Intervista all'inventore della formula poetry slam, ospite di PoesiaPresente al teatro Binario 7 di Monza in occasione delle finali del primo campionato italiano targato Lega Italiana Poetry Slam
C
apitale della poesia italiana per qualche giorno. Potrebbe sembrare esagerato parlare di Monza in questi termini, ma se non bastasse l'aver ospitato la prima finale nazionale del campionato italiano poetry slam, avere come ospite dell'evento chi il poetry slam se l'è inventato negli anni Ottanta dovrebbe mettere tutti d'accordo. Nella serata PoesiaPresente di sabato scorso, quando il vincitore è stato Pierluigi Lenzi, l'istrionico poeta di Chicago Marc Kelly Smith ha incantato il pubblico monzese con una delle sue straordinarie performance. Noi l'abbiamo intervistato.Che cosa pensa degli slammer italiani che ha visto all'opera? Sono al livello di quelli statunitensi?
Certo, ci sono evidenti differenze fra gli slammer americani e quelli europei in generale. Dalle mie parti, però, lo stile di molti è degenerato, è diventato ripetitivo e monotono. Qui in Italia, anche senza comprendere la lingua, ho avvertito la musicalità e la spontaneità, e le ho apprezzate molto. Tanti hanno usato molto bene il corpo oltre alla voce, cosa importantissima. Certo, il fatto che alcuni avessero il testo davanti per me è insolito: il testo va interiorizzato, avere uno scritto da cui leggere ti limita nell'espressività.
L'italiano è una lingua performativa? Ci sono lingue più o meno adatte al poetry slam?
Senz'altro l'italiano è una lingua adatta alla performance. È espressivo, musicale, melodico. Secondo me, però, ogni lingua ha il suo modo di essere performativa. C'è quella più melodica, quella più ritmica, ma nella mai esperienza ho imparato che ogni lingua, persino quella più ostica, può rivelarsi insospettabilmente melodica. Ogni lingua è ciò che ne fai.
Che cosa conosce e che cosa pensa della poesia italiana?
Di ogni letteratura io adoro i classici. Ciò che ho letto di italiano era ovviamente in traduzione: un po' di Dante, di Montale, pochi contemporanei.
Il poetry slam esiste dagli anni Ottanta: è il futuro della poesia? I "poeti di carta" spariranno?
Io credo che il poetry slam sia il più importante movimento poetico dei nostri tempi, anche se riesce fortunatamente a essere ancora underground. Secondo me, siamo noi slammer a influenzare i "poeti di carta" molto più di quanto loro facciano con noi. Del resto, l'origine della poesia è dalla nostra parte: tornare all'oralità della poesia siginifica recuperarne l'essenza vera. Se scrivi e basta, fai del tuo meglio per il lettore. Concepire un testo per la recitazione con corpo e voce, amplifica enormemente le tue possibilità.
La poesia performatica è più difficile di quella scritta? O sono semplicemente arti diverse?
La poesia performativa è più difficile da apprendere perché mescola competenze diverse, forme espressive diverse. In ogni caso, scrivere per un lettore e concepire poesie per un uditorio si possono considerare arti diverse.
Da dove nasce la formula del poetry slam?
Scrivo da quando avevo diciannove anni e da subito cercavo sbocchi per dare voce ai miei versi. Avevo un lavoro in tutt'altro ambito, ma volevo essere un poeta. Così, andavo anche alle letture di poesia, pensando che mi potessero aiutare per approfondire la mia conoscenza dell'arte. Io sono un lettore lento, quindi credevo che le letture potessero fare da scorciatoia per apprendere di più in meno tempo. Delusione: le letture di poesie erano terribilmente noiose. Fu un attimo pensare che, se me ne fossi occupato io, le cose sarebbero state ben diverse. Sono stato fortunato, perché ci sono riuscito, riavvicinando la gente alla poesia con il pretesto del gioco, della gara. Uno specchietto per allodole, perché il centro di tutto resta la poesia. Ho trovato il mio destino, anche se ci ho messo molto a essere rispettato. All'inizio gli accademici e i puristi mi odiavano. Perché? Perché la gente si divertiva. Il poetry slam è nato perché mi annoiavo.
Un saluto ai lettori di Vorrei?