Dossier: Spazi comuni, luoghi di socializzazione. Il Teatro Valle a Roma, Macao a Milano, La balena a Napoli e gli altri luoghi raccontati in presa diretta da “Com’è bella l’imprudenza. Arti e teatri in rete”: una cartografia dell’Italia che torna in scena: l'ebook gratuito curato da “Il lavoro culturale».
Per gentile concessione de Il lavoro culturale presentiamo la prefazione al volume “Com’è bella l’imprudenza. Arti e teatri in rete”. L'ebook è disponibile per il download in questa pagina.
Si tratta della ricostruzione partecipata – strutturata per brevi autobiografie collettive – di una cartografia in crescita delle arti e dei teatri che da un anno e mezzo stanno fiorendo lungo tutta la penisola. Tra queste queste pagine luminose troverete le tracce del contagio che sta seminando nuovi spazi di creazione, riflessione e cambiamento da nord a sud: dal Teatro Valle Occupato a La Balena, dal Teatro Coppola al Ricreatorio Marinoni, dal S.A.L.E. Docks al Nuovo Cinema Palazzo, dal Teatro Garibaldi a Macao, fino ad arrivare al Teatro Rossi Aperto. Nato dalla volontà di restituire una visione d’insieme a esperienze territorializzate tanto ricche e in totale controtendenza con la retorica della crisi, della fuga e della frammentazione, questo piccolo progetto editoriale si impegna a intrecciare le voci di chi quotidianamente mette al centro le passioni e la qualità delle relazioni.
Prefazione
Appunti sulle partiture di un tempo che cambia
di Silvia Jop
“Quello che vuole cambiare il teatro rivoluzionario non è lo stile scenico, ma il mondo. […] L’attore crea un concetto e fa toccare le potenzialità della vita che sono più reali del mondo in cui viviamo.[1]”
Roberto Ciccarelli e Giuseppe Allegri
I
l 5 luglio 2011 abbiamo pubblicato su lavoroculturale.org il primo contributo dedicato all’alba del Teatro Valle Occupato[2]. Si trattava di un avvenimento nuovo i cui connotati lasciavano presagire lo sviluppo di un’esperienza inedita in Italia. Tale sentore costituiva però solo una possibilità tra tanti rischi e andava sviscerato.Abbiamo quindi deciso di cominciare a frequentare il Teatro romano per impegnarci a raccogliere e elaborare un processo[3] che in tempi brevi ha svelato la sua forza fondativa e generativa. È stato chiaro sin dall’inizio infatti come la riqualificazione di quel luogo stesse cominciando a restituire fisicità e relazione ad un insieme di problematiche che fino a quel momento avevano caratterizzato il panorama nazionale in modo disorganico ed episodico.
A partire dalle prime ore di occupazione, la platea del Teatro Valle Occupato ha cominciato a raccogliere in sé, come grembo materno, i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo alle prese con le rivendicazioni relative alle carenze sistemiche dei loro profili professionali, i lavoratori e le lavoratrici della conoscenza vessati dalle condizioni svalutanti dei contesti in cui i loro saperi vengono declinati, gli studenti e le studentesse disorientati da un percorso formativo sempre più poroso e impraticabile.
Hanno cominciato così ad incontrarsi progressivamente tutte le figure del terziario avanzato che oggi in Italia subiscono le degenerazioni più invalidanti di una precarietà selvaggia che le esclude dal patto sociale spremendole sul piano della produzione e relegandole ai margini di un’architettura dei diritti di cittadinanza sempre più decadente.
L’avviamento di questa esperienza ha consentito di costruire una rete di relazioni capaci di muoversi sul piano territoriale e nazionale dando finalmente un luogo di espressione alla necessità dei corpi di tornare ad abitare dimensioni comuni. In questo percorso l’uso del web 2.0 ha avuto un ruolo decisivo: è stato infatti uno degli strumenti privilegiati che ha consentito l’inveramento di questa sperienza diffusa caratterizzata dalla costruzione di spazi reali e condivisi.
Presupposto decisivo della fioritura politico culturale raccolta in questo piccolo ma prezioso coro e che sta continuando a restituire spazi di agorà lungo tutta la penisola, è stata la vittoria referendaria del giugno 2011. L’Italia che ha deciso di impegnare il proprio diritto di scelta nella campagna per l’acqua bene comune, ha avuto la possibilità di riprendersi la fiducia che le spettava e che era andata logorandosi in decenni di inaccessibilità delle risorse, dei beni e dei servizi. Questa vittoria, seppur a posteriori messa ripetutamente in discussione, ha esercitato una forza detonatrice per i cittadini e le cittadine che se ne sono sentiti parte attiva.
