Intervista al cantautore veronese autore di "Pezzali": uno sguardo amaro su una generazione con poche speranze
Fotografie di Francesca Pontiggia
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oco tempo fa abbiamo recensito “Pezzali”, canzone di unòrsominòre, al secolo Emiliano Merlin, cantautore veronese capace di condensare nei tre minuti del brano una serie di lucidi e veritieri attacchi verso la nuova generazione di musicisti ed artisti. Per capire meglio da dove arriva la canzone che tanto ci ha colpito abbiamo incontrato il suo autore in occasione del concerto che ha tenuto al Circolo Magnolia l’otto novembre.
Ho ancora questa visione utopica delle cose per cui la musica indipendente dovrebbe fare controcultura e cercare di portare avanti quello che invece l’industria e le major non portano avanti
Partiamo da Pezzali. Come è nata la canzone? Qual è lo spunto che ti ha fatto scrivere questo brano?
Ci sono due aspetti, come disse Elio anni fa: uno veramente pratico, legato al fatto che i ragazzi della Fosbury Records mi hanno chiesto un inedito per la compilation che è uscita per celebrare il decennale di attività dell’etichetta e quindi ho dovuto scrivere una canzone. Mi sono messo come quelli che lo fanno di professione, dicendomi “ora scrivi un pezzo”. Lo spunto, l’ispirazione del brano mi è venuta invece da una cosa che mi frullava per la testa da un po’ di tempo e che chiaramente ha a che fare con quello che una nota webzine ha pensato di realizzare, e cioè una compilation celebrativa per i vent’anni di attività di un gruppo, che forse chiamare gruppo è un po’ eccessivo, diciamo di un progetto musicale su cui si possono dire un sacco di cose, può piacere a qualcuno e ad altri meno, a me non piace ad esempio, ma che sicuramente è un progetto che di indipendente e di contro culturale ha sempre avuto abbastanza poco, anche se ora si cerca di inquadrarlo in revisionismi filo-pasoliniani e cose di questo tipo. Parlo degli 883 naturalmente. A me questa cosa è servita come spunto di base per elencare una serie di mancanze, a mio avviso, evidenti e molto forti della generazione attuale e soprattutto della parte della generazione attuale che in qualche modo vorrebbe o millanta di fare controcultura, mentre di controcultura c’è molto poco. Io ho ancora questa visione utopica delle cose per cui la musica indipendente dovrebbe appunto fare controcultura e cercare di portare avanti quello che invece l’industria e le major non portano avanti. So che ci sarà qualcuno che storcerà il naso, perché sembrano categorie vecchie, però secondo me invece non c’è niente di vecchio. Da quello spunto mi è sembrato che ci fosse molto da dire riguardo al generale tentativo di omologazione, di rivalutazione di fenomeni poco importanti, da quello di cui abbiamo già parlato fino al nostalgismo per gli anni ’80, per la gioventù o le spiagge, a seconda del punto di vista di chi scrive canzoni, fino alla santificazione del pensiero debole, della poca voglia di andare in profondità nelle cose e del limitarsi alla superficie, accontentarsi di qualcosa poco impegnativo, delle piccole cose.
Sono stati anni in cui è stata scientemente demolita la possibilità delle persone di ambire a qualcosa che non sia la tv al plasma o lo spettacolino di intrattenimento
Il fenomeno che hai descritto a cosa è dovuto, secondo te? È un effetto dei vent’anni di berlusconismo? È paura di confrontarsi col mondo in questi anni di crisi?
Ci sono due aspetti, anche qui… uno che prescinde dagli anni in cui viviamo e che attiene al modo in cui le persone vivono la propria vita: perseguire e raggiungere obiettivi impegnativi è molto difficile. Se uno cerca di farlo rischia di fare un bilancio della sua vita e limitarsi ad ammettere che è stata un fallimento. Quindi ci si può arrendere a prescindere e si esalta la bellezza della colazione carina, del fiorellino messo al posto giusto, del libretto. Tutto ciò porta ad essiccare, a perdere di vista quelle che sono le “grandi” conquiste di ciascuno di noi. L’altro aspetto attiene invece di più alla situazione degli anni appena trascorsi e fondamentalmente è un’esasperazione di quello che ho appena detto. Sono stati anni in cui è stata scientemente demolita la possibilità delle persone di ambire a qualcosa che non sia la tv al plasma o lo spettacolino di intrattenimento la sera su Canale 5; questo anche dal punto di vista economico, così che bene o male uno deve accontentarsi ormai delle piccole cose, perché non ha molto altro a cui ambire dal punto di vista pratico e anche dal punto di vista culturale, dato il degrado a cui siamo stati sottoposti in quel settore. C’è quindi un aspetto generale, esasperato dagli ultimi vent’anni.
