Nel 2007 il musicista - scrittore - attore recentemente scomparso si raccontava alla nostra collaboratrice. Da Carmelo Bene e Demetrio Stratos a "sesso e carnazza" «Utilizzo la mia voce in maniera naïf per la massima comunicabilità»
Vogliamo ricordare Roberto Antoni riprendendo l'intervista rilasciata il 15 settembre 2007 a Manuela Montalbano, in occasione di una delle molte evoluzioni del suo essere artista, in quella occasione infatti era alle prese con la musica contemporanea.
Freak Antoni, artista poliedrico, leader degli Skiantos gruppo storico degli anni settanta, longevissimo e ancora in attività, attore a cinema (in Paz! e Jack Frusciante è uscito dal gruppo) e perfino nei fumetti dell''amico Pazienza. Scrittore prolifico, artista folle per antonomasia, ma sotto le spoglie di chi canta odi alle caccole del naso si nasconde un pensatore profondo e a tratti anche serio.
Ironikontemporaneo è forse la testimonianza più alta del coraggio artistico di Roberto Antoni detto "Freak" che dall''ironia degli Skiantos, arma per evitare la retorica della rima baciata e della tecnica musicale ad ogni costo, approda alle dissonanze delle avanguardie musicali cacofoniche, dirompenti e spiazzanti.
La chiacchierata si svolge appena prima del concerto di sabato 15 settembre a Capriano di Briosco al Pub Il Dollaro. Freak risponde con intelligenza e lucidità nonostante un viaggio rocambolesco attraverso ben tre "Capriano" del Nord Italia.
Capita di trovare i nomi di Stratos e Bene accanto al tuo. Due artisti di calibro che dello studio delle potenzialità espressive della voce hanno fatto elemento centrale della loro poetica. La voce al di là della parola. Due virtuosi, con una tecnica irreprensibile, a volte sovrumana. Quelle di Bene erano partiture vocali, un utilizzo della dinamica e del timbro paragonabile ad una partitura orchestrale, e Stratos ha utilizzato la voce attraverso la produzione di rumori, versi.
È un paragone fin troppo lusinghiero. Entrambi simili nel loro concetto della voce interiore, appoggiata al diaframma, con una sua unitarietà, una sua consequenzialità, un suo filo. Senza mai disertare da un effetto centrale sempre sostenuto e mai dirottato, da qui la polemica Bene-Albertazzi, Bene diceva che Giorgio Albertazzi era la diserzione continua dal pilastro interno, dal diaframma, che non si era mai occupato della voce, non ci aveva mai lavorato.
Direi che sia Carmelo Bene, in funzione della voce recitante in teatro, della voce espressiva in generale, che Demetrio Stratos, per quanto riguarda l''effetto della voce cantata, si sono concentrati sugli effetti "tecnici " della voce, io ho cercato di utilizzare la mia voce in maniera molto naïf all''inizio e successivamente di imparare le tecniche di massima comunicabilità. Perché quello che ha sempre interessato gli Skiantos, e me in particolare, è stata la comunicazione. Comunicare emozioni, pensieri, idee possibilmente non banali, sentite; è per questo che gli Skiantos hanno evitato canzoni mare-cuore-fiore-amore e si sono occupati invece di argomenti come la pastasciutta, le caccole, sesso e carnazza.
Erano gli anni dell''impegno politico degli artisti.
Quando gli Skiantos partirono (nel 74) era obbligatorio l''impegno politico. I cantautori erano padroni della scena, l''altra metà era occupata dalla discomusic e il rock aveva una porzione limitatissima. Era anche un rock ripiegato su se stesso, tutto glitter e pailettes. Quando iniziammo noi l''impegno era obbligatorio, il messaggio era fondamentale, se non avevi il messaggio diventavi un qualunquista. Era quasi meglio essere schierato politicamente a destra che essere un qualunquista, almeno una scelta destrorsa ti metteva in una posizione molto scomoda e quindi paradossalmente coraggiosa, una scelta-non scelta era giudicata il massimo della superficialità.
All''inizio per quel pubblico è stato difficile capirvi.
Gli Skiantos hanno fatto del non-messaggio il loro messaggio e quindi anche la voce per questo non doveva essere educata in nessun modo, perché eravamo convinti che la sgrammaticatura fosse più significativa della grammatica, che il musicista naïf, che non ha troppe nozioni quindi "remore" tecniche fosse più espressivo di un virtuoso, pensavamo che anche uno scrittore non blasonato potesse essere più evocativo di un letterato d''accademia, eravamo convinti che la tecnica uccidesse la comunicazione.
