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Torna “A cena con Gramsci”, il volume di Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini edito da Beccogiallo e curato da Artevox. “Gramsci, oltre che studiato, va fatto rivivere. Proprio l’arte, alla quale tanto aveva dato la sua riflessione teorica, può renderlo nuovamente quotidiano, contemporaneo, comprensibile.”

20130705-gramsci-coverOra che è disponibile anche come ebook, ci è sembrato il caso di parlare su Vorrei di “Cena con Gramsci”, il volume disegnato di Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini tratto dall’omonimo testo teatrale di Davide Daolmi, curato da Artevox e pubblicato da Beccogiallo. Per farlo, vi presentiamo — per gentile concessione dell'editore — i due testi a corredo del libro, il primo di Roberto Rampi (già assessore alla cultura di Vimercate e ora parlamentare del PD) e l'altro del professor Beppe Vacca (presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma e della Commissione scientifica dell'Edizione Nazionale degli scritti di Antonio Gramsci).

 

Il segno Gramsci

Roberto Rampi

«Il mondo è grande e terribile e complicato.
Ogni azione lanciata sulla sua complessità
s
veglia echi inaspettati.»
Antonio Gramsci

A

cinque anni di distanza dal progetto Nino, appunti su Antonio Gramsci, la fortuna del segno Gramsci è mutata anche nel nostro Paese. Sono uscite nuove edizioni degli scritti, tra cui la monumentale opera omnia nell’Edizione Nazionale e diversi importanti studi riportati in bibliografia. Questo fumetto vuole essere un ulteriore momento per riportare Gramsci alla sua modernità e alla sua straordinaria rilevanza democratica. Il pensiero gramsciano, per l’importanza che assegna al ruolo attivo delle masse popolari, la funzione che attribuisce alla costruzione del consenso e, al tempo stesso, alla funzione dell’educazione, chiama a gran voce una riscoperta e una capacità di divulgazione. D’altro canto Gramsci, così attento al mondo dell’arte e della cultura, chiede a questo di restituirgli il suo ruolo e il suo sapore a settantacinque anni dalla scomparsa.

Da qui l’idea, oggi, di dare forma al segno come disegno. Un linguaggio popolare per eccellenza che possa mettere in scena in maniera continuativa, nel teatro delle tavole a fumetti, Cena con Gramsci, il testo che cinque anni fa, rappresentato dal vivo con ottimi riscontri lungo tutta la penisola, provava a riportare in vita quel pensiero nell’incontro con una nuova generazione che prima di allora non aveva mai conosciuto Gramsci né nella scuola, né nella politica, né sul luogo di lavoro.

Una società completamente cambiata, quella italiana del nuovo millennio, rispetto a quella su cui rifletteva Gramsci all’inizio del secolo scorso. Le questioni chiave poste da Gramsci allora restano tuttavia ancora centrali, se non addirittura più rilevanti: il ruolo della cultura nella formazione delle coscienze e la sua massificazione; il nesso tra educazione, consapevolezza e azione; il ruolo della politica nel dare concretezza a questo percorso.

Oggi le intuizioni gramsciane di inizio Novecento si possono leggere proficuamente in questa chiave: come bisogno di fornire ai cittadini tutti gli strumenti per capire i meccanismi della produzione del consenso, per assumere appieno la funzione democratica per eccellenza, quella di conoscere per deliberare; ma soprattutto per svolgere quel ruolo di cittadinanza attiva a cui li ha condotti il progressivo protagonismo popolare nella storia del Novecento.

Quelle riflessioni si sviluppavano proprio mentre stava nascendo l’opinione pubblica. Era, per dirlo con parole di allora, l’ingresso delle masse nella storia. Ancor prima dell’avvento del suffragio universale, che ne fu la conseguenza, stava accadendo che milioni di persone iniziassero ad avere opinioni sul destino del proprio Paese, sulle scelte economiche e di politica estera e, soprattutto, iniziassero a scambiarsi queste opinioni fra loro. È questa, ci sembra, la grande lezione del Novecento di cui Antonio Gramsci è certo uno dei maestri.

Vi è però qualcosa di ancor più moderno quando Gramsci, riflettendo sul rapporto fra queste grandi masse e le scelte della politica, si sofferma sul ruolo del consenso e sulla sua costruzione, e lo lega strettamente all’immaginario e al modo in cui l’immaginario stesso viene veicolato. Gramsci pensa, e non è una riflessione poco originale nel momento storico dato, che sia con il consenso che si possono guidare queste grandi masse. Non era certo l’opinione prevalente in nessuno dei pensieri politici di quel periodo.

Gramsci esprime così una cultura democratica che fa capo all’idea di una politica in grado di svolgere un ruolo proprio in quello scarto tra élite governanti e masse governate, e che riesca a costruire un canale di comunicazione. È uno degli elementi chiave di questa riflessione, perché se si deve parlare a grandi masse, si deve innanzitutto studiare e comprendere quale sia la loro cultura, la cultura popolare, quali gli elementi del loro immaginario e poi avere la capacità di tradurre i linguaggi complessi della filosofia e della politica in un linguaggio popolare e popolato di immagini di cui sicuramente l’arte può essere uno straordinario veicolo. Una narrazione: un’idea di mondo che tragga forza dal condensarsi/tradursi in poche (semplici) immagini.

Gramsci crede nella forza delle idee. Figura emblematica di uno straordinario umanesimo culturale, egli riconosce nell’arte quello strumento di verità e di divulgazione delle verità su cui si sarebbe soffermata molta dell’ermeneutica moderna. L’immaginario cambia il mondo perché una previsione non è altro che un disegno del futuro e la conseguente riflessione sulle azioni concrete da intraprendere perché questo futuro si realizzi. A questo si associano una rigorosa attenzione all’uso della parola e a una più complessiva riflessione sulla inseparabilità di azione e pensiero. Se Marx aveva sostenuto che tutta la filosofia era stata una grande descrizione del mondo e che invece d’ora in avanti le masse lo avrebbero descritto e trasformato al tempo stesso con le azioni (tesi 11 su Feuerbach), Gramsci sviluppa questo rapporto fra immaginario e cambiamento, fra una descrizione del mondo accessibile ai molti, che sia ideale collettivo, rappresentazione di un modello di vita e possibilità di cambiare il mondo stesso trovando la forza per farlo.

È quello che accadrà in Italia, ad esempio, nel cinema con il neorealismo e ancor più con la commedia all’italiana: linguaggi popolari che raccontano la società che sta nascendo e che si intende costruire o combattere. Mostrare per dimostrare. È quel che con forza ancora maggiore accadrà poi con la televisione e soprattutto con le televisioni commerciali, che in maniera sempre più scientifica metteranno in scena un ideale di uomo in cui riconoscersi, in molti casi coincidente con il target del consumatore al quale vendere. Concezione e azione sono legati nell’immaginario e l’azione non è solo materiale, trasformatrice degli oggetti, delle cose, ma è soprattutto azione intellettuale trasformatrice delle coscienze, delle idee e azione simbolica trasformatrice dell’immaginario, come i riti religiosi, come la Messa, come la “messa in scena” del cinema, del teatro, della televisione.

Gramsci assegnava agli intellettuali (scrittori, cineasti, uomini di teatro, attori, poeti) una funzione centrale nella formazione delle coscienze, nell’accrescimento della cultura dei cittadini, nella trasformazione della cultura tradizionale più radicata in direzione di una maggior propensione alla modernità, al cambiamento, al progresso. L’egemonia culturale che potesse produrre il consenso necessario per governare e guidare un Paese, non con il terrore della forza, ma con la capacità di convincere propria della conoscenza.

Sul finire del secolo scorso, però, la figura di Antonio Gramsci ha rappresentato anche una delle più singolari operazioni di rimozione collettiva. Un segno così denso di significati, come è per il Novecento il segno |Antonio Gramsci|, è anche la vicenda di un significato smarrito: infatti se fuori dall’Italia Gramsci è un pensatore e un filosofo (della politica, del costume, in ogni caso un filosofo tout court), nel suo Paese Gramsci è stato classificato, sul piano storico, della comunicazione e dell’immaginario collettivo, principalmente come un politico e soprattutto come un martire del fascismo, morto per le conseguenze di un’ingiusta e dura detenzione. Un martire e quindi una figura che si staglia, che diventa, inevitabilmente, bidimensionale.

Anche per questo Gramsci, oltre che studiato, va fatto rivivere. Proprio l’arte, alla quale tanto aveva dato la sua riflessione teorica, può renderlo nuovamente quotidiano, contemporaneo, comprensibile.

L’Italia attraversa una difficile transizione in cui diventa sempre più cruciale la capacità della politica di trovare un modo semplice per interpretare e rappresentare i bisogni dei cittadini e la necessità di costruire un immaginario che raggiunga le masse con la stessa efficacia delle grandi ideologie del Novecento, ma senza la loro intrinseca violenza dogmatica. Per questo pensare a una democrazia per il nuovo millennio, che sviluppi i propri anticorpi e sappia trarre insegnamento dalle tragedie del secolo scorso, una democrazia basata sul presupposto che l’unica, autentica libertà è legata alla cultura (e che attraverso di essa ogni cittadino è in grado di sviluppare una coscienza che gli permetta di esercitare le proprie scelte) implica, gramscianamente, un lavoro continuo e crescente di diffusione popolare della cultura.

Roberto Rampi, curatore del progetto “Cena con Gramsci”, laureato in filosofia teoretica, è un operatore culturale e uomo politico. Si occupa di valorizzazione dei beni culturali, comunicazione e formazione.

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Gramsci pop

 Giuseppe Vacca

 

Di

tanto in tanto, nello scorrere degli anni e nell’alternarsi della “fortu- na” e della “sfortuna” di Gramsci, più d’uno, affascinato dalla sua figura e dal suo pensiero, è ricorso al teatro – un “genere” particolarmente caro al giovane Gramsci – per parlare di lui.

Si è trattato prevalentemente di opere dedicate a rappresentare momenti decisivi o particolarmente suggestivi della sua vita e della sua lotta. Cena con Gramsci, invece, mi pare diversa: mescola i linguaggi del pop e delle avanguardie, mira a cogliere la spiritualità interamente intramondana del giovane sardo e riesce a trasmettere un’immagine poco esplorata della sua persona. Pensieri profondi, concetti distillati attraverso uno straordinario esercizio della conoscenza e della riflessione, divengono così idee-forza vitali e suggestive, che raggiungono limpidamente gli spettatori e fanno sorgere il desiderio di saperne di più, magari di leggere gli scritti di Gramsci.

Traducibilità e combinazione dei linguaggi sono un tratto distintivo del pensiero di Gramsci e suggeriscono l’idea che l’invenzione narrativa sia il mezzo più adatto per comunicarlo e farlo rivivere. Il fumetto e la mul- timedialità caratterizzavano già il progetto culturale che aveva ispirato Roberto Rampi e Davide Daolmi. La reazione del pubblico giovane che avevo osservato nella rappresentazione della Cena a Milano e a Roma – le due rappresentazioni a cui avevo assistito nel 2007 – confermavano la validità dell’intuizione e del “progetto”, e del “prodotto”. L’estensione del fumetto al racconto della vita e dei pensieri di Gramsci credo renderà ancora più efficace l’operazione: il fumetto è stato un genere di culto della lettura giovanile fino al sopravvento di Internet e non credo che questo l’abbia scalzato.

Questa pubblicazione si avvale anche d’un corredo di sussidi più tra- dizionali per la conoscenza di Gramsci: un “dizionario” dei suoi concetti più diffusi, una cronologia della vita, una biografia. È dunque un passo ulteriore sulla via che può condurre da un primo approccio alla lettura riflessiva dei suoi scritti. Un work in progress, dunque, sorretto da un’idea centrale nella vita e nelle opere di Gramsci: la relazione comunicativa fra intellettuali e popolo-nazione come fondamento etico dell’agire po- litico. Nella formazione di Gramsci essa scaturì dall’incontro fra stu- denti e operai nella Torino della Grande Guerra. Ce ne ha trasmesso un ricordo appassionante il giovane socialista torinese a lui più vicino in quegli anni, Palmiro Togliatti, nel discorso che gli dedicò all’Università di Torino il 23 aprile 1949. L’esperienza più avanzata di “fusione” fra un gruppo di giovani intellettuali di eccezionale levatura e il reparto più avanzato della classe operaia italiana del primo dopoguerra, fu, com’è noto, l’esperienza dell’Ordine Nuovo, il settimanale di cultura socialista fondato da Gramsci, Angelo Tasca e Togliatti nell’aprile del 1919. Il settimanale fu l’incubatore del movimento dei consigli di fabbrica del 1919-1920 e il ricordo di Togliatti ci fa capire il perché:

L’Ordine Nuovo! Anche L’Ordine Nuovo, lasciatemelo dire, è nato nell’Università di Torino; è nato qui. Perché non vi erano solo in questa università e città professori e lezioni […]. Vi era un’altra realtà, che colpì Gramsci e altri di noi allora, profondamente. Nel 1912, nel 1913, a certe  ore del mattino, quando abbandonavamo l’aula e dal cortile uscivamo nei portici avviandoci verso il Po, incontravamo frotte di uomini diversi da noi, che pure seguivano quella strada.
Tutta la folla si dirigeva verso il fiume e i parchi sulle sue rive, dove in quei tempi venivano confinati i comizi dei lavoratori in sciopero o in festa. E lì andavamo anche noi, accompagnandoci a questi uomini: sentivamo i loro discorsi, parlavamo con loro, ci interessavamo della loro lotta. Sembravano, a prima vista, diversi da noi studenti; sembrava un’altra umanità.
Ma un’altra umanità non era. Era, anzi, la umanità vera, fatta di esseri che vivono del proprio lavoro e che, lottando per modificare le condizioni di questo lavoro, modificano in pari tempi se stessi e creano nuove condizioni per la loro esistenza e per tutta la società.

Nella società in cui oggi viviamo quell’esperienza non potrà esser reite- rata nelle stesse forme. Ma il messaggio che giunge fino a noi trascende la morfologia sociale dell’epoca – studenti e operai come categorie della società industriale del Novecento – perché evoca il fondamento etico della politica democratica: cos’altro è la relazione comunicativa fra in- tellettuali e popolo se non un incessante “esercizio di riconoscimento dell’altro”?

Giuseppe Vacca, nato a Bari nel 1939, è stato membro del comitato centrale del PCI dal 1972 al 1991. Ha ricoperto importanti incarichi per il partito in Puglia e a livello nazionale. Direttore e poi presidente della Fondazione Istituto Gramsci di Roma.

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CENA CON GRAMSCI
Sceneggiatura: Elettra Stamboulis
Disegni: Gianluca Costantini
Caratteristiche: 128 pagine, brossura, colori
www.beccogiallo.org