La direttrice artistica ci parla dei problemi del teatro in Brianza e del rilancio del TeatrOreno
Επίδαυρος
C
Tutto inizia alla scuola superiore nel 1996. Come spesso accade. Non avrei mai pensato di recitare e invece un gruppo di amici mi coinvolge. Cercano un'attrice per un testo intimista, post-punk, surrealista, insomma non una cosa esattamente leggera, come si capisce anche dal titolo Note a margine di una vita. Danza tragica al monotono quotidiano e alla morbidezza straordinaria, testo di Emanuele Fant. In scena anche un gruppo musicale, punk appunto. Poi mi sono diplomata. Durante l'università ho frequentato la scuola Quelli di Grock. Nel 2005 mi sono laureata in Lettere Moderne, indirizzo storia del teatro, con una tesi sull'organizzazione dello spettacolo dal vivo, una tesi sperimentale sul Festival La Vesiliana di Pietrasanta. Qui ho fatto uno stage di tre mesi come assistente alla direzione artistica di Franco Martini. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare come attrice. Ho lavorato tre mesi tra Milano e Cagliari in una regia lirica di Ronconi, una co-produzione Piccolo Teatro e Ente Lirico di Cagliari. In seguito ho fatto diversi altri lavori come scritturata al Franco Parenti e al CRT di Milano. Intanto ho continuato la mia formazione con maestri come Danio Manfredini, Maria Consagra e Cesar Brie.
Nel 2005 ho fondato ArteVOX con altri due ragazzi appassionati di musica e nuove tecnologie
Però ora nel tuo curriculum risulti essere Direttore Artistico.
Si. Nel 2005 ho fondato ArteVOX con altri due ragazzi appassionati di musica e nuove tecnologie. Inizialmente ci siamo occupati soprattutto di organizzazione di eventi musicali, di promozione e ufficio stampa discografico e teatrale. Poi però il teatro, da sempre quello di cui mi voglio occupare, ha preso il sopravvento e così nel 2007 ho iniziato a collaborare con un gruppo di giovani artisti con cui abbiamo realizzato la nostra prima produzione: uno spettacolo su Antonio Gramsci, in occasione del settantesimo anniversario della morte. Un progetto che mi ha appassionato tantissimo e su cui ho lavorato anche con Roberto Rampi per diverso tempo. In Cena con Gramsci, questo il titolo, per la regia di Andrea Lisco, ho rivestito sia il ruolo di produttrice sia quello di attrice, affiancando gli altri sei attori in scena. Per questo spettacolo ho seguito anche la distribuzione. Con molta soddisfazione devo dire che è stata una bellissima tournée, abbiamo eseguito una quarantina di repliche in giro per l'Italia: in Sardegna, in Puglia, in Toscana, a Roma e in Lombardia. A partire dall'anno successivo, il 2008, abbiamo iniziato a realizzare circa una nuova produzione all'anno. Il tema portante è il teatro civile, anche se odio dare delle definizioni così settarie e mettere delle etichette sulla creazione artistica. Abbiamo messo in scena uno spettacolo su Aldo Moro e Peppino Impastato, poi una produzione sulla strage di Piazza Fontana. Nel 2009 abbiamo prodotto anche uno spettacolo di teatro cucina sul tema dell'integrazione culturale Qualcosa di Nuovo, una ricetta per l'integrazione, introducendo un altro filone oltre a quello del teatro civile. Così abbiamo aumentato il numero di produzioni annuali e quindi ho scelto di non recitare più e di occuparmi solo della parte produttiva e distributiva degli spettacoli.
Cos'è il teatro cucina?
