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Dossier: Gli anni Ottanta. Intervista a Massimo Pirotta, uno tra i fondatori dello storico locale di Mezzago e co-autore del libro che ne celebra l'anniversario

 

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li anni Ottanta brianzoli videro anche la nascita di un piccolo miracolo, non economico o industriale come si potrebbe pensare di primo acchito, ma culturale e musicale. Un miracolo che continua ancora oggi: il Bloom di Mezzago, il luogo che dal 1987 ha portato la Brianza più profonda al centro delle mappe del rock e della musica alternativa. Abbiamo interpellato Massimo Pirotta, uno dei fondatori della cooperativa che fin dall'inizio guida il locale, per capire il perché di questa anomalia e dei suoi sviluppi incontrollati, che allora come oggi rendono un po' più viva la nostra terra.

 


Un evento "storico": i Nirvana live al Bloom

 

Nell'87 come oggi, la Brianza ha timore verso qualunque cosa che si muove dai canali tradizionali.


Qual era la situazione dal punto di vista della cultura e della musica live in Brianza nel 1987? Come si trovava chi voleva fare arte e cultura allora?
La Brianza è ed è sempre stata conservatrice. Al di là di chi vince le elezioni amministrative. Nell'87 come oggi ha timore verso qualunque cosa che si muove dai canali tradizionali. Ma anche qui esistevano realtà e soggetti che seppero proporre sguardi diversi dall'imperante cinismo, fatto di villette a schiera, vie deserte nelle ore serali, luoghi di produzione dei manufatti dell'eccesso. Tutti elementi che l'hanno fatta debordare in labirinti da cui è difficile uscire. Ed infatti, oggi convive con la malavita organizzata, l'immobilismo politico, nuovi drammi sociali, gli uffici in cui si lavora (le fabbriche sono sempre meno) che sono i maggiori luoghi di socializzazione. La cultura, qualsiasi, è sempre stata considerata un sovrappiù, qualcosa di non strettamente necessario e nelle migliori delle ipotesi un vacuo svago dopolavorista. Le mie considerazioni possono sembrare impietose, ma sono sincero: questa terra, nella quale sono cresciuto, non è la mia terra. Perché sono sempre stato attratto da nomadismi, ricerche dell'altro, essere in movimento. Nella Brianza dell'87 la musica live non era altro che una sommatoria di episodi a fasi alterne. Va detto, che in precedenza erano sorte realtà che tentarono di dare una svolta a tutto ciò. Prima fra tutte, Radio Montevecchia, che organizzò i concerti di Franco Battiato (Teatro Villoresi, Monza), Teresa De Sio, The Gang, eccetera e l'ultima volta dal vivo di Demetrio Stratos, che si esibì al Teatrino della Villa Reale pochi mesi prima di morire. Oppure le edizioni del "Festival della Luna" ad Arcore e la breve ma significativa esperienza dell'Art Noveau a Monza.


C'erano luoghi o entità che erano punti di riferimento?
Nel mio caso specifico, furono determinanti alcuni contesti. L'ala conflittuale e creativa del Movimento del '77, il "ribellarsi è giusto", la convinzione che il mondo ha fatto dei passi in avanti quando gruppi di persone o singolarmente hanno avuto il coraggio di dire no. Accanto a ciò le mie passioni: il free-jazz, la canzone di protesta, il punk, il post-punk, il rockclubbing anglosassone, il cinema d'essai. Certe letture: Cesare Pavese, Italo Calvino, Luciano Bianciardi, Carlo Cassola. Una cosa che in pochi sanno: il curiosare e l'approfondire tematiche che prefigurano le mutazioni urbanistiche di ieri, oggi, domani. Morale della favola: se il Bloom non avesse aperto i battenti, penso che sarei finito col trasferirmi a Londra (città che frequentavo a più riprese) a fare il lavapiatti.

 

Bloom esterna


Il Bloom, sin dai suoi inizi, è stato un luogo con più anime. Ha avuto il merito di essere "luogo aperto"

Come nasce il Bloom? Quale fu la spinta decisiva per la sua creazione? E quali le caratteristiche da ricercare?
Il Bloom, sin dai suoi inizi, è stato un luogo con più anime. Ha avuto il merito di essere "luogo aperto", di praticare l'arte degli incontri, di intuire che le differenze di opinioni, se ben incanalate, sono una ricchezza e non un problema. Ha saputo intercettare la vera sfida da affrontare: quella sul terreno della comunicazione. Abbinato a ciò: un milione di lire a testa moltiplicato più o meno per quaranta, cioè le persone che diedero il via alla cooperativa, come fonte di autofinanziamento. Un ex-cinema da far rivivere, voglia di fare e di esserci. E l'immancabile domanda: e adesso che si fa? Un salutare quesito. Ti insegna a tenere la mente in allenamento e a porgere lo sguardo dove altri non prestano attenzione. E dove, spesso, c'è il nuovo che avanza.