Dunque la loro voce, di Carmelo Bene e del grande Demetrio Stratos, era funzionale al loro progetto, le nostre invece erano voci naif che volevano opporsi al dogma del professionismo a tutti i costi la scelta della cialtroneria, contro la scelta scolastica. La scelta del non essere acculturato e neppure grammaticato per essere evocativo.
Freak Antoni in “Non c'è gusto in Italia ad essere intelligenti”
Musicalmente avete iniziato con un linguaggio piuttosto ostico.
Noi Skiantos avevamo sotto mano gli orchestrali di Bologna che erano la negazione della creatività musicale, ne abbiamo avuto diverse prove quando abbiamo invitato musicisti professionisti a suonare con noi e trasalivano al minimo errore e ripetevano tutto. Abbiamo fatto il primo disco nel ''77, Inascoltable; era pieno di errori, perché abbiamo teorizzato la grande vitalità dello sbaglio. Succede che ascoltando dei dischi spesso si abbia la stessa sensazione di vedere una gara di Formula 1: cinquanta giri sempre uguali, dove speri crudelmente che succeda un incidente per avere un''emozione, così un 33 giri fatto tutto di scontatezze musicali era veramente deprimente.
Il tuo lavoro ruota intorno al testo: prima il testo e poi la musica. Come avviene poi l''unione? Quanto studio del testo, del rispetto della metrica e della prosodia del parlato, dell''espressione vocale del moto d''animo e quanto invece viene lasciato alla spontaneità?
Partiamo sempre dal testo perché ci sembra meglio costruire una sceneggiatura e una scenografia della canzone e quindi su esso cerchiamo di montare la musica in base alle emozioni e descrizioni che crea il testo. La parola ha una sonorità forte, potente, evocativa. Da li è necessario partire per aggiungere una musica che non è più un''aggiunta: quando la musica diventa perfettamente consona, si sposa con il suono della parola, ecco che la canzone può dirsi riuscita.
La tua cura del testo, il rifiuto della banalità e della retorica per arrivare in modo diretto.
Gli Skiantos hanno avuto per primi il coraggio di usare il gergo giovanile, lo slang. È una verità storica riconosciuta anche da Vasco Rossi, quando faceva il dj a Zocca nell''Appennino modenese, ci programmava spesso e ha sempre detto che sarebbe stato un cantautore più tradizionale se non ci avesse ascoltato molto. Era un fatto nuovo, diverso, le parole avevano un suono diverso da quelle che si sentivano in buon italiano, i cantautori usavano un linguaggio italiano medio che non bucava lo scermo della comunicazione. Gli Skiantos, nel loro piccolo, hanno messo a fuoco una lingua vera, viva.
Con gli Skiantos l''ironia come forma per evitare la retorica, per sfuggire agli schemi del già detto. Adesso l'irriverenza della sperimentazione e dell''avanguardia musicale. Le regole proprio non ti piacciono.
Sono fondamentali, non ho l'idiosincrasia delle regole; dico solo che in arte, quando diventano disumane e troppo faticose, l'artista ha il dovere di sovvertire. Non deve esistere in arte la parola vietato, perché l'arte deve osare qualsiasi cosa.
Usualmente, la musica si è sempre sforzata di veicolare un messaggio politico, un concetto, un''idea, un racconto, un''emozione. Nel numero dieci del tuo "Manifesto Tendenzialista" dici "Intendiamo perseguire la forma più alta e compiuta del Gesto Tendenzialista: il Silenzio!!" Intendi infrangere anche questa regola?
(Sospira) Chi lo sa. Il silenzio è una provocazione presa dal linguaggio dell'ultimo John Cage "il futuro della musica è il silenzio". Ci sembrava una bella provocazione, un silenzio che però ha percorso tutte le musiche possibili, quello che ha praticato tutte le musiche e arriva alla sublimazione delle stesse con un''assenza carica di tutte le esperienze musicali immaginabili.
Gli Skiantos in “Mi piaccion le sbarbine” del 1980
Dici di voler arrivare al pubblico con questa modalità espressiva, di volerla portare nei pub e nelle birrerie per avvicinare la gente e curarla dalla "claustrofonia". Come venite a patti con il rischio di non essere compresi? Quando l'arte diventa avanguardia non si rischia di farla diventare linguaggio d'elite?
Certo, senz'altro. E pensiamo anche che mentre tentiamo il nostro esperimento siamo il penultimo tentativo, ci sono artisti che sono già più avanti hanno superato la dimensione della musica contemporanea, abbiamo pensato che vada raccolta la sfida dell''ascolto e della pratica.
