Intervista a Alberto Casiraghi, leader degli Alanjemaal, storico gruppo brianzolo nato dalle ceneri dei Rude Pravda, appena tornato col nuovo album "(Non ho) niente da sognare", all'insegna della ricerca sonora e dei testi diretti. In streaming su Vorrei
Come prima cosa ti chiederei di tracciare brevemente la storia della band dall’inizio degli anni ’90 ad oggi, perché credo sia molto interessante…
Più che interessante è lunga e articolata e non riuscirò nella sintesi.
Inizia tra il 1990/1991 quando io e il nostro tastierista Gianfranco Lucchini suonavamo negli I meet I, seminale band milanese che vedeva tra le sue fila un allora giovanissimo Xabier Iriondo che qualche anno dopo divenne uno dei membri più importanti degli Afterhours. Chiusa quell'esperienza io e Gianfranco, affiancati dal fratello Marco alla chitarra, formammo nel 1993 i Rude pravda, con il bassista e il batterista (il nostro Andrea Ventura) di una band monzese, Memento. Molti concerti, due cassette autoprodotte (allora era più complicato produrre cd), qualche compilation - la più importante, Fuori dal Mucchio vol 1, prodotta da Federico Guglielmi - e infine il cambio di bassista nel 1999 con l'ingresso di Alessandro Polito, con il quale si ha la definitiva stabilizzazione della line up e il cambio di nome in Alanjemaal. Questo ha fatto sì che abbandonassimo quasi completamente il materiale scritto in precedenza sotto la denominazione di Rude Pravda, per addentrarci in territori più psychedelici, post-rock. Questa nuova vena compositiva fa drizzare le orecchie a Fabio Magistrali, uno dei più importanti e apprezzati produttori italiani, nostro amico dal 1989 col quale avevo già lavorato, che ci propone la produzione di un album, che registrammo nel 2001 e che vide la partecipazione di due degli allora sconosciuti Pertubazione, anch’essi amici da anni.
Pare un felice approdo e invece è un arenarsi. Le registrazioni sembrano non piacere a nessuno. Nessuna etichetta si fa avanti, nessun promoter, nessun giornalista sembra interessato. Certo, potevamo fregarcene e autoprodurlo, ma all'epoca ci sembrava quasi ucciderlo, visto che sarebbe stato molto difficile farlo circolare. Siamo, ricordo, nell'epoca del web primordiale, pre-socialnetwork. Fatto sta che questa impasse è il preludio a quasi un decennio di vita congelata per la band, periodo nel quale non abbiamo mai smesso di comporre canzoni, ma per il resto è stato quasi un sopravvivere sopraffatti dal continuo richiamo della realtà: matrimoni, separazioni, problemi lavorativi, figli. Poi nel 2009/2010, complici alcuni incastri felici, ripartiamo con maggiore convinzione. Partecipiamo alla realizzazione di una compilation di Tributo ai Franti, ricominciamo a fare concerti, facciamo uscire il disco registrato un decennio prima, intitolandolo metaforicamente "Dalla ruggine", e ne terminiamo un altro, che è appunto l'appena uscito “(Non ho) Niente da sognare”.
Cosa vi ha fatto andare avanti in tutti questi anni e anzi aumentare l’impegno ultimamente? È solo la passione per il rock o c’è altro?
E' una bella domanda, sopratutto se ripenso a certe sere a metà del decennio scorso quando l'impulso a mollare tutto è stato forte. A fronte di questo c'è sempre stata la convinzione che il nostro progetto musicale, la band, il fare musica era ed è il nostro spazio liberato da tutti i problemi della quotidianità. Nelle poche ore che passiamo assieme alla settimana nessuno ci impone nulla. Non abbiamo obblighi tranne che con la nostra passione, e tutto quello che facciamo, anche quando suoniamo male e non siamo soddisfatti, è per scelta e responsabilità nostra. A ben vedere, non è poco.
Certo, la passione per la musica conta, ma conta di più il sentirsi liberi decidendo di passare molto tempo della propria vita mettendo completamente in gioco quella parte più profonda, quasi intima, che si può esprimere solamente attraverso l'atto artistico. E farlo con altre quattro persone per così tanti anni non è una cosa sempre facile. Tanto che, oggi, dopo tutti questi anni trascorsi assieme, dopo tutti i problemi che abbiamo superato - e solo noi, ovviamente possiamo capire quanto hanno pesato - ci sentiamo ancora di più una famiglia. Una seconda famiglia, o meglio una famiglia allargata, dato che in questi due decenni abbiamo condiviso proprio tutto.
