Speciale 70° della Liberazione. Intervista al drammaturgo autore di Mai morti, La nave fantasma, Nome di battaglia Lia. Il teatro e l'arte per combattere razzismo e xenofobia
Nei giorni scorsi Massimo Recalcati è stato ospite di Jonas Onlus e del Liceo Zucchi di Monza per parlare del suo ultimo libro, L'ora di lezione. Per un'erotica dell'insegnamento. L’erotismo, ha spiegato lo psicanalista, sta nel fare della trasmissione del sapere un desiderio di sapere, dove l’allievo diviene un amante desideroso di conoscere, capire, far proprio l’oggetto dello studio. Sì, ma come riuscire ad accendere il desiderio? Per la maggior parte degli insegnanti immaginiamo sia un mistero e la ricerca della soluzione qualcosa di simile al supplizio di Tantalo.
Ad esempio la storia. Come riuscire a innescare il desiderio di sapere quanto è accaduto nel passato, remoto o recente, senza scatenare tempeste di sbadigli? Forse lo scopriremo in uno dei volumi di Recalcati in futuro, oppure — subito — seguendo il lavoro di Renato Sarti.
Drammaturgo, regista, attore e direttore del Teatro della Cooperativa, alla storia e alla memoria Sarti ha dedicato alcuni dei suoi lavori più importanti e fortuna vuole che nelle prossime settimane tre di essi — probabilmente i più noti, vedi box a fondo pagina — saranno riproposti all’Università Bicocca.
In una lunga chiacchierata, ci ha raccontato che a lui il desiderio di conoscere la storia venne nei primi anni Settanta, quando frequentava l’Università e l’Istituto della Resistenza a Trieste ed ebbe la fortuna di incontrare personaggi come Giovanni Miccoli, Enzo Collotti e Rino Sala, in un clima di democrazia e antifascismo che lo segnarono profondamente. Non è un caso se l’etimologia di insegnamento è proprio quella di imprimere un segno.
Lasciata Trieste per Milano, Sarti cominciò a far suo il mestiere al Piccolo e poi, per 8 anni, all’Elfo. «Quanto sia stato importante per me quell’esperienza l’ho capito dopo. Allora ero un triestino aspro, maleducato» con un brutto carattere insomma. Per Elio De Capitani e Ferdinando Bruni usa parole di grande rispetto e ammirazione «Abbiamo modi diversi di fare teatro ma trovo molto stimolante confrontarmi con loro». Così com’è successo con il recente Goli Otok. Isola della libertà, in cui divide la scena con De Capitani su un testo che prende spunto da uno dei campi di internamento di Tito, in cui furono rinchiusi - dopo la rottura fra la Jugoslavia e l'URSS – i "traditori" rimasti fedeli a Stalin.
Ecco, ritorniamo alla storia. Al confine fra accaduto e racconto dell’accaduto. «Noi facciamo teatro, non facciamo documentari o storiografia». Lavoro assai diverso da quello dell’insegnante, eppure con molti elementi in comune. Il teatro di Sarti è spesso intriso di storia e di trasmissione del sapere, però non è mai pedante, mai didascalico. Il nocciolo della questione è lì: «Fare teatro». E come capisci se il tuo lavoro è riuscito? «Lo senti. È una cosa che senti. Certo se fai uno spettacolo comico, la gente che ride te lo dice subito se il lavoro è riuscito». Con gli spettacoli drammatici è più complicato, la gente potrebbe essere in silenzio perché coinvolta «ma potrebbe anche essersi addormentata».
La gente. Comune. È un argomento molto delicato. A chi si rivolge il lavoro di un autore teatrale, di un artista tout court? «Il teatro si è un po’ perso. Molte volte, purtroppo, vale più una critica che una sala piena. Con tutto il rispetto per i critici, ci vorrebbe una giusta via di mezzo». L’autoreferenzialità, un problema assai diffuso nell’arte. Autori egoriferiti, lontani, trincerati nel proprio lavoro inaccessibile. Autocompiaciuti. A Sarti, invece, piace lavorare per il pubblico, per le persone anzi. E il discorso va a finire sulle sorti della comicità. Tante volte trattata male. «Il teatro comico è oggi in via di estinzione. In una nazione come la nostra! in cui l’innovazione portata dalla commedia dell’arte nel Seicento è paragonabile a quella dei Rolling stones e di Bob Dylan (nella musica pop del Novecento, ndr)». Qui dove grandi autori, intellettuali come Rossellini per «il più grande film del dopoguerra, Roma città aperta, volle due attori dell’avanspettacolo come la Magnani e Fabrizi».