Qui ci hanno cresciuti da piccoli con il Drive-In e ridevamo guardandolo. Io lo guardavo con i miei genitori, che sono persone che hanno fatto le battaglie sindacali
Si potrebbe pensare a un confronto con gli Stati Uniti di Reagan o l’Inghilterra della Thatcher: in quelle realtà c’erano problemi simili ai nostri, economici in Inghilterra e di annullamento di valori in America, ma lì c’era una controcultura forte, da una parte sono usciti i Clash e Billy Bragg ad esempio, dall’altra l’hardcore. Perché invece in Italia fa fatica ad uscire qualcosa di simile?
Intanto erano tempi molto diversi dal punto di vista comunicativo. L’Italia è da sempre un ottimo laboratorio per sperimentare estremismi di vario genere e qui è stato applicato il meglio, o il peggio, a seconda di come la vedi, di quello che le esperienze che citi hanno saputo fare. Per esempio il thatcherismo aveva un aspetto molto più autoritario del berlusconismo, che invece era demagogia pura; se mai vedo più analogie con il reaganismo, anche se ci sono pure lì molte differenze. Qualche esempio di controcultura c’è anche qui, anche se magari non perfettamente a fuoco. Ci sono, restando nell’ambito della musica, perché nelle altre arti è un discorso un po’ più complesso, band che senza fare necessariamente musica politica o impegnata mantengono comunque un’identità molto forte, sia facendo pop, come i miei amati Non Voglio Che Clara, sia facendo cose come i Bachi Da Pietra, ma anche esempi un po’ più “visibili”, come i Ministri, che pur essendo major portano avanti un tipo di musica che veicola messaggi molto forti. Quindi anche qui c’è qualche esempio di quel tipo. È però vero che quell’abitudine al degrado a cui siamo stati sottoposti mancava nell’esperienza americana. Qui ci hanno cresciuti da piccoli con il Drive-In e ridevamo guardandolo. Io lo guardavo con i miei genitori, che sono persone che hanno fatto le battaglie sindacali e che avevano un’educazione comunque antagonista, però non sono stati capaci di capire che quando è arrivato il Drive-In era l’inizio della fine. Siamo cresciuti con quella roba lì, abituati alla poltiglia di assenza di controcultura e di pensiero forte e ci mancano quindi quelle sacche di istanza rivoluzionaria vera e propria.
Ti leggo il commento, che mi ha molto colpito, scritto da una mia amica dopo aver sentito la tua canzone: “Mi sa che mi piace così tanto perchè fa parte di quel brutale realismo, di quella ineluttabilità e di quella specie di diffidenza generalizzata nei confronti della contemporaneità che vorrei tanto mi caratterizzassero un po' di più e che invece stentano a far parte di me, e puntualmente ci resto di merda...” cosa pensi di queste parole?
Secondo me sono meravigliose, mi capita molto raramente di leggerne di così belle. Alla fine il senso più forte del messaggio che cerco di veicolare è proprio quello: tutti noi, io stesso che canto, siamo partecipi e colpevoli, abbiamo un concorso di colpa nello stato delle cose. Molti arrivano ad intuirlo, molto pochi arrivano ad ammetterlo, quasi nessuno arriva a farci qualcosa. Non l’ho inventata io questa cosa e non è nemmeno molto recente, mi viene in mente Gaber che cantava “quando lo vedi anche” nel ’76 riguardo ai contestatori che si compravano i jeans. Quindi non è una cosa di oggi, ma già il fatto di dirsi “sto ascoltando cose giuste, che parlano di me, vorrei fare di più ma faccio fatica e ogni volta ci resto di merda” fa capire che c’è uno scatto in avanti. Questa persona secondo me è al 90% del processo, deve avviare l’ultimo stadio di attività, di attivismo, anche se, come canto in un altro brano, quando ti attivi qualcosa di partecipe lo fai. Forse la cosa più saggia sarebbe non fare, ritirarsi, non nel senso di restare sul divano a guardare la tv, ma di selezionare scientemente e con molta attenzione le cose che creano il minimo di partecipazione possibile al concorso di colpa.
siamo una generazione persa e che bisogna pensare alla prossima, noi ci arrabatteremo e speriamo che poi i nostri figli ci manterranno.
Il mio articolo si conclude invece dicendo che la speranza è che “Pezzali” possa essere uno stimolo e non un epitaffio per questa generazione. Che ne pensi?
Penso che la tua speranza è anche la mia, ovviamente. Ogni volta che scrivo delle cose, per quanto siano acide, per quanto siano incazzate, è chiaro che sotto sotto spero che magari qualcuno dica “accidenti, è vero, potevo pensarci meglio”. Siccome sono portato ad essere sempre il più possibile razionale e realista e a non farmi illusioni, devo dire che di speranze ne nutro poche, proprio per quello che dicevo prima, che magari c’è tanta gente che comincia a farsi domande e che comincia a porsi in discussione, ma che uscire realmente dal circolo vizioso che ci porta ad essere comunque complici, è una cosa di una difficoltà enorme. Poi bisogna dire che siamo in una situazione pessima, io ho passato da un po’ i 30 anni, e che purtroppo quello che ha detto Monti è tristissimo ma vero, che siamo una generazione persa e che bisogna pensare alla prossima, noi ci arrabatteremo e speriamo che poi i nostri figli ci manterranno.