Teatro cucina è un genere i cui capostipiti in Italia possono essere considerati Il Teatro delle Ariette, con il loro storico spettacolo intitolato appunto Teatro da mangiare? La caratteristica principale di questa forma di spettacolo è che si svolge in un contesto in cui il pubblico può mangiare durante lo spettacolo e che c'è una stretta relazione tra la drammaturgia e ciò che viene servito agli spettatori: il cibo diventa parte integrante dell'opera. Nel nostro caso il tema è l'integrazione culturale. In scena due attrici, una italiana e una di colore: prima Bintou Ouattara, attrice Burkinabè e poi, dal 2010, la bravissima Rosanna Sparapano, di origine congolese, diplomata alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano. Questo spettacolo è stato anche proposto al TeatrOreno con la collaborazione della comunità del Burkina Faso di Lesmo. Lo spettacolo ha debuttato nel 2009 ed è ancora in distribuzione. Ormai l'abbiamo fatto in tutte le situazioni possibili e immaginabili: teatri, cortili, circoli, ristoranti, enoteche, bar, con cena, pranzo, brunch, merenda e anche tè coi biscotti! Nel 2012 Coop Lombardia, che è stato il maggiore sponsor per la produzione nel 2009, lo ha scelto per presentarlo nei suoi comitati soci di tutta la Regione Lombardia, legandolo alla presentazione dei loro prodotti a marchio Fiorfiore, Solidal ecc, sviluppando in modo originale il tema dell'integrazione culturale che a loro sta a cuore.
Funziona?
Si molto. Perché l'idea consiste nell'uscire dai teatri. Dal 2009 e 2010 è iniziata la grande crisi e il mercato della distribuzione e della circuitazione degli spettacoli è profondamente cambiato: i teatri di produzione hanno ridotto sempre di più le ospitalità, privilegiando le proprie produzioni nuove o anche le riprese. Così ci siamo messi a cercare circuiti alternativi a quelli tradizionali, strutturando una proposta diversa.
le compagnie producono e mettono in scena direttamente nei loro teatri. Le ospitalità sono sempre meno
Quindi il circuito si è ristretto?
Diciamo che le compagnie producono e mettono in scena direttamente nei loro teatri. Le ospitalità sono sempre meno. Perché i costi delle trasferte e delle ospitalità sono alti. Si riesce a girare solo nell'ottica degli scambi. Ma per le compagnie di produzione che non gestiscono uno spazio, che non programmano un teatro, fare scambi, ovviamente, non è possibile. Mi riferisco ovviamente al circuito off. I grandi teatri hanno un altro tipo di mercato. Noi stiamo tentando di entrare in questo giro. Però è complicato. Lo scorso anno siamo riusciti a presentare le nostre produzioni al Teatro Elfo Puccini e al Piccolo Teatro di Milano. Al Piccolo abbiamo presentato la produzione del 2013 Volo 903. Emil Zatopek: il viaggio di un atleta.
Di cosa tratta?
Emil Zátopek è stato un atleta cecoslovacco che ha vinto, unico nella storia, tre ori nelle tre differenti discipline della corsa nella stessa olimpiade: Helsinki '52. Nel 1968, durante la primavera di Praga, si schiera con i rivoluzionari di Dubcek. Il regime lo esilia in Siberia a scavare nelle miniere di uranio per 7 anni. Quando rientra in Patria lo assegnano alla nettezza urbana: a fare lo spazzino. Abbiamo raccontato questa storia in un progetto più ampio intrapreso con l'Università degli Studi di Milano, in cui abbiamo tenuto un corso di drammaturgia sul tema della relazione tra sport e politica nel novecento. Presenteremo nuovamente questo spettacolo, la cui regia è di Massimiliano Speziani, al Teatro Manzoni di Monza il 19 marzo del prossimo anno.
Volo 903. Emil Zatopek: il viaggio di un atleta
Avete produzioni anche di teatro per ragazzi?
Si. Nel 2012 abbiamo iniziato un percorso di produzione di teatro ragazzi. Attualmente abbiamo due spettacoli, dopo qualche anno di assenza dalle scene ho ripreso la mia attività di attrice con queste produzioni, devo dire divertendomi molto. Il primo, Il sale di Prezzemolina, tratta il tema dei diritti dei bambini e il secondo, Presi per il naso, quello dell'alimentazione. Sono due spettacoli molto diversi tra loro e utilizzano tecniche teatrali differenti: nel primo il racconto di due fiabe, tratte dalla tradizione popolare e adattate da Calvino nel suo Fiabe Italiane. è proposto attraverso l'utilizzo di costumi che sono delle vere e proprie macchine sceniche, ideati e realizzati dalla costumista Claudia Botta, docente all'Accademia di Belle Arti di Bologna e in altre Università. La regia è di Anna Maini. Con questo spettacolo lavoriamo molto nelle scuole associandolo a laboratori tematici.