Dal punto di vista sonoro avete subito un’evoluzione abbastanza inconsueta, passando da composizioni più cerebrali e spesso totalmente strumentali a quelle del nuovo disco, che invece sono più spontanee e dirette e con un ruolo anche per le liriche. A cosa sono dovuti i cambiamenti in questo senso?
A nulla in particolare e a tante motivazioni allo stesso tempo. In realtà una nostra prerogativa, sin dagli inizi, è sempre stata quella di cambiare, di cercare nuove strade e nuove sonorità anche da un brano all'altro, mantenendo però coerentemente una certa riconoscibilità. Siccome non ci piacciono le cover band - anche quelle inconsapevoli - abbiamo sempre il timore della ripetizione all'infinito di una formula, e soprattutto il paragone lapidario ed inequivocabile con una certa band del passato. Se si aggiunge che il sottoscritto è da sempre stato un ascoltatore onnivoro e compulsivo, la trasformazione delle nostre composizioni negli anni è stata una cosa naturale e spontanea. Semplicemente, sarebbe stucchevole suonare come dieci o quindici anni fa, anche perché inevitabilmente nel frattempo ognuno di noi è cambiato.
Una nostra prerogativa, sin dagli inizi, è sempre stata quella di cambiare, di cercare nuove strade e nuove sonorità
Detto ciò, c'è una ragione anche di carattere tecnico ed è strettamente legata a come è nato "Dalla ruggine", che era un disco molto ragionato e preparato fino all'ultimo dettaglio, a differenza di "(Non ho) Niente da sognare" che ha avuto una genesi quasi casuale.
Per quanto riguarda i testi, è vero, sono più diretti. Ad un certo punto non ho più voluto a tutti i costi nascondermi dietro alle parole. Insomma, sarà la maturità acquisita, ma gli ermetismi mi stavano sempre più stretti e ho optato per una maggiore sincerità, soprattutto per l'approccio alla scrittura. Poi, stiamo parlando di un impianto musicale dove la voce e la parola non hanno predominanza sugli strumenti, come può essere per il cantautorato e anche per tante formazioni di rock italico. Questo per dire, che una certa sintesi è dovuta, e qualche mascheramento è necessario.
Restano comunque forti i legami con la musica degli anni in cui avete iniziato, ascoltando l’album vengono in mente nomi come quelli dei Sonic Youth e dei Dinosaur Jr. Siete legati così fortemente a quel periodo e a quell’idea di musica? E avete influenze anche più ”moderne” che magari non ho colto?
Siamo legati a quel periodo perché è quello è stato il momento in cui ci siamo affacciati col primo gruppo serio, agli inizi degli anni 90. Fa parte del nostro background musicale. Ma è un accostamento che, pur legittimo, troviamo limitante. Per dire, siamo legati alla psychedelia degli anni sessanta, soprattutto californiana, ai mostri sacri Beatles, Dylan, Velvet Underground, Byrds, Love, al Kraut rock, al proto punk americano, il post punk inglese, agli anni ottanta della SST, alla Dischord, alla Touch and Go, alla scuola di Canterbury, agli Husker Du, ai Flaming Lips, ai Thin White Rope, agli Screaming Trees. Potrei continuare all'infinito coi riferimenti del passato. E sì, anche cose più moderne un po' sparse ovunque negli anni: Motorpsycho, Oneida, Akron/Family, Field Music, MGMT per farti qualche nome a caso tra le decine che seguo.
Se dovessi scegliere un solo brano per far capire cosa sono gli Alanjemaal, quale sceglieresti? E perché?
Riposta difficile, per le ragioni che ho detto sopra. Nel senso che non crediamo (a torto, forse) di avere una canzone tipo. Potrei citarti il dittico Nerofumo/Traslucido, dall’ultimo disco, che nella varietà di atmosfere riassume tutto quello che ci sentiamo di fare. C’è la parte melodica, l’impennata chitarristica, la suite strumentale, l’irruenza del ritmo nella seconda parte, la stratificazione degli arrangiamenti, e pure l’intervento, al centro, di una post produzione in reverse. Ma come dicevo, non mi pare una canzone tipo in senso stretto. E’ più l’esempio del nostro modo di scrivere. Partiamo da un’idea, da un semplice fraseggio, e invece di seguire la classica forma canzone cerchiamo di deragliare in altri territori. Ecco, se c’è una formula che abbiamo seguito - ma non sempre e magari non sarà così nel futuro - è probabilmente questa.
Partiamo da un’idea, da un semplice fraseggio, e invece di seguire la classica forma canzone cerchiamo di deragliare in altri territori
Come vedi l’evoluzione del contesto musicale indipendente in Italia dagli anni ’90 ad oggi?
