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Dossier. Il consumo consapevole. “Apparecchio per aprire dal di sotto”, il progetto di Macao, Asilo e S.a.L.E. Docks in gara per CheFare: uno strumento per il libero accesso ai mezzi di lavoro artistico e culturale messi a disposizione dagli spazi che nel tempo aderiranno alla rete.

Siamo comunicatori e dobbiamo usare la semplicità,
ma la semplicità deriva da un accumulo di complessità.
Enzo Moscato

Che idea abbiamo dei lavori della cultura? Nell’immaginario collettivo chi scrive, fa cinema o teatro, chi fa musica o danza è un privilegiato perché si ha un’idea dell’arte e della cultura alla stregua di qualcosa di astratto, lontano, da riverire con venerazione o, all’estremo opposto, come puro svago per prendersi una pausa dalle preoccupazioni della quotidianità.
La realtà, invece, è molto diversa.
Lo scrittore (soprattutto quando è drammaturgo) ha bisogno della linfa vitale che gli viene dal mondo esterno in generale, dal confronto intellettuale e artistico con l’altro. Ha bisogno di studio e lo studio ha bisogno della serenità che giunge dal contesto in cui vive e in parte anche dal denaro – ma, attenzione, non da quel denaro vile che porta a pensare alla cultura come “petrolio” ma da quello nobile che consente al pensatore, all’artista, allo scrittore, al musicista di produrre e andare avanti col suo mestiere. Sì, quello della cultura è un mestiere, non un’elevazione spirituale fine a se stessa.
Il lavoro culturale, in qualunque forma esso si traduca, dovrebbe far parte della quotidianità di ogni comunità esistente, come coscienza, come gioco, come partecipazione attiva, come riflessione e anche come sano intrattenimento, come ri-creazione.

 

 

Per tutti questi motivi – sia come eco dei diritti fondamentali degli autori/attori del lavoro culturale, sia come fruizione e partecipazione delle comunità di riferimento – in Italia, spontaneamente e quasi magicamente, dal 2007 (con le mobilitazioni nazionali dei lavoratori dello spettacolo e dell'immateriale) e, ancora più tenacemente, dal 2011 (con il Teatro Valle di Roma) sempre più centri italiani hanno vissuto questa sana epidemia di liberazione di teatri dismessi e chiusi, di spazi inutilizzati o sottoutilizzati. Nessuno lo ha deciso a tavolino, molti lo hanno sentito come urgenza.
I lavoratori dell’arte e dello spettacolo si sono organizzati perché questi spazi – per lo più di proprietà pubblica - potessero essere usati come sale prove per compagnie che non riescono a pagare un fitto. Abitando questi spazi hanno scoperto che ci sono anche compositori, tecnici delle luci e del suono, costumisti, scenografi disposti a creare un vero palcoscenico con le attrezzature necessarie, a fornire la loro città di uno spazio per la creazione. Luoghi in cui avviare laboratori di danza, di arti visive, di teatro accessibili a chiunque. Cicli di autoformazione con professionisti e pensatori di ogni settore artistico e culturale, tavoli di lavoro, assemblee di confronto con la città, col quartiere, assemblee di elaborazione teorica delle pratiche in atto. Insomma si è cominciato a ripensare l’idea di lavoro, formazione e fruizione.

 

 

Ma che forma dare a tutto ciò? Come trasformare queste virtuose oasi in pratiche riproducibili?
Da Venezia a Palermo, passando per Milano, Pisa, Roma, Teramo, Napoli, Messina, Catania, si sta collaborando con filosofi del diritto, storici, antropologi, studiosi e cittadini perché questi spazi non sono solo luoghi fisici resi disponibili alla cittadinanza ed ai lavoratori, ma sono processi preziosissimi per la riappropriazione di momenti di incontro e di un livello più cosciente di socialità.
Sono una valanga di idee, sono cattedrali del pensiero, sono le nuove piazze.
Insomma, quello che non viene garantito alla cultura, la cultura se lo crea da sé (con faticose pratiche di autofinanziamento), se lo rivendica e lo protegge.