Chi sono stati e chi sono oggi i compagni d’arte di Renato Sarti? Riappare l’Elfo dei suoi primi anni a Milano «Era un’autentica palestra, una corrente d’aria dove passavano tutti gli artisti nuovi, c’era l’impegno, la voglia di fare, il contatto con il pubblico. Con la Milano che stava cambiando, di un movimento studentesco e politico straordinario, delle donne. Dei musicisti come Demetrio Stratos, gli Area, la PFM, Moni Ovadia, Mauro Pagani…». C’è molta gratitudine nei confronti del Teatro diretto da De Capitani e Bruni «Negli ultimi anni mi hanno ospitato e prodotto con spettacoli che altrimenti non avrei fatto. Avrei girato per anni per cantine, centri sociali, teatrini… Forse mi sarei stufato di cercare e di farmi sanguinare le nocche a furia di bussare». Poi c’è l’affetto per il Piccolo «Per quell’idea, quella di Strehler e di Grassi, di un teatro necessario. L’acqua, il gas, il cibo per la vita fisica, il teatro per la sopravvivenza mentale e spirituale». E la curiosità per altre realtà, come l’Atir e Serena Sinigaglia «Anche se il loro modo di recitare non è il mio. Si buttano per terra, energia a mille, cose forti e vibranti... Il mio è più ragionato, più cauto, con più mestiere e meno energia, ho una certa età».
Ma torniamo ancora alla storia, all’equilibrio delicato fra il lavoro di testimonianza e il lavoro d’invenzione stavolta. Se Nome di battaglia Lia e I me ciamava per nome: 44.787 (Risiera di San Sabba) nascono proprio da testimonianze dirette, altri lavori — a cominciare dal terzo della monografica della Bicocca, Mai morti — non testimoniano ma interpretano. Il monologo recitato da Bebo Storti (l’attore divenuto famosissimo con Mai dire gol) è, come racconta la scheda degli autori «(…) una sorta di affabulazione nera, Renato Sarti ripercorre la nostra storia recente attraverso i racconti di un uomo mai pentito, per riflettere su quanto – in Italia – razzismo, nazionalismo e xenofobia siano ancora difficili da estirpare».
Bebo Storti in Mai morti
Questo è l’anno del Settantesimo della Liberazione e siamo ancora lì: razzismo, nazionalismo, xenofobia? «Il fascismo di oggi non è più quello dell’olio di ricino e del manganello. Il fascismo oggi è su un livello economico. Il nostro spettacolo Chicago boys parla di questo. Lo 0,01% della popolazione del mondo che gestisce 15 trilioni e passa di dollari. Pochi centri di potere con patrimoni enormi. La stessa banca svizzera dice che ci vorrebbe un po’ di economia sociale. Ci sono più di un miliardo di persone che muoiono di fame. In Africa la morte è all’ordine del giorno. Ci vogliono i sindacati mondiali. Io penso che il nuovo fascismo sia la finanza canaglia, il liberismo più sfrenato. Quello che porta il lavoro dove costa meno. Come succedeva del resto 50 anni fa qui d’altronde, quando gli operai erano carne da macello. Amianto, polveri, fango, pleuriti, gastriti…». Senza contare l’aspetto ecologico, lo sfruttamento delle risorse naturali «Chissà quanto la Terra sosterrà questi ritmi, chissà se un giorno non si sgonfierà di colpo».