A fronte di un numero sempre in aumento di proposte fatico veramente a trovare la stessa qualità, in proporzione, che si poteva scovare nelle produzioni musicali di un paio di decenni fa. Al di là che la sovrapproduzione di per sé porta a difficoltà nel poter veramente capire la qualità di un contesto musicale del resto molto variegato, ci sono delle ragioni tecnologiche e strutturali in parte comuni per tutto il mondo occidentale. La prima, ed è la più importante, è che come negli anni 90 gruppi come i nostri per prima cosa pensavano a produrre dei demo anche professionalmente convincenti, oggi dopo un mese di prove ragazzi alle prime armi pensano a fare un disco, dato che l’evoluzione della tecnologia rende tutto più facile ed economicamente accessibile. Ovviamente è tutto lecito, ma a molti manca la maturità che si acquisisce in anni di gavetta. D’altro canto, e in parte le cose sono collegate, nel frattempo sono sparite o quasi le etichette indipendenti, che rimangono - a parte poche eccezioni - quasi dei nomi di facciata. Hanno un venduto trascurabile, ma soprattutto non tracciano dei percorsi artistici e culturali credibili, a differenza di come poteva accadere appunto in alcuni casi negli anni 90.
Certo, queste considerazioni forse sono figlie della nostalgia dei bei tempi andati e il ricordo di quegli anni potrebbe essere distorto. Fatto sta che oggi mi pare ci sia una gran massa di musica, la maggior parte irrilevante, che fatico ad apprezzare. Soprattutto,mi sembra che specialmente nei più giovani - anche qui con le dovute eccezioni - manchi totalmente la volontà dell’azzardo nel cercare forme musicali eterodosse, come magari poteva succedere nei primi anni 80, dove tutto era sì molto più ingenuo ma anche più sincero, vivo, stimolante. Ragazzi che hanno un’enorme bagaglio tecnico che io mi sogno la notte, ma che lo mettono a disposizione del continuo scimmiottamento di modelli super abusati. E non sto parlando di cover band. Una cosa noiosa e anche triste. Certo, questo è il magma quasi uniforme, che appunto negli anni 90 non esisteva, o perlomeno non aveva queste proporzioni. Ma magari è solo un problema di percezione, dettato anche dalla crescita dell’informazione via Social Network. Sopra questo magma ci sono, come in tutte le annate, i buoni dischi e i buoni gruppi da salvare ed apprezzare.
Un’unica postilla doverosa a queste considerazioni. Tra la musica irrilevante di questi anni c’è anche quella degli Alanjemaal...
Avete lavorato anche con Elena e Gigi dei Perturbazione. Cosa pensi della loro partecipazione al Festival di Sanremo? E di quella di altre band alternative storiche negli scorsi anni?
Di tutte gli artisti della scena alternativa e indipendente italiana che nei vari anni sono approdati a Sanremo la partecipazione dei Perturbazione mi sembra quella più logica, sensata e assolutamente non forzata. Li conosciamo dal 1998, soprattutto Gigi, Elena e Tommaso, e sappiamo come il loro immaginario musicale sia stato sempre in bilico tra rock indipendente, canzone d’autore, musica leggera. Per questo non trovo per nulla strano questo approdo, perché stava nel loro DNA, nel loro modo di essere musicisti, a differenza di altri loro colleghi che probabilmente hanno dovuto adattarsi a un contesto a loro più distante. Tanto è vero che il gruppo torinese è sembrato a tutti, anche a chi non li conosceva, molto a suo agio sul palco dell’Ariston. Sinceramente sarò contento se riusciranno a portare a casa, come sembra, un’ulteriore gratificazione professionale e ovviamente economica, perché so la fatica che hanno fatto in tutti questi anni di instancabile e continua attività live. Sono delle belle persone e non penso che verranno trasformate dall’eventuale successo.
Penso che Sanremo per un musicista debba essere considerato Il Male, non per una questione di qualità musicale, ma per un discorso culturale, economico ed etico
Se poi vuoi sapere cosa ne penso io di Sanremo, ne penso tutto il male possibile. Anzi, penso che Sanremo per un musicista debba essere considerato Il Male, non per una questione di qualità musicale, ma per un discorso culturale, economico ed etico. Ho una visione radicale sull’argomento e penso che stia sul versante opposto delle vite di molti musicisti che conosco e stimo, ovviamente assolutamente antitetico alla vita di una band come gli Alanjemaal.
Nonostante questo rispetto la scelta dei Pertubazione. La loro posizione sull’argomento era nota da tempo e anche se non la condivido ho tifato per loro.
E per quanto invece riguarda la scena di Monza e Brianza dagli anni ‘90 ad oggi cosa pensi?