Lavoriamo nelle scuole e gli spettacoli si inseriscono in un percorso didattico
Diventano parte integrante dell'attività didattica?
Esatto. Lavoriamo nelle scuole e gli spettacoli si inseriscono in un percorso didattico. Nel caso de Il sale di Prezzemolina il laboratorio è di scrittura creativa e drammatizzazione sul tema della Carta dei Diritti dell'infanzia, proposto per il secondo ciclo della scuola primaria e per la prima media. L'altra produzione per bambini, come dicevo, è sul tema del cibo. Presi per il naso nasce da una richiesta del CREDA, l'associazione con sede nel Parco di Monza che si occupa di educazione ambientale. A Villa Mirabello questa estate hanno organizzato una mostra sull'olfatto, Ficcanaso al Parco. Insieme a Rossana Maggi, artista illustratrice di Osnago che peraltro lavora anche con il Must di Vimercate, ci hanno chiesto di proporre all'interno del percorso espositivo uno spettacolo a tema. Così Io, Rossana e Anna Maini, che ha curato l'adattamento drammaturgico e la regia, abbiamo rielaborato la fiaba dei fratelli Grimm L'astuta Ghita. La tecnica utilizzata è quella del teatro cucina e della proiezione delle illustrazioni animate in diretta da Rossana, che interagiscono con l'attrice in scena, dove peraltro cuciniamo davvero e poi i bimbi assaggiano. Nello spettacolo abbiamo adottato un linguaggio particolare che nasce dalle onomatopee. La scelta è dettata dalla voglia di usare un linguaggio universale, comprensibile in tutte le lingue e in tutte le parti del mondo. Chissà che questo non ci porti a viaggiare l'Europa con questo spettacolo! Le onomatopee sono quei suoni che il bambino utilizza quando impara un linguaggio: un linguaggio nuovo ma immediatamente comprensibile.
Presi per il naso
Attualmente cosa proponete?
Stiamo lavorando su una nuova produzione legata a al centenario della Prima Guerra Mondiale che è stata selezionata da Regione Lombardia nell'ambito di Next e ne abbiamo presentato un trailer di 20 minuti al Teatro Franco Parenti lo scorso 10 novembre. Ci stiamo lavorando da un anno insieme a Anna Maini, che è l'autrice con cui lavoro da alcuni anni, a partire da una storia vera. La regia è di Stefano De Luca, un bravissimo regista della scuola del Piccolo Teatro, assistente di Giorgio Strehler negli ultimi anni di vita del Maestro. In scena Stefano Annoni, che con Anna forma ArteVOX e Tommaso Banfi, altro Vimercatese DOC anche se ormai da qualche anno si è trasferito a Milano e Marta Comerio.
In Monza e Brianza quanto seguito di pubblico ha il teatro?
Siamo un po' schiacciati su Milano. Essendo distante solo venti minuti di auto, la capitale italiana del teatro è un attrattore potente di pubblico. Solo a Milano ci sono più di 50 sale teatrali tra cui il teatro pubblico numero uno, il Piccolo Teatro. La concorrenza della metropoli si fa sentire molto. Tuttavia in Brianza c'è una certa attività, pur nella prevalenza del teatro commerciale. Ma c'è anche la presenza del teatro d'autore. Per esempio il Binario 7 a Monza o Scarlattine a Campsirago o ancora Teatro Invito nel Lecchese.
Il teatro ha la possibilità di rafforzare la sua presenza in Brianza?
Siamo in un periodo in cui le amministrazioni non hanno risorse. Le realtà presenti si devono destreggiare in diversi problemi gestionali. Secondo me abbiamo perso l'attimo. Mi riferisco a quella condizione presente alcuni anni fa quando la Provincia e le Amministrazioni locali potevano incidere sullo sviluppo del settore. Ora è molto più difficile. Uno dei pochi sostegni disponibili è la Fondazione Cariplo. Attualmente siamo costretti a lavorare ad incasso. Così lavoriamo a rischio e per farvi fronte sono divenute fondamentali le promozioni degli spettacoli e la fidelizzazione del pubblico.