Dici "Accordiamo massima fiducia allo Sforzo Creativo che rimane il solo gesto eroico possibile": siete un po' degli eroi?
Gli eroi veri erano Bene e Stratos, noi siamo degli sperimentatori in piccola scala che cercano di provocare il pubblico: accettiamo la sfida della musica contemporanea e vediamo l''effetto che fa. Non scappare di fronte al complicato, al cosiddetto difficile, affrontare la sfida, la cacofonia della musica contemporanea, in quanto contrario della ricerca pop rock: anziché accordi che si prestano a riff che si attaccano a ventosa al nostro orecchio, si cercano soluzioni armoniche e melodiche meno scontante, più stridenti, a volte inascoltabili, con il merito, nel nostro caso, di prevenire la claustrofonia (la paura di essere rinchiusi in un luogo dove si suona musica contemporanea). La musica contemporanea va ascoltata perché è l''esperimento ultimo, è giusto avvicinarsi alle avanguardie, i nostri spettacoli vogliono essere degli omaggi alle avanguardie per il coraggio che ad esse va riconosciuto. Noi vogliamo dire al nostro pubblico: proviamo insieme ad ascoltarla per renderla più appetibile, come la medicina molto amara, proviamo a mettere un po'' di zucchero, di ironia e di divertimento. Questa parte è affidata alle poesie ironico-surreal-demenziali di Freak Antoni.
È l'ultima frontiera, domani sarà la penultima. Di solito il pubblico dice "rinuncio perché non sono capace", oppure di fronte ad un astratto dice "sono capace anche io di fare quatto scarabocchi", dovevi farli però a cavallo dell''Ottocento e Novecento. Allora fare quegli scarabocchi era molto coraggioso. Non dobbiamo considerarla come esperimento di alcuni pazzi. Certo se uno ascolta la musica di Luciano Berio la partenza è impegnativa, ma ci sono altri artisti più accessibili. È uno dei più ostici, se parti con le sue dissonanze è complesso. Avevamo messo in scaletta alcune composizioni di Berio ma poi l''abbiamo rivista, ma non è escluso che arriveremo a proporne. Siamo aggiustando il tiro».
Ci sarà un "Ironikontemporaneo Tre"?
Pensiamo di sì. Il nostro è veramente un work in progress, da quando Alessandra mi ha introdotto a questa musica e mi ha fatto scoprire compositori strani, a forza di ascoltarla mi è venuta la perversione del genere: se non c'è stranezza nell'armonia e un po' di contorsione nella melodia faccio fatica ad ascoltare brani di musica leggera che prima erano il mio pane quotidiano. Ho scoperto come due note nel silenzio siano molto più travolgenti di tantissimi ritmi rockettari o sudamericani.
Ironikontemporaneo Due è già molto diverso dal primo che era un po' sull''attenti voleva essere preso sul serio, forse fin troppo all''inizio, voleva essere esteticamente non troppo attaccabile, quasi impeccabile, il secondo è molto più sciolto, più brillante più divertente, speriamo in un terzo, in cui lasceremo scivolare spontaneamente un po' tutte le tentazioni.
Dopo l''intervista, Freak è subito sul palco. Giacca, papillon e la sua spilletta I love Satie; con voce profonda presenta il progetto. Uno spettacolo di musica ed ironia, un po' teatro, un po' lezione — con le escursioni storiche attraverso la musica contemporanea — un po' concerto con il suggestivo piano di Alessandra Mostacci.
La scaletta è accattivante e tiene il pubblico agganciato agli occhi (spesso chiusi in uno sforzo intimista) di FreakAntoni. La lirica di Leggero (Anna i tuoi capelli), l'inno a Giuda che il nostro poeta, grazie ad un viaggio nel tempo, vorrebbe salvare da una fine decisa dall'alto (Giuda, gli dirò, perlamordiddio, quando stasera ti invitano a cena, di' che non puoi assolutamente, inventati qualcosa, chessò ... sparisci ! ... vai a puttane, ma NON ANDARE A QUELLA CENA !). L'omaggio a qual genio di sua figlia Margherita che chiede "papà perché mi hai dato il nome di una pizza". E ancora l'eterna passione di Freak per gli escrementi in Merda d'artista e in il Signore dei Tarzanelli fino a due pezzi Skiantos riarrangiati dalla pianista in chiave classico-romantica, Vortice d'amore e Sono un ribelle Mamma, con un bell'accompagnamento arpeggiato, pieno e suggestivo...