Che non ci sia mai stata una scena in quanto tale, ma diversi musicisti che raramente hanno collaborato tra loro. Negli anni ‘90 eravamo tra le poche band del territorio ad usare le chitarre in un certo modo, con un approccio post punk e noise. Andando in giro a suonare, o quando capitava di organizzare concerti, le proposte prevalenti erano i gruppi ska-punk, qualche gruppo metallaro, band cross-over. Ora siamo attorniati da orde di Stoner, post-grunge, indie fighetto, rock italico melodico, molti di questi gruppi più attenti all'aspetto formale che alla sostanza. Ecco, riallacciandomi a qualche domanda fa, le nuove generazioni dovrebbero fregarsene dei formalismi e gettare nel piatto più fegato e creatività, irrequietezza e imprevedibilità. Non bisogna essere vecchi a vent’anni. Per contro, ti faccio qualche nome di gruppi coi quali, pur con il delay generazionale evidente, abbiamo qualche affinità: Nice, Divers On the Moon, La scatola nera sono tre formazioni giovani da tenere d’occhio.
Negli anni ’90, quando ancora eravate Rude Pravda, avevate un legame molto stretto con il Mucchio. Non chiedo nulla sulle polemiche legate al giornale in questione, ma vorrei sapere cosa pensi in generale dell’editoria musicale oggi, sia quella cartacea che quella web.
Una domanda che rischia di mandare in fumo tutto il lavoro del nostro ufficio stampa…Scherzi a parte, le problematiche che sopra citavo nell’evoluzione della scena musicale italiana in qualche modo si possono traslare anche nell’editoria specializzata. Non è un segreto che le riviste, anche quelle storiche, hanno enormi problemi economici perché la concorrenza dell’informazione via web in questi anni è stata agguerritissima. Il risultato è stato, a mio avviso un abbassamento generale della qualità, ma al contempo un ampliamento dei canali informativi. Ne parlavo in una delle riposte precedenti. Solo quindici anni fa potevi farti conoscere quasi esclusivamente attraverso le poche riviste musicali da edicola, che però generavano un più alto numero di copie vendute confronto a quelle attuali, e inoltre attraverso il circuito delle fanzine cartacee, molto diffuso ma dai numeri esigui. Oggi abbiamo pochi magazine da edicola superstiti e un sacco di web magazine, alcuni dei quali anche di buona fattura. La mia opinione è che l’autorevolezza che si poteva trovare ieri nei magazine cartacei oggi, per queste ragioni, la ritroviamo sparsa un po’ ovunque e in nessun luogo in particolare. Per dire, trovo alcuni blog fatti da semplici appassionati molto più interessanti e sinceri di alcune riviste storiche. Ma viceversa trovo in diversa editoria web superficialità, approssimazione, dilettantismo. E’ anche vero che non sempre la passione basta, quando hai poco tempo a disposizione e le bollette da pagare. Ovvero, se manca un ritorno economico, non si può pretendere un giornalismo sempre approfondito perché al di là degli strumenti teorici e della conoscenza della materia c'è bisogno anche di qualche forma di sostentamento. Che poi, è un problema diffuso in tutto il mondo giornalistico, non solo quello musicale.
Detto ciò, mi sorprendo positivamente quando un nostro disco viene recensito e coglie in pieno il senso di quello che facciamo e di quello che suoniamo. Anzi, molte volte troviamo delle chiavi di lettura sul nostro lavoro che a noi paiono inedite e stimolanti. Ecco, quello che cerco da lettore è appunto questo, che ci sia meraviglia in quello che si legge e non solo routine e formule scontate.
Quali sono i progetti futuri della band? State già pensando a registrare nuove canzoni, magari con altri cambiamenti stilistici?
Visto che il primo disco è uscito dopo dieci anni e per finire il secondo ce ne abbiamo messi cinque, sarebbe bello scriverne uno nuovo, registrarlo e pubblicarlo in un anno. E’ una dichiarazione d’intenti che sottintende che già abbiamo un nutrito numero di canzoni, abbozzi e idee da sviluppare che nelle nostre intenzioni vorremmo registrare alla fine dell’anno o all’inizio del prossimo. Ci sarà un cambio di direzione nei suoni, dato che abbiamo pensato a rinnovare quasi tutta l’effettistica delle chitarre, ma non credo che sarà poi una cosa radicale. Del resto facciamo quello che ci riesce naturale e cerchiamo di assecondare l’esigenza artistica del momento, senza preconcetti, rimanendo all’interno della nostra sfera musicale, cercando magari di fare un passo avanti o di lato. Probabilmente sarà un disco meno arrembate di “(Non ho) Niente da sognare”, perché vorrei approcciare le registrazioni in un modo meno consueto per i nostri standard. Ma chissà. Ne parleremo con Fabio Magistrali, che speriamo che questa volta sia con noi sino dalla progettazione del disco.