 

 

Tre di questi centri — Macao (Milano), L’Asilo (Napoli)S.a.L.E. Docks (Venezia) — già legati da importanti forme di cooperazione sin dalla loro nascita, hanno deciso di partecipare alla seconda edizione del bando per la cultura Che fare. Promosso da Doppiozero.com, il bando vanta alcune tra le più autorevoli e attente realtà nazionali di sviluppo territoriale e mira a raccogliere i più lungimiranti progetti capaci di immaginare nuovi modi di fare cultura in Italia, premiando e sostenendo il migliore con un fondo di 100.000 euro.
Macao, L’Asilo e Sale Docks partecipano al concorso con un progetto che si chiama Apparecchio per aprire dal di sotto (potete seguire gli aggiornamenti sui social con l’hastag #apparecchioper) e che ha superato la prima grande prova essendo stato scelto su un ventaglio di oltre 600 proposte. Ora è tra i 40 progetti migliori.

 

 

Già nel nome l’Apparecchio per aprire dal di sotto comunica l’accesso a una produzione artistica inusuale che parte da queste realtà sperimentali che negli anni hanno dimostrato un grande potenziale di trasformazione racchiuso nel valore culturale e sociale delle esperienze a confronto, divenendo punti di riferimento e proponendosi come centri di formazione e autoproduzione.
La vincita del bando – previa votazione online e, infine, giudizio di una commissione di esperti per gli otto progetti più votati dal web - consentirebbe alla rete di solidificarsi e alle pratiche di potenziarsi con la dotazione di strumentazione tecnica e con la creazione di una piattaforma web on-line e off-line che garantisca l'accesso a questo modo di produrre da parte di chiunque e ovunque mettendo in comune spazi, attrezzatura e competenze attraverso la banca del tempo e nuove forme di economia, come la moneta digitale.
Lo scopo è quello di creare, dunque, uno strumento che consenta il libero accesso - per artisti e lavoratori in modo trasversale e pluralistico - a mezzi di lavoro messi a disposizione dagli spazi che nel tempo aderiranno alla rete. L’Apparecchio conterrebbe, inoltre, un’area di archiviazione digitale per la conservazione del tracciato video-audio delle opere, utile anche alla loro divulgazione e alla richiesta di finanziamenti per sostenere i singoli progetti.

 

 

Macao, L’Asilo e Sale Docks, con la loro storia, hanno già dimostrato il loro valore, pratico e teorico, sotto ogni punto di vista: lo hanno dimostrato con le sane conflittualità interne, con la continua messa in discussione e rielaborazione delle pratiche per un costante avanzamento in totale contrapposizione all’idea di staticità e chiusura ideologica, con il sostegno dei più attenti intellettuali, pensatori e operatori, con le attività che concretamente e quotidianamente riempiono gli spazi, con la capacità di unire competenza, diritto al lavoro e al pensiero, diritto alla disponibilità dei mezzi di produzione e del lavoro culturale. Ora sono in cerca di sostegno per l’avanzamento di questi processi.
L’Apparecchio per aprire dal di sotto è il tentativo di moltiplicare queste pratiche e di sviluppare sistemi di produzione cooperativi e non competitivi, di ribaltare le logiche del mercato e del consumo in ambito culturale.
Quella che vi ho raccontato non è la favola della buonanotte, ma la storia di chi la notte sogna e il giorno lavora affinché quei sogni, mentre li pensa, diventino realtà.

 

 

 

Gli autori di Vorrei
Anna Lucia Cagnazzi
Anna Lucia Cagnazzi

Dopo rocambolesche peregrinazioni che dallo studio della Storia dell’Arte l’hanno condotta alla fascinazione della teoria teatrale e performativa contemporanea, nonché alla complicazione felice dell’attivismo per la definizione dei nuovi diritti dei lavoratori della cultura e dell’immateriale, è, per il momento, serenamente approdata al ruolo di insegnante di scuola primaria e d’infanzia. Da precaria, s’intende.

Qui la scheda personale e l'elenco di tutti gli articoli.