La scelta dei gruppi da far suonare agli inizi come veniva presa, sia per quanto riguarda quelli stranieri (i primi furono i Fleshtones) che quelli italiani?
C'era una commissione apposita, formata da un manipolo di persone, con gusti musicali anche molto diversi tra loro. Da qui la fioritura di una programmazione a tutto campo e senza preclusioni.

 


Afterhours e Verdena insieme a maggio 2012 per festeggiare i 25 anni del Bloom

 

Ci faresti una mini-classifica personale dei migliori concerti nei primissimi anni del Bloom?
Vado a memoria: Jonathan Richman, Shamen, Morphine, Steven Brown dei Tuxedomoon e naturalmente i Nirvana. Non cito gli artisti italiani perché la lista sarebbe veramente lunga e non voglio fare torto a nessuno. Con una sola eccezione: il concerto "fuoriporta" di Eugenio Bennato che organizzammo alla Festa Provinciale de l'Unità di Milano. Impossibile non ballare con la sua taranta.


Sono pochissimi i locali attivi allora ancora aperti oggi. Come ti spieghi la lunga vita del Bloom?
Hanno contribuito diversi fattori. Il ricambio generazionale, tra costrizione e convinzione, il sorgere in un piccolo paese e non nella metropoli. Oltre che essere luogo di concerti, l'avere dato la possibilità ad altri artisti (videomaker, fotografi, teatranti, performer, scultori) di potersi esprimere. L'avere collaborato con realtà di base operanti nel territorio e attive nel sociale. E, soprattutto, quel D.I.Y. (Do It Yourself) che permane. Cioè: un'idea venuta fuori magari parlando del più e del meno, che si concretizza, diviene evento. Miscelando suoni, arti visive, parole, attitudini inedite.


L'attuale scena italiana è molto migliorata, il livello medio è molto alto. Anche se vive alcune contraddizioni, imprigionata com'è tra nuove difficoltà e nuove possibilità.

Se dovessi fare un breve confronto tra la situazione dell'87 e quella di oggi, dal punto di vista del Bloom e della musica live in generale, che diresti?
Per quanto riguarda la scena internazionale la risposta sarebbe interminabile. Preferisco soffermarmi su quella nazionale. L'attuale scena italiana è molto migliorata, il livello medio è molto alto. Anche se vive alcune contraddizioni, imprigionata com'è tra nuove difficoltà e nuove possibilità. Il mercato indie continua ad avere un suo pubblico attento, ma penso che i versanti più creativi oggi siano quelli dei musicisti di strada e quello dei figli degli immigrati di seconda e terza generazione (che di fatto sono nati nel nostro Paese). In entrambi i casi, vedo una grande capacità di ideare nuovi percorsi mixando diverse discipline artistiche e culture. Detto ciò continuo ad ascoltare nuove proposte. Trovo particolarmente degni di nota Giovanni Block e Elsa Martin. Spassosi ed accattivanti i Faz Waltz e i Criminal Jokers. Mi piacciono i "percorsi retrò" di Veronica Sbergia e "i passi in avanti" di Beatrice Antolini e Debora Petrina. Cito anche Roberta Gulisano, una giovane cantautrice siciliana, che non ha ancora terminato il suo primo album, ma che vista in concerto, dimostra un solido talento. Per certi versi, il rock made in Italy 2012 si è tinto notevolmente di rosa. Anche in campo letterario. Reputo veramente interessanti, perché approfondiscono e colmano lacune, i libri "No Wave" di Livia Satriano, "Le ragazze del rock" di Jessica Dainese e "Swingin City" di Valentina Agostinis

 


I Fuzztones


20121011-sviluppi-incontrollati-vololiberoIn questi mesi avete celebrato una lunga serie di eventi (e con un libro di cui sei co-autore) il 25ennale. Ci puoi fare un bilancio dei festeggiamenti e dell'accoglienza ricevuta dal libro?
Contenti. Basta pensare all'accoglienza emotiva che ha accompagnato il "secret-show" degli Afterhours e le oltre 3mile persone convenute per la punk-exibithion di alcune band, sul palco tutte la stessa sera. Per quanto riguarda il libro "Sviluppi Incontrollati" che ho fortemente voluto, ha avuto una buona accoglienza sia dagli addetti ai lavori che dal pubblico. I dati di vendita, che come tutti sanno non sono più quelli di una volta, sono tuttavia confortanti. Non posso che ringraziare tutte/i quelli che l'hanno reso possibile.


E tra 25 anni? Come sarà il Bloom?
Nessuno lo sa. Il bello è questo. Spero che continui ad essere "differente nella differenza". Oggi, il Bloom, sia nella gestione che nei suoi frequentatori è un'entità multigenerazionale. Mi ci trovo bene nel mio "essere passato" e questa domanda è meglio porla a Stefano "Billa" Brambilla, Valeria Codara — che si danno un gran da fare con la programmazione — e a tutte le squadre di giovani tecnici, baristi e volontari che stanno permettendo al Bloom di guardare avanti.

Gli autori di Vorrei
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi

Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con un paio di siti (Indie-Eye e Black Milk Mag) fino ad arrivare a Vorrei. Del domani non v'è certezza.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.