Non si può pensare di fare cultura, fare arte, sulla base della previsione degli incassi
Siamo quindi in presenza di una crisi?
Le cose sono molto cambiate rispetto a dieci anni fa. Ricordo il manuale Organizzare Teatro di Mimma Gallina, che è stata la mia bibbia durante il periodo di studi universitari: diceva che gli incassi del pubblico coprono solo il 2/3% dei costi di produzione dell'opera teatrale, parlando nello specifico della lirica. Non si può pensare di fare cultura, fare arte, sulla base della previsione degli incassi, perché altrimenti si è costretti a fare teatro commerciale, cioè quel teatro finalizzato ad attrarre più pubblico possibile e a fare cassetta. Ma così la proposta culturale di qualità muore, il cosiddetto "teatro d'arte", per dirla con Stanislawskij, muore. Noi abbiamo scelto la qualità della proposta e cerchiamo tuttavia di lavorare su tematiche che possano avere un certo appeal anche nei confronti del pubblico generalista.
La mancanza di sostegni è molto limitante?
Si perché induce alla commercializzazione per sopravvivenza. Non ci si può più permettere di fare ricerca. La ricerca di Danio Manfredini degli anni '80 e che fa ancora qualcuno come Motus e altri dov'è? E' in Emilia Romagna, in Toscana. Dove ancora gli enti pubblici sostengono il teatro. C'è un passaggio di lancio che va compiuto per arrivare alla notorietà. Per esempio Emma Dante che ha cominciato dal nulla. E' riuscita a trovare un canale e ora è un nome di successo. Non esisterebbe se qualcuno non l'avesse sostenuta. E' questo il problema che dobbiamo porci oggi: se l'arte deve avere una funzione precorritrice ha la necessità di esplorare e sperimentare in terreni non immediatamente percepibili dal grande pubblico. Per questo ha bisogno di un sostegno. Ci sono grandi nomi di artisti che in vita sono rimasti poveri e poi dopo morti sono diventati dei fari epocali. L'arte vera, quella che va contro gli stilemi convenzionali, non riesce evidentemente ad essere immediatamente compresa nel proprio tempo perché è un qualcosa di diverso dalla cronaca. Ma la sua funzione nel progresso storico e culturale. E' fondamentale per il livello di civiltà. Così anche il teatro, quando è vera ricerca, è difficile che venga apprezzato immediatamente dal pubblico.
Non c'è una valorizzazione di chi riesce a usare le risorse pubbliche con criterio
C'è il ruolo dell'Ente Pubblico che sta gradualmente venendo meno?
Come ho detto prima ci sono poche risorse disponibili e queste sono assegnate in base a una gerarchia di valori. Per carità! Non voglio mettere in discussione l'importanza della lirica. Però i finanziamenti pubblici che ci sono a volte sono anche spesi male. Perché elargiti a enti vari con criterio discutibile. C'è il caso del teatro dell'Opera di Roma per esempio dove è apparso evidente un tipo di sprechi, laddove l'ente è in perenne perdita. Si parla di centinaia di milioni che vengono stanziati dallo Stato. Certo sono tanti ma rispetto al bilancio complessivo dello Stato sono pochissimi. La metà di questi fondi vengono dati ai 14 enti lirici tra cui il Teatro alla Scala e appunto l''Opera di Roma. Allora è evidente che nell'ente romano, da anni in perdita, ci sono sprechi non corretti. Poi è anche evidente che questo modello di finanziamenti incida a pioggia su tutto il teatro italiano. Anche perché ci sono di conseguenza meno risorse per la prosa e figuriamoci per la danza. Così viene meno la possibilità di valorizzare quel teatro di qualità. Per esempio il lavoro del Piccolo Teatro. In quindici anni la direzione di Sergio Escobar è riuscita a portare i bilanci al pareggio se non addirittura in guadagno. Non c'è una valorizzazione di chi riesce a usare le risorse pubbliche con criterio.