Fino a quel momento le esperienze capaci di restituire ai soggetti la consapevolezza della loro agentività sono state le battaglie territoriali legate al tentativo di opporsi alla costruzione di grandi opere che andavano e vanno a ledere concretamente la salute del quotidiano dei cittadini.
I comitati No Mose, No Dal Molin, No Ponte sullo Stretto, No Tav e No Ampugnano sono stati in qualche modo l’anticamera di questa stagione nella quale la cultura del movimento ha rifondato se stessa a partire da esigenze contestuali. L'azione lesiva delle grandi opere imposte su queste porzioni di geografia ha spinto le persone a restituirsi degli spazi comuni in cui tornare a praticare i propri diritti di cittadinanza.
I teatri che si raccontano tra queste pagine tracciano la strada grazie alla quale le istanze particolari, definite da esigenze localizzabili, stanno progressivamente trovando spazio all’interno di un discorso più ampio e trasversale che ne restituisce il valore fortemente politico e paradigmatico.
A Roma, nell’aprile del 2011 il Nuovo Cinema Palazzo, raccogliendo le esigenze del quartiere in cui ha cominciato a rinascere, si è impegnato a “tessere una storia collettiva che ricostruisse un luogo e rintracciasse una sintesi tra resistenza e creatività, tra radicamento locale e connessioni globali”; due mesi dopo, l’occupazione del Teatro Valle, sempre nella Capitale, ha cercato di cominciare a cucire ai tempi della vita quelli del lavoro e della passione sviluppando un percorso attraverso il quale “inventare nuove modalità formative, aprire al pubblico il processo creativo, invitare altri artisti, contaminare i linguaggi, produrre una riflessione sul proprio agire artistico in tempi di crisi”.
Foto TeatroValleOccupato ©
Con l’esperienza del Ricreatorio Marinoni, sbocciata al Lido di Venezia una manciata di mesi dopo durante la Mostra Internazionale di Cinema, la collaborazione tra gli occupanti del Teatro Valle e la realtà del S.a.l.e. Docks, ha portato al percorso di riappropriazione di uno spazio abbandonato e intrappolato in una compravendita trasformandolo in luogo di elaborazione attiva di nuovi modelli di gestione dei patrimoni artistici e culturali.
Il trascorrere dei mesi e l'arrivo dell’inverno, anziché interrompere e raffreddare questa ondata di contagi non ha fatto che nutrirli: nel mese di dicembre infatti, nella città di Catania, è stato occupato il Teatro Coppola per restituire ai cittadini uno spazio che spettava loro e all’interno del quale dare la possibilità alla popolazione di ricostituire una relazione attiva con i luoghi in cui la cultura si produce e si fruisce.
Nel mese di marzo il contagio è esploso anche a Napoli e le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo e della conoscenza della regione Campania hanno occupato l’ex Asilo Filangeri dando vita in pochissimo tempo a La Balena, spazio di contaminazione artistica all’interno del quale si è lavorato a una definizione chiara del “Quinto Stato, forza costituente di una nuova res-pubblica basata su cooperazione, autonomia, indipendenza e sulla valorizzazione giuridica dei beni comuni, valorizzazione che nasce da un processo politico conflittuale”. Ad aprile poi, anziché dormire, i palermitani e le palermitane hanno occupato il teatro Garibaldi iniziando un percorso condiviso in cui le singole soggettività re-imparassero a vivere lo spazio della relazione a partire dalla riappropriazione di un punto d'incontro dedicato a musica, arte, teatro, immagini e dibattiti.
A maggio la primavera è arrivata anche a Milano dove i lavoratori e le lavoratrici dell’arte hanno occupato la Torre Galfa dando vita a Macao nato “da un gesto costruito e maturato da un gruppo di persone in dialogo con una rete di soggetti provenienti da tutta Italia che lottano per la cultura come bene comune.” Con Macao, Milano ha cominciato ad essere attraversata da un percorso ancora in atto che ha fatto della “liberazione” dei luoghi sottratti alla città uno strumento centrale del suo creare.
Fino ad arrivare a oggi, con la neonata apertura del Teatro Rossi restituito alla città di Pisa e già attraversato da un fermento culturale che lo inserisce in questo fiume di contagi straordinari che regalano a chi li attraversa orizzonti che fino a un anno fa sembravano insperati.
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Quello che sta avvenendo in questi luoghi preziosi, attraverso la cura di un patrimonio fisico – come quello rappresentato da teatri a rischio di insicure privatizzazioni o in completo stato di abbandono – e al contempo immateriale – costituito dalla cultura della relazione, dalla centralità delle passioni e dal valore della conoscenza – è la definizione di una nuova semantica. Si tratta della creazione di nuovi significati e nuove parole che sovvertono completamente l'ordine dato per ridisegnare il profilo di una realtà che corrisponda alle esigenze dei singoli in relazione.
