La mostra di Storm Thorgerson all'Arengario di Monza per riscoprire l'importanza delle copertine dei dischi e dell'arte nella musica.
C'è stato un tempo in cui le copertine dei dischi avevano un ruolo molto importante. Diciamo dalla fine degli anni Sessanta agli anni Novanta. Certo non mancano le eccezioni prima e dopo, ma se volessimo eleggere la copertina più bella di sempre, molto probabilmente la pescheremmo in quel periodo.
Forse perché non esisteva iTunes e la musica si comprava nei negozi, e lì la copertina era lo strumento più importante per l'identità del disco. Forse perché allora il rapporto fra artisti visivi e musicisti era cosa comune. Forse perché non c'era Youtube a decretare il successo o l'anonimato di un autore. Forse perché i dischi erano ancora considerati un prodotto culturale e non alla stregua di un pacco di biscotti.
Per capire e apprezzare quanto fosse importante e curata la copertina per un album — per un LP, ovvero il Long Playing a 33 giri — può essere molto utile e piacevole visitare la mostra “The Gathering Storm. Dai Pink Floyd ai Muse le grandi copertine rock di Storm Thorgerson”, aperta all'Arengario di Monza (12 giugno – 24 agosto 2014, orari di apertura: da martedì a domenica dalle 17 alle 23, ingresso gratuito). Voluta dal Comune di Monza e prodotta da Clarart, organizzata da Arteutopia con Stormstudios e curata da Luigi Pedrazzi e Daniel Abbott, la mostra presenta il lavoro di Storm Thorgerson, fotografo inglese scomparso il 18 aprile del 2013. Sono esposte decine di stampe da originale, numerate e firmate. Lavori realizzati per grandi nomi del rock, dai Led Zeppelin a Peter Gabriel, da Paul McCartney ai Nice, fino ai Cranberries e ai Muse.
Alcuni dei lavori di Storm Thorgerson
«Una mostra per interpretare la musica come energia irrazionale e quasi magica, dove la creatività dell’artista si afferma negli infiniti mondi possibili che scaturiscono dal suo talento e dalla sua immaginazione.» Lavori molto impegnativi anche dal punto di vista produttivo, con budget molto elevati, impensabili ai giorni nostri: set studiatissimi in cui tutto è prestabilito e nulla è frutto di Photoshop. Chiaramente, ora come allora, solo in pochissimi al mondo potrebbero permettersi di allineare 700 veri letti su una spiaggia come per la copertina di “A momentary lapse of reason” (Pink Floyd, 1987), o di bloccare mezza Londra per il maiale volante di “Animals” (ancora i Pink Floyd, 1977). Ma la differenza, più che nel budget sta nel senso: la copertina come parte fondamentale dell'opera disco e non banale packaging da merce in vendita.
Questo aspetto è lampante se guardiamo le copertine dei 10 dischi più venduti in questo momento in Italia: in 8 su 10 campeggia il ritratto dell'artista, vero “marchio di fabbrica” molto più della sua musica, del suo stile, della sua arte. È un prodotto così simile a tutti gli altri che solo la faccia dell'artista può aiutare (forse) a distinguerlo.
Una parabola, quella della copertina, che forse è stata seguita in anni più recenti — e con una velocità maggiore — anche dai videoclip. Negli anni Ottanta, al loro debutto su scala planetaria, i video delle canzoni erano opere a sé: piccoli film, capaci di stare in piedi per conto loro e non una banale sequenza di immagini messe insieme solo per riempire lo schermo (pensate agli insulsi video dei rapper di tutto il mondo dove il protagonista immancabilmente gesticola in mezzo a ragazze e automobili).
Alcuni dei lavori di Gianni Sassi
È questo declino un segno dei tempi? Chi può dirlo. Chi può affermare che in questi anni la musica e le arti abbiano completamente venduto l'anima al mercato e in passato invece no? Impossibile. Anche allora — per esempio mentre Gianni Sassi sfornava meravigliose copertine per la Cramps (meriterebbero un'altra mostra, la facciamo?) — c'era chi faceva ricorso alla foto leccata del faccione di turno; così come, all'opposto, in tempi recenti ci sono i Radiohead (vedi KidA), Patti Smith (vedi Banga) o Daniele Sepe che realizzano booklet curatissimi che da soli meritano di essere acquistati e conservati gelosamente.
Il senso di quello che si fa, è tutto lì. Se realizzi solo merce da scaffale, sarai trattato come merce da scaffale. Se invece aspiri a fare arte, forse rimarrai nei sogni degli uomini. Come la copertina di “The dark side of the moon”, per esempio.