La memoria e la storia nei lavori in preparazione? «A fine stagione un testo scritto da Piero Colaprico (Il carnevale dei truffati, dal 15 al 27 giugno 2015 al Teatro della Cooperativa, ndr). Una farsa per temi molto delicati. In scena ci sono Pinelli e Calabresi, ricacciati in terra da Dio per qualche giorno. Scoprono una società molto diversa, dove sì, il berlusconismo sembra passato eppure ci sono Renzi che ha fatto La ruota della fortuna, Grillo di cui conosciamo i trascorsi televisivi e finanche Salvini che ha partecipato a Il pranzo è servito. Sembra che dopo Berlusconi il politico debba essere un uomo del mondo di plastica televisivo. Il povero Gigi e il povero Pino torneranno nell’aldilà con la coda fra le gambe». E poi Via Hermada strada privata, che è la via in cui ha sede il suo teatro, ma «L’Hermada è soprattutto una collina a ridosso dei cantieri di Monfalcone per la quale passava la via più breve al Mediterraneo per l’Impero Asburgico. Lì si sono immolati a migliaia giovani italiani nella Prima Guerra Mondiale, senza mai conquistarla», il 24 maggio la prova aperta con Alex Cendron e Valentino Mannias.
Renato Sarti sul palco del Binario 7 di Monza alla presentazione del progetto Bosco della memoria (dal cui sito è tratta la foto)
Infine, oggi, settanta anni dopo il 25 aprile del 1945, cosa significa essere partigiani, con quali armi si può combattere? Sarti non ha il minimo dubbio: «Con la cultura. Nelle scuole, nei teatri, in televisione. Invece il nostro Paese è, in Europa, fra quelli che spendono meno per la cultura e l’arte». Investire in cultura significa investire nel futuro «Fare arte, teatro, musica ci rende cittadini migliori, anche se poi facciamo un lavoro diverso. Ne sono così certo perché la controprova è la mia vita». Era un ragazzino di quelli che passerebbero il tempo a cazzeggiare ai giardinetti, scassando cestini e fumando «Invece ho fatto la scuola d’arte a Trieste. Se tu studi la pittura, Leonardo, Michelangelo, Velasquez capisci che la vita ha tutt’altro significato, è più bella. Attraverso l’arte capisci i problemi della vita. Quando studi Antigone e Creonte capisci la legge, il tuo atteggiamento di cittadino nei confronti del potere». La cultura è l’antidoto migliore, insomma.
Nome di Battaglia Lia | Università Bicocca
In occasione del Settantennale della Liberazione il Teatro della Cooperativa, in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca, presenta 3 spettacoli della propria produzione. Ciascuno spettacolo sarà preceduto da un incontro introduttivo tenuto da un docente dell’Università. primo appuntamento con Nome di Battaglia Lia.
Gli incontri sono liberi e aperti a tutti, dagli studenti agli abitanti del quartiere della Zona 9
Dove: Edificio U12, Auditorium “Guido Martinotti” – Via Vizzola 5, Milano
Gli appuntamenti
Martedì 31 marzo 2015, ore 17.00
NOME DI BATTAGLIA LIA
testo e regia Renato Sarti
con Marta Marangoni, Rossana Mola, Renato Sarti
Un ritratto tragico e insieme vivace della Niguarda resistente, dedicato alle donne e al loro coraggio. Un testo basato su testimonianze dirette del nostro recente passato, che attraverso la riscrittura drammaturgica, si fa tragedia, dolore antico. Per questo spettacolo, rappresentato anche presso la Sala della Lupa di Montecitorio, la Presidenza della Repubblica ha conferito una medaglia commemorativa al Teatro della Cooperativa.
Lo spettacolo sarà introdotto da Andrea Saccoman, docente di Storia Contemporanea nel Dipartimento di Scienze umane per la formazione SCHEDA SPETTACOLO
29 aprile, ore 17.00
I ME CIAMAVA PER NOME: 44.787 (Risiera di San Sabba)
testo e regia Renato Sarti
con Nicoletta Ramorino, Ernesto Rossi, Renato Sarti
Lettura basata sulle testimonianze dei sopravvissuti e le deposizioni dei carnefici dell’unico lager nazista in Italia munito di forno crematorio. Allo spettacolo, vincitore del Premio produzione Riccione per il Teatro, è stato riconosciuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana. SCHEDA SPETTACOLO
27 maggio, ore 17.00
MAI MORTI
testo e regia Renato Sarti
con Bebo Storti
Una sorta di affabulazione nera, che ripercorre la nostra storia recente attraverso i racconti di un uomo mai pentito, nostalgico delle “belle imprese” del ventennio fascista per riflettere su quanto – in Italia – razzismo, nazionalismo e xenofobia siano ancora difficili da estirpare. SCHEDA SPETTACOLO