Sembra strano, ma qualcuno vuole fare ancora teatro in Italia, e non se ne va. Ha già vinto premi e appena pubblicato un libro. Si chiama Alberto Oliva, ha 28 anni ed è milanese.
L'odore del legno e la fatica dei passi, sottotitolo Resto in Italia e faccio teatro, è l'autobiografia di questo ragazzo testardo e innamorato di questa arte. Che da noi non vive certo un momento di gloria né rappresenta una garanzia per il futuro. Eppure, Alberto Oliva non si è mai arreso e ha collezionato già alcune soddisfazioni (Premio Sipario/Associazione Nazionale Critici di Teatro 2012, Premio Internazionale Luigi Pirandello come miglior regista emergente) e ha deciso di restare, oltre che crederci.
Come è nata la tua passione per il teatro e il desiderio di fare il regista, e non l'attore?
Ho provato diverse volte a fare l’attore e tutte le volte sento una grande ebbrezza, un piacere viscerale a stare sul palcoscenico, ma mi manca sempre la percezione globale dello spettacolo. Recitare è bellissimo, ma dirigere mi dà di più, è un’arte maieutica, in cui il tuo lavoro viene fuori amalgamando e valorizzando l’apporto degli altri in nome di un disegno superiore, che racconta una tua poetica personale, cosa a cui tengo moltissimo.
Cosa fa chi in Italia vuole fare teatro?
Troppo spesso si lamenta. Spesso si dà tantissimo da fare, quasi sempre si scoraggia. Se invece mi chiedi che cosa si dovrebbe fare, allora ti dico che dovremmo cercare di fare rete, abbandonando la diffidenza che attanaglia la nostra generazione, sempre sospettosa verso l’iniziativa di qualcuno. Credo che continuare a viaggiare come monadi solitarie che non sanno che cosa combinano gli altri non sia la soluzione al grande isolamento che vive la cultura in Italia, dimenticata dalle istituzioni. Dobbiamo conoscerci, stimarci, crederci e andare avanti con rinnovata fiducia, perché adesso tocca a noi e abbiamo il dovere di prenderci il futuro.
È possibile “campare di teatro” oggi, nel nostro paese?
Sì, è possibile. Non è facile e non si diventa ricchi, ma è possibile e importante farcela senza relegare il teatro ad attività hobbistica da esercitare nel tempo libero. Purtroppo siamo spesso costretti ad arrotondare con altri lavori. Io ho avuto la grande fortuna di potermi permettere alcuni anni di investimento, in cui accettare lavori non pagati necessari a crearmi occasioni di visibilità da cui potessero nascere incarichi retribuiti e un curriculum corposo. L’ho potuto fare grazie al sostegno generoso e appassionato dei miei genitori, che non mi hanno mai ostacolato.
Stefano Cordella e “Le notti bianche” di Dostoevskij Vanessa Korn inregia Alberto Oliva
Come definiresti la scena teatrale italiana? C'è movimento, sviluppo, innovazioni... e ci sono differenze con le realtà europee e internazionali?
Credo che la scena italiana sia attualmente molto vivace e ricca, oserei dire che siamo perfettamente al passo con l’Europa, ma ci piace tantissimo piangerci addosso e denigrarci e quindi ci crogioliamo beatamente nell’idea che all’estero vada tutto meglio. Il problema, semmai, sono le mode passeggere, l’andare sempre dietro ai nomi di richiamo e a fenomeni da baraccone che durano lo spazio di uno spettacolo e poi spariscono. Mancano dei parametri di orientamento del gusto che possano segnare correnti durature e fare scuola. Purtroppo vale tutto, non esiste spettacolo che piaccia a tutti e non esiste spettacolo che non riceva qualche recensione entusiastica. Invece esistono e andrebbero valorizzati di più dei parametri oggettivi che possano attestare la qualità di un lavoro professionale. Perché di mestiere si tratta, non solo di talento allo stato brado.
Il tuo primo libro, appena uscito con ATì, è anche la tua autobiografia, alla tua certo non veneranda età. Ti eri già accostato alla scrittura prima di questa prova? E come mai hai sentito il bisogno di mettere la tua vita nero su bianco?
È il primo libro che scrivo e sono felice di avere ricevuto lo stimolo direttamente dalla casa editrice Atì. Se Elena Petrassi non mi avesse chiesto di scrivere questa testimonianza, sicuramente non mi sarebbe mai venuto in mente di farlo! Più che un’autobiografia, che sarebbe prematura, è una riflessione molto personale sulla mia generazione e sui tempi che stiamo vivendo.
Resti in Italia perché, Alberto?
Perché sono italiano, voglio essere italiano, amo l’Italia, la sua storia e la sua bellezza, e non credo che abbandonarla in nome di un miraggio straniero teoricamente più vantaggioso possa farmi sentire meglio. Oggi la penso così, domani chissà.
La storia di Max Von Oppenheim e dei giganti della Siria ispira il tuo libro.
La storia di Max Von Oppenheim - che andò in Siria a riesumare i resti di una antica civiltà, portò in Germania delle statue bellissime per dar loro eterna visibilità e si vide bombardare il suo museo – è una potente dimostrazione di quanto le umane cose siano effimere e di quanto vana sia la pretesa di eternarle. E allora viva il teatro che fa dell’effimero la sua essenza e la sua forza. Il titolo del mio libro contiene la parola “fatica”, cui sono molto legato.
Giorgio Galli, che firma la prefazione al tuo libro, ti include in quella sorta di “minoranza intensa” composta da trentenni con una vocazione, un talento, una passione, disposti a inseguirla e a combattere per essa. Credo che, avendola inserita all'inizio del libro, tu ti ritrovi in questa definizione; ma, secondo te, come mai in questa generazione soltanto una minoranza riesca a vivere le sue passioni senza arrendersi e continui a lottare, mentre gli altri scappano altrove oppure si limitano a lamentarsi, assuefacendosi alla mediocrità circostante?
Galli sostiene, citando Weber, che non solo in questa, ma in tutte le generazioni esistano delle “minoranze intense” che guidano la maggioranza e ne orientano l’evoluzione sociale. Non possono diventare maggioranza, altrimenti perderebbero la loro spinta propulsivo. Credo che il professore abbia ragione a livello generale e spero di essere davvero parte di questa minoranza, facendomi carico di un forte senso di responsabilità, onere e onore.
28 anni e hai collezionato già alcune significative esperienze teatrali – lavori per Teatro Out Off, Litta, Oscar, Libero - oltre ad aver vinto alcuni premi. Riguardo all'editoria e l'incontro con ATì editore, invece, com'è andata? È stato semplice?
Ho incontrato Atì in occasione di un precedente spettacolo, “Il venditore di sigari”, stavolta sono loro che hanno cercato me. Io lavoro tanto e con continuità, per fortuna ogni tanto le occasioni arrivano senza doverle sempre andare a scovare. Ma credo fermamente che la fortuna caschi come una goccia in uno specchio d’acqua. Più è grande lo specchio più è facile che la goccia ci cada dentro.
Alberto Oliva il 3 dicembre 2013 sarà a Milano alla Drogheria Plinio per parlare del suo libro.