«Non solo una galleria d’arte o un laboratorio dove frequentare corsi di arte visive, ma un luogo di incontro,
un luogo vivo e vivace di dibattito sull’arte, di sperimentazione»
Siamo di nuovo in via Giovanni da Sovico 96, Sovico, Brianza. Il 29 gennaio scorso Dario Brivio ha inaugurato la nuova sede dello Studio d’arte Apeiron. L’inaugurazione ha visto un grande successo di pubblico: collezionisti, giornalisti, curiosi, appassionati d’arte, amici. Protagoniste assolute le opere dei giovani artisti che hanno dato il via all’attività espositiva della nuova sede: le terrecotte di Gionata Ranzoni, i lavori di marmo di Matteo Pavi, le fotografie di Silvia Mornati e poi ancora le opere lignee di Tommaso Melideo e Christian Costa.
Dopo il fermento dell’inaugurazione, raggiungo Dario telefonicamente per una chiacchierata, a distanza di qualche giorno, giusto il tempo per lasciar sedimentare impressioni, considerazioni. Voglio sapere che cosa sarà esattamente questo nuovo spazio e lui mi spiega che l’obiettivo del suo studio d’arte è racchiuso nel nome stesso che ha scelto: «Il concetto di ápeiron, ideato da Anassimandro, filosofo greco, si rifà alla materia indeterminata, oltre che infinita, senza limite. Lo spazio infatti non vuole essere soltanto una galleria d’arte o un laboratorio dove frequentare corsi di arte visive, ma un luogo di incontro, un luogo vivo e vivace di dibattito sull’arte, di sperimentazione, basato un principio molto semplice, ma per nulla scontato: innovazione e creatività nascono sempre dalla condivisone e dalla contaminazione reciproca».
Incuriosita indago su quali sono i progetti nel medio-lungo termine. «Il principio ispiratore di tutte le attività espositive sarà certamente quello ecologico, ambientale; selezionerò artisti che hanno una ricerca artistica e una sperimentazione legate a temi quali riciclo, riuso, natura, terra, montagna.
Tra i progetti che intendo realizzare nel prossimo futuro c’è quello delle residenze d’artista: inviterò un artista a ideare, creare, realizzare l’opera nel mio spazio; in ogni momento il lavoro potrà essere osservato da ospiti, cittadini, semplici curiosi. La mia vuole essere una ricerca continua della qualità, anche nella promozione di giovani artisti emergenti».
«Altro progetto a cui tengo molto e che sto già realizzando è quello dell’Artoteca: una vera e propria biblioteca di opere d'arte che diventano fruibili ad un pubblico vasto, con l’intento di andare oltre i tradizionali limiti dell'arte contemporanea, troppo spesso considerata “di nicchia”. Voglio offrire un servizio che sia sociale, culturale ed educativo oltre che artistico. Insomma uno spazio aperto alla comunità, alle persone, non soltanto agli operatori del settore».
Ripenso alla stufa a legna che scalda l’ambiente, agli scaffali di cartone (rigorosamente riciclato) sui quali ci sono libri d’arte, cataloghi di mostre, monografie; ripenso a quel grande tavolo da lavoro di legno massiccio che un tempo capeggiava in qualche laboratorio artigiano. Concludo la telefonata ringraziando Dario e intanto non posso fare a meno di pensare che ci sono persone che riescono ad avere un ruolo di catalizzatori nelle comunità in cui vivono, operano e lavorano. Persone che sanno creare sinergie, sanno inventare luoghi e modi per l’incontro, contaminazioni. Di certo Dario appartiene a questa specie. Non ci resta che augurare buon lavoro!