Che reazioni ci sono state alla canzone? Su Youtube la maggior parte dei commenti si ferma alla frase su Pezzali, e forse te lo aspettavi, ma dal mondo di cui parli invece cosa è arrivato?
In realtà non mi aspettavo tanto le reazioni dei fan di Pezzali, per un’ingenuità mia: io l’ho scritta rivolgendomi a un certo ambito, a un certo mondo, e so che forse è difficile da credere, ma non pensavo che i fan di Pezzali, che nemmeno sanno che esistono gruppi indipendenti, sarebbero arrivati alla canzone. Potenza del tag, evidentemente. Quindi ho avuto anche quel tipo di reazioni. Dagli oggetti dell’invettiva invece nessuna reazione, ma non è che mi aspettassi un dialogo particolare, né lo cerco. Sono invece stato abbastanza contento nel ricevere una serie di commenti e considerazioni simili, anche se meno pregnanti spesso, a quello precedente. Quindi qualche buona reazione c’è stata, come c’era stata al mio disco nel suo insieme. Questa canzone però, che non è una di quelle che amo di più, preferisco quelle più lunghe, forse ha colpito maggiormente.
Questa è anche la più pop tra le tue canzoni, musicalmente…
Forse “Perdenti Più Sani” è ancora più pop, questa è un po’ più articolata. Non è tra le mie preferite, ma forse ha quel look “giusto”… io stesso nel testo critico chi fa le canzoncine col titolo ammiccante, però l’ho fatto. Ha funzionato, ho provato a farlo ed è andata bene.
Io sono figlio, musicalmente, degli anni Novanta, nei quali fondamentalmente si parlava di sé, di quanto si era fragili, sterili, ecc. Agnelli e Godano parlavano di questo, e lo sapevano fare, però hanno creato una massa di gente che nel tentativo di emulazione ha prodotto cose orribili.
Guardando ai tuoi trascorsi musicali con i Lecrevisse, si nota che allora i testi erano più criptici. Come mai la scelta di passare a un’espressione più diretta?
Erano criptici, ma anche immaturi. Ci sono cose di quel periodo che riascolto con abbastanza imbarazzo. Poi in realtà “La vita agra” è stato il mio secondo disco, prima c’è stato un esordio solista in cui i temi erano più simili a quelli che trattavo con i Lecrevisse, forse con una maggior maturità, infatti apprezzo di più quei brani. Io sono figlio, musicalmente, degli anni Novanta, nei quali fondamentalmente si parlava di sé, di quanto si era fragili, sterili, ecc. Agnelli e Godano parlavano di questo, e lo sapevano fare, però hanno creato una massa di gente che nel tentativo di emulazione ha prodotto cose orribili. Poi a un certo punto è scattato qualcosa dentro di me e arrivato a una certa età mi sono accorto che non avevo voglia di pubblicare qualcosa se non avevo qualcosa di molto urgente da dire. Inoltre, siccome un altro mio lato era quello dell’attivismo, dell’interesse verso la società e lo politica, mi sono semplicemente domandato perché non dire delle cose su dei miei interessi molto forti, visto che da una parte avevo qualcosa che mi premeva dire e dall’altro un modo per esprimerlo. Quindi ho messo insieme le due cose, mi è costata molta fatica, perché non ero abituato, però devo dire che alla fine sono molto contento del risultato.
Una curiosità: hai mai suonato a delle feste di partito con questo progetto?
Con unòrsominòre no, mi avevano chiamato alla festa dell’Italia dei Valori, ma alla fine hanno scelto un altro. Sinceramente non so a che feste potrei suonare, forse giusto l’Italia dei Valori, ma comunque no e ormai mi sa che è tardi. Il Movimento Cinque Stelle forse è l’unica alternativa possibile, ma non sono un grillino di formazione. I partiti della sinistra praticamente non fanno più feste… con i Lecrevisse avevo suonato a delle feste in rosso quando c’era Rifondazione Comunista.
Come vedi il futuro di unòrsominòre?
In realtà nebuloso, perché come ho detto prima ho smesso di scrivere cose se non ho un motivo forte che mi spinge a farlo. Mi piacerebbe scrivere cose nuove, sto tentando qualcosa con la chitarra e le tastiere, ma finchè non avrò un’idea precisa su ciò di cui voglio parlare, e fare La Vita Agra parte seconda non so se è quello che mi interessa, preferisco non sbilanciarmi. Per il momento quindi aspetto di vedere quello che mi passa per la testa . Quando mi verrà qualcosa di forte, di urgente, mi prenderò due anni per scriverlo bene, come l’ultima volta, e forse poi pubblicherò il disco.