Le nostre interviste a Gianni Biondillo e a Maurizio Matrone, entrambi classe '66, protagonisti dell'ultimo appuntamento alla biblioteca civica di Brugherio
Oltre che la scrittura, li accomuna una forte passione per la musica. Ex chitarrista l'architetto milanese Biondillo, cantante mancato (o meglio non pervenuto, come dice lui) l'ex poliziotto Matrone, residente a Piacenza ma una vita intera trascorsa a Bologna. Altro tratto comune, tutti e due sono stati catalogati in un genere che non rende completamente giustizia alle loro esigenze letterarie. Con loro abbiamo parlato di scrittura, influenze e del ruolo dello scrittore (ma non solo) nella società moderna.
Maurizio Matrone
Un poliziotto pedagogo: sarebbe una società migliore se fossero così tutti i poliziotti, o sono due funzioni difficilmente compatibili, al di là dei casi individuali come il suo?
Sono due percorsi completamente diversi. Sarebbe auspicabile che ogni poliziotto avesse una preparazione professionale, ma a trecentosessanta gradi, non che per forza siano pedagogisti, psicologi, o sociologi. Dovrebbero avere tutte le competenze e le capacità necessarie per comprendere ciò che li circonda. So che purtroppo non è sempre così. La professionalità è importante per qualsiasi lavoratore, intendiamoci. È poi vero che lo è a maggior ragione per una professione come il poliziotto, che svolge, o dovrebbe svolgere, una funzione d'aiuto, e non di repressione. Si ha a che fare con vittime, persone con dei problemi, che hanno bisogno di supporto. Avere tutte queste competenze però non è facile: dovremmo avere non un poliziotto, ma un super-poliziotto.
Ha proposto al Ministero degli Interni di dipingere le auto della polizia con dei graffiti: le forze dell'ordine devono riannodare un contatto perduto con la società?
È una cosa vecchia, di quando ero poliziotto. Si trattava semplicemente di una boutade, come a dire: facciamo qualcosa di spiritoso siamo troppo seri. Ci fu un vicequestore che mi chiese: perché vuoi graffiare le auto della polizia? Si chiuse lì. La polizia non dovrebbe avere bisogno di riannodare contatti, perché situazioni drammatiche come G8 di Genova o Uno Bianca non possono determinare una totale mancanza di fiducia. Se non ti fidi delle istituzioni vuol dire che non siamo in un paese democratico. Bisognerebbe che tutti ci fidassimo della polizia, nonostante alcuni "cattivi" che minacciano, vessano, picchiano o ammazzano.
Un giallista è lo scrittore più adatto a raccontare l'Italia di oggi?
Il giallista è certamente adatto a farlo, perché grazie alla finzione letteraria può rappresentare la realtà meglio degli altri, meglio anche di un giornalista. Dovrebbero avere questo privilegio tutti gli scrittori, però il Giallo è quell'occasione narrativa che ti permette di raccontare cose che altri non hanno il coraggio o non vogliono raccontare.
Ha scritto per la televisione: quest'esperienza ha influenzato la sua scrittura letteraria?
Forse ha rafforzato in me la capacità di sintesi. La televisione appiattisce molto la dimensione narrativa, spesso per paletti esterni, dovuti a disponibilità economica: scene che dovrebbero essere girate in esterni vengono poi riconvertite in interni, e lì si deve spesso cambiare tutto. Insomma, bisogna mediare, è una scrittura diversa.
Le sue storie hanno origine da fatti veri: il lavoro più grosso è di inventiva o di ricerca?
Tutte e due le cose. Un conto è l'esperienza vissuta da me e che io posso raccontare, un altro invece è la finzione che devo aggiungere su quei pezzi di realtà. Io non racconto la verità, ma solo qualcosa di verosimile, e questo accade a tutti gli scrittori, di qualsiasi genere.
Come lavora sui personaggi? C'è una "riscrittura", o arrivano sulla pagina così come sono?
I miei personaggi li ho conosciuti tutti. Sono persone reali che subiscono poi una trasposizione sulla carta. La riscrittura c'è, nei libri queste persone cambiano leggermente, per ragioni narrative e non: tendo a non renderle immediatamente riconoscibili, soprattutto per evitare eventuali querele.
Qual è il criterio che usa per distinguere una storia che merita di essere trasposta in letteratura da una che non lo merita?
Tutte le storie meritano di essere raccontate. Bisogna poi vedere in che lingua e come le racconti. Tutte le storie sono straordinarie, in qualche modo. È come le racconti che dà loro valore. Anche ognuno di noi ha una sua storia, che magari giudichiamo banale, ma non lo è, dipende solo da come scegli di narrarla.