In una stagione storica profondamente segnata dalla crisi di un sistema che pur essendo al collasso non demorde, l’esperienza dei teatri liberati e delle architetture riqualificate dalle arti in Italia, si inserisce in un’onda lunga che sta germogliando nelle piazze spagnole a partire dal movimento del 15M, passando per la New York di Occupy Wall Street, attraversando piazza Syntagma in Grecia e arrivando alle coste del nord Africa lungo le quali ha cominciato a fiorire tenace una cultura del cambiamento che rivendica diritti e libertà.
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La diffusione progressiva lungo tutto il territorio nazionale di esperienze di riappropriazione di luoghi e spazi del sapere come quelli che si raccontano tra queste pagine, ha fatto sì che nel novembre 2011 nascesse l’esigenza di allargare la riflessione ad un panorama d’indagine più ampio. L'intenzione era quella di creare un intreccio composto dall'auto-rappresentazione delle nuove realtà culturali in movimento e dall'analisi di alcune tematiche da esse sollevate tenendo a mente la tradizione dei movimenti di occupazione in Italia. Abbiamo così aperto sul nostro spazio web il focus “Insurrezioni[4]” all'interno del quale abbiamo cominciato a raccogliere contributi di questo tipo.
Dopo qualche mese però, la fisionomia di queste esperienze e la loro forza generativa ci ha spinti a decidere di avviare un progetto breve ma urgente interamente dedicato ai teatri.
Per tentare di sottrarsi ad un modello narrativo all’interno del quale le teorie interpretano e sovra-interpretano ogni manifestazione della realtà, abbiamo pensato che fosse importante creare uno spazio partecipato in cui dare voce all’auto-rappresentazione. Restituire quindi alla prima persona plurale che attraversa gli spazi di cambiamento che stanno cominciano a costellare l’Italia, un telaio all’interno del quale dipanare i fili che cominciano a comporne il corpo.
Si è quindi composto un insieme di contributi eterogenei all’interno dei quali, a seconda delle peculiarità contestuali, emerge un percorso complesso caratterizzato dall’evoluzione del rapporto tra i singoli e la collettività.
Inizialmente questo piccolo pamphlet di brevi autobiografie collettive di arti e teatri in movimento doveva essere un instant-book: una fotografia istantanea di un processo in corso capace di raccogliere un momento d’insieme sufficientemente emblematico che facesse emergere i caratteri comuni e quelli eterogenei di queste realtà territorializzate e in rete.
Senza riflessioni o interpretazioni aggiunte. Nessuna lettura che rendesse fenomeno un intreccio di realtà in atto. Solo voci e un filo rosso che le cucisse tra loro.
Ad oggi il risultato è più o meno lo stesso solo che il tempo che è servito per scattare questa fotografia, per fare “click”, è stato maggiore del previsto.
In breve infatti è parso evidente come la scelta di raccogliere le voci delle persone immerse collettivamente in questa esperienza in fieri, mettesse di fronte all’impossibilità di restituire all’istante la sua forma. Quando si decide di raccogliere una coralità, quando si decide di stare al passo con la polifonicità, questa – inevitabilmente - finisce per occupare uno spazio che diventa tempo.
E se si riesce a superare il senso di frustrazione che può produrre la difficoltà di gestire il tentativo pratico di una relazione così diffusa, in breve si intravvede chiaramente uno dei presupposti centrali in cui si radica il portato delle esperienze che qui si raccontano.
Nella dilatazione del tempo, necessario ad un percorso di pratiche reali effettuate da soggetti in rapporto tra loro, si ha la possibilità di cogliere a pieno il luogo in cui risiede la forza di queste avventure.
Sedendo tra gli spalti di ognuno di questi luoghi, si realizza come creare uno spazio di sospensione strutturale – rispetto alla frenesia bulimica del presente in cui viviamo – consenta di assumere la posizione necessaria alla ridefinizione di valori e priorità.
Così, il tempo torna ad essere lo spazio in cui è possibile effettuare una riqualificazione della propria vita in quanto soggetti e cittadini.
Si tratta di esperienze vive che si sono fatte intreccio di istanze e fantasie concrete: altre forme possibili di un modo di stare al mondo che hanno smesso di chiedere permesso e che sono entrate a testa alta da una porta che fino a quel momento era rimasta chiusa e che dava su un orizzonte che gli spettava di diritto.
L’elemento più emblematico e comune a ognuno dei contributi qui raccolti è costituito dal ruolo che giocano le passioni nell’economia delle azioni che hanno portato alla fondazione di ogni occupazione o liberazione e delle pratiche quotidiane che stanno cominciando in modo sempre più strutturato a disciplinare questi luoghi.
