20150331 Zanetto Bugatto Madonna col Bambino e angeli Id 271

 La mostra in corso a Palazzo Reale testimonia l'eredità artistica di un periodo fondamentale per Milano e la Lombardia. Lontano dalla spettacolarizzazione della cultura ma con opere spettacolari

Palazzo Reale a Milano è — come sappiamo — una delle sedi espositive più importanti e visitate in Italia. Mostre di grande richiamo che però a volte lasciano l’amaro in bocca per lo scarso spessore scientifico che le sostiene. È la logica conseguenza della spettacolarizzazione dell’arte. Si organizzano mostre non perché si siano svolti nuovi studi e ricerche su un determinato artista, movimento o periodo storico, ma per fare una mostra e basta. Tipicamente si lancia l’esca di un nome assai noto (in questo abuso gli impressionisti e Van Gogh non hanno pari come vittime), si recuperano 3 o 4 opere neppure fra le più significative e si contornano di una dose più o meno abbondante di nomi presi dalle seconde linee, le riserve dei campioni. Il risultato è così assai altalenante. A volte va di fortuