne, edita in Italia con Guanda, famosa per La metà di niente, si alza e comincia a leggere con il suo squisito e posato accento irlandese. Il suo contributo è molto astratto e teorico: la Dunne parla del concetto di menzogna, inducendo a riflettere come il linguaggio sia già una sorta di bugia, perché ogni parola è un simbolo, è un qualcosa che sta per qualcos'altro. Proprio per questo motivo, afferma, la letteratura ha un compito altissimo: quello di trasformare la bugia (la lingua) in verità ( il significato), un compito che definisce alchemico, "di trasformare il vile metallo in oro". La menzogna condivisa (=il linguaggio) permette a tutti di credere alla finzione e trovare la verità in essa, attraverso la letteratura – quella buona, naturalmente.
Parte seconda: Ludmila Ulitskaya, Variazioni su bugie e verità. La voce rude e profonda della scrittrice russa, che in un'intervista dichiarò di non aver paura di Putin e membro del parlamento culturale europeo, incanta la platea con gli intimi ricordi sul padre, che per tutta per tutta la vita ha raccontato inenarrabili storielle, ridicole ed inventate, perdendo completamente la credibilità davanti agli occhi di chiunque, fino all'ultima beffa arrivata poco prima che morisse.
Gran finale con Harold Pinter, i cui Tradimenti (estratti) sono interpretati da Nicoletta Braschi, Tony Laudadio e Enrico Ianniello. Gli attori rendono perfettamente a leggerezza e l'ironia del testo di Pinter, portandoci in un attimo in Inghilterra, nelle relazioni extraconiugali di tre amici, in una triangolazione di castelli di menzogne e falsità, dette e non per non ferire l'animo altrui, fatto di flashback a ritroso e verità galleggianti.
Degli oltre 35 appuntamenti in programma questa è stata una ricca istantanea, che permette di cogliere lo spirito quantitavamente e qualititavamente elevato della Milanesiana, ma in verità, non permette di comprenderne a pieno lo spirito.