Oltre che Pedagogia, ha frequentato anche Belle Arti: la pittura è un'attività a parte o le dedica lo stesso tempo della scrittura? Influenza il suo stile narrativo?
In realtà mi piacerebbe dedicarci più tempo, ma in questo momento la scrittura mi occupa di più. È un arte che aggiunge sicuramente qualcosa alla mia scrittura letteraria, perché le due tecniche, anche se diverse, possono contaminarsi, sovrapporsi l'un l'altra.
Gianni Biondillo
Da ex musicista, quanto è influenzata la sua scrittura dalle preferenze musicali?
Io ho proprio scritto un libro, "Per sempre giovane", in cui in ogni pagina c'è una canzone citata o criptocitata, una vera propria colonna sonora. Parla di quattro ragazze che suonano in un gruppo, che fanno un viaggio. La musica per uno scrittore è importante, ogni pagina che scrivo ho bisogno di rileggerla ad alta voce, per sentire la cadenza, il ritmo, il timbro... senza dubbio la scrittura è musicale. Credo che ogni scrittore senta la musica mentre scrive.
Mai pensato di scrivere testi di canzoni?
Sì, come no. In realtà l'ho anche fatto, da ragazzo con il mio gruppo, in cui ero chitarrista e cantante. Poi ho smesso, d'altronde non si può fare tutto nella vita. Non lo escludo, ad ogni modo.
Ha raccontato nei suoi romanzi le periferie di Milano: quanto è realistica la sua Quarto Oggiaro?
È realistica nella misura in cui ho passato tutta la mia vita lì fino a poco tempo fa. Mia madre vive tuttora lì e ogni domenica ci vado. Io non posso che raccontare ciò che conosco, partire dal vero.
Può essere uno statuto del Giallo, questo partire dal vero per poi astrarre in letteratura?
Non per forza, si può anche scrivere un giallo da "camera chiusa" che con la realtà circostante ha ben poco a che fare. È vero però che negli ultimi anni il noir e l'hard-booiled hanno contribuito ad un aumento dell'attenzione verso il contesto. Il Giallo è diventato quasi una sorta di romanzo sociale.
Quanto c'è di sé stesso nel personaggio dell'ispettore Ferraro?
La domanda è difficile, c'è poco e molto. Per una serie di ragioni io non sono l'ispettore Ferraro: innanzitutto lui fa un mestiere io un altro; lui è divorziato e io no; lui lo chiamano chiodo per la sua magrezza e di me questo non si può dire. Però gli autori quando scrivono mettono sempre qualcosa di se stessi nei loro personaggi, ed è per questo che sicuramente Ferraro un po' mi somiglia.
Perchè questa domanda la si fa più spesso ai giallisti e meno agli altri scrittori?
Questo perché si fa una distinzione impropria fra scrittori e giallisti, distinzione che fatico a capire. Chi fa letteratura di genere più facilmente di altri ha personaggi di natura seriale, e allora viene da pensare che se continui a scrivere di quel personaggio, quel personaggio sei tu. Ma in realtà non è obbligatorio né necessario.
Ha senso per lei parlare di letteratura di genere, o siamo in una fase di nuova codificazione letteraria?
Se il genere fosse semplicemente interpretato come una codificazione, allo stesso modo dell'antichità in cui c'era la commedia e la tragedia, l'epica e quant'altro, il problema non ci sarebbe. Si pone in Italia, perché da noi quando si parla di letteratura di genere si intende sempre una letteratura di serie b, mentre quella vera è un'altra cosa. Io non ho mai capito che cos'è. Forse il romanzo borghese, ma anche lì bisogna capire cosa sia poi davvero il romanzo borghese. L'unica vera distinzione di genere che riesco a capire è quella che divide i libri scritti bene dai libri scritti male.
Cosa ritiene di aver imparato dall'esperienza di scrivere per la televisione? Ha avuto influssi anche sulla sua scrittura letteraria?
La scrittura televisiva in sé, se guardiamo al mercato nordamericano, è una punta avanzata della narrazione. In Italia invece è un'attività spesso deprimente, anche per dei buoni lavori. Succede che uno scrive qualcosa di buono, ma poi viene talmente modificato da risultare irriconoscibile persino per chi l'ha scritto. È un discorso ambivalente. Io non ho problemi a scrivere per la televisione e per me comunque ogni tipo di scrittura va sempre ad aggiungersi al tuo personale fagotto di esperienze. Non si può pensare di trasferire automaticamente la scrittura televisiva nella scrittura di un romanzo perché uccideresti entrambe. Sono modi diversi di pensare la scrittura e devono restare tali.