Volo 903. Emil Zatopek: il viaggio di un atleta - Foto di Andrea Butti
Con ArteVOX avete da poco intrapreso il rilancio del teatro parrocchiale di Oreno. In questa intervista ci hai parlato dei problemi del teatro in generale in Italia e in particolare in Brianza. Non pensi che in un momento così complicato possa essere una sfida gravosa?
Il Teatro di Oreno è un punto di riferimento importante per la comunità orenese. E' come il salotto di casa loro, tanto è vero che è stato ristrutturato anche con i soldi della comunità. Questo è meraviglioso. Un valore che non va sprecato, ma anzi valorizzato il più possibile. A TeatrOreno non c'è mai stata una programmazione di teatro professionale, se si toglie la parentesi del triennio di residenza della Compagnia DelleAli che comunque ha portato importanti nomi del teatro di ricerca, ma che forse la comunità non era pronta ad accogliere, vedi il discorso fatto sopra. Si tratta perciò certamente di una scommessa che abbiamo fatto per valorizzare quello spazio a Vimercate e non solo. Non pensiamo sia accettabile che una cittadina come la nostra, con 26.000 abitanti, non abbia un teatro, un territorio che risponde benissimo alle sollecitazioni culturali, prova ne è il successo ottenuto del Must. Sappiamo che c'è una fruizione di teatro da parte dei vimercatesi che però si rivolge a Milano o ad altri teatri della Brianza. Forse ci vorranno anni per abituare i vimercatesi a frequentare il loro teatro, a considerare la proposta che facciamo a TeatrOreno all'altezza di molte delle sale milanesi. Certo non sarà facile. Però siamo convinti che, partendo da una struttura fortemente radicata nella comunità e facendo un lavoro di qualità, sostenuto anche dall'impegno di tanti volontari e appassionati che intorno alla sala di Oreno lavorano da anni, ci possa essere un grandissimo risultato in termini di innalzamento della proposta culturale e dell'offerta culturale sul nostro territorio. Non dimentichiamo che, come affermano tutti gli studi del settore, il mercato della cultura è l'unico in cui l'aumento dell'offerta genera innalzamento proporzionale della domanda e non viceversa. Facciamone tesoro!
La cultura ha un valore, io credo, valga di più di qualsiasi altra cosa
Non sarebbe utile supportare la promozione con una politica di riduzione dei prezzi del biglietto, così da invogliare la fruizione del pubblico?
Il prezzo del nostro biglietto è di 10 euro. Il costo è uguale a quello degli altri teatri. E' una cifra modesta se si pensa al consumo che viene fatto nel territorio per altri generi di prodotti culturali. A differenza dei teatri milanesi dobbiamo cercare di far quadrare i conti con il solo sostegno del pubblico. So bene quanto sia difficile attualmente la vita per molte persone e famiglie investite dalla crisi. A scuola di mio figlio sono rappresentante di classe e conosco i problemi veri di sussistenza economica di molte famiglie, che a volte fanno fatica a contribuire a quelle spese base richieste dalla scuola. Sono convinta che occorra far maturare nella società una più appropriata percezione del valore che possiede l'arte. Anche questa ha un prezzo. Purtroppo viviamo in un contesto sociale/culturale in cui il valore alle cose viene dato dal denaro: se un oggetto costa tanto, allora vale tanto. E viceversa. Purtroppo questa è una spirale terribile, che ben presto, se non è già avvenuto, colpirà anche le persone: vali quello che guadagni. Se guadagni poco, vali poco. Questa è un'equazione da scardinare, ribaltare, abolire! E' la vittoria del consumismo, del Capitale per dirla con Marx! La cultura ha un valore, io credo, valga di più di qualsiasi altra cosa, va quindi rimessa al centro, deve rivestire un ruolo fondamentale nell'educazione dei nostri figli e della nostra società in generale. Siamo in un periodo di recessione culturale. Solo investendo nella cultura avremo qualche chance di uscire anche dalla crisi economica. Siamo di fronte alla necessità di inventarci dei modelli nuovi anche di natura economica per continuare a far vivere il teatro. Abbiamo intrapreso una strada difficile, ma io ci leggo davvero un po' una missione, nel mio piccolo, per quello che posso, ci credo profondamente.