Foto TeatroValleOccupato ©
Al Nuovo Cinema Palazzo, al Teatro Valle Occupato[5], al Ricreatorio Marinoni, al Teatro Coppola, alla Balena, a Macao[6], al Teatro Garibaldi e al Teatro Rossi Aperto le passioni sono il motore dell’inveramento di un altro mondo che uscendo dal terreno dell’ipotesi si fa direttamente realtà.
Si pensa facendo, si progetta creando, si sogna realizzando.
Non si aspetta di sviluppare una ricetta astratta per poi sottoporla a un esame della realtà, bensì si vive quotidianamente traducendo un insieme di esigenze, condivise, radicate in una comune condizione, in una contemporaneità dai connotati differenti.
Un teatro chiuso torna ad essere teatro vivo e il modo in cui torna ad esserlo gli restituisce la sua funzione avanguardistica di avamposto delle possibilità non ancora realizzate, di generatore di mondi possibili.
Gli artisti e le artiste mettono al servizio la loro arte senza metterla da parte, partecipando allo spettacolo di una comunità di cui sono sostanza attiva – ovvero la cittadinanza – che impara a ricostituirsi attraverso l’incontro tra le diverse soggettività che la compongono.
La condivisione delle mutilazioni esistenziali a cui le lavoratrici e i lavoratori del Quinto Stato[7] sono stati costretti, si è fatta origine della loro forza: la retorica della crisi e della fuga è stata sostituita da un nuovo discorso fondato sull’azione e la furia, condivise.
Sono nati così da nord a sud luoghi la cui ricchezza e fertilità sono caratterizzate da una compenetrazione di saperi messi in rete, da spazi di co-working, dall’alternanza di momenti di analisi, riflessione, dibattito e confronto a concerti, spettacoli, letture e proiezioni; dalla collaborazione attiva tra diverse generazioni e da una pratica quotidiana in cui il ruolo delle donne – figlie di una storia che della cultura della relazione ha fatto il proprio principio fondativo – è determinante su ogni piano.
Nel presente di questi teatri e di queste realtà artistiche si sta dando nutrimento a una cultura – quella dei Beni Comuni[8] – che cerca di tradursi anche sul piano giuridico restituendo così ad una realtà bipolarizzata e atrofizzata dal binomio compromesso ‘pubblico-privato’, la relazionalità che le è propria[9], dando quindi vita a un precedente necessario all’inaugurazione di una sostanziale riconfigurazione del reale.
Si tratta di un processo in atto dai connotati straordinari che, periodicamente, palesa momenti conflittuali, episodi contraddittori, bassi faticosi. L’autenticità di queste esperienze infatti risiede anche nei momenti negativi in cui tutto sembra mettersi in discussione. Ed è il dubbio, seme indispensabile per un cammino che sia quanto più lungo possibile, a braccetto con la passione, a muovere queste esperienze contagiose per il nostro Paese.
La maggior parte delle realtà che hanno collaborato alla realizzazione di questo piccolo progetto editoriale, vive oggi momenti diversi, più maturi, di quelli che vengono descritti tra le righe dei contributi raccolti. Ma il significato di queste evoluzioni e trasformazioni è comunque iscritto all’interno di un processo ampio, non privo di contraddizioni e incertezze, le cui peculiarità e linee di tendenza sono per la maggior parte raccolte nelle pagine che seguono.
[1] Ciccarelli R. Allegri G., La furia dei cervelli, Manifesto libri, Roma 2011
[2] Cfr. http://www.lavoroculturale.org/spip.php?article104
[3] Il reportage a puntate dedicato ai primi passi del Valle è inserito all’interno del focus Riprendiamoci il Teatro Valle: http://www.lavoroculturale.org/spip.php/rubrique13
[4] Cfr. http://www.lavoroculturale.org/spip.php/rubrique17
[5] Per approfondire la lettura relativa al Teatro Valle Occupato si consideri a cura di Teatro Valle Occupato, Teatro Valle Occupato – La rivolta culturale dei beni comuni, Derive e Approdi, Roma 2012
[6] Per approfondire la lettura relativa a Macao, ci consideri Carozzi I., Macao, Feltrinelli Editore Ebook, Milano 2012
[7] Una contestualizzazione della definizione di Quinto Stato e la sua genealogia possono essere rilevate in Ciccarelli R. e Allegri G., op. cit.
[8] Mattei U., Beni comuni: un manifesto, Laterza, Roma 2011
[9] Per una lettura sullo stato dell’arte della disciplina giuridica in materia di Beni Comuni, si veda Marella M.R. a cura di, Oltre il pubblico e il privato, ombre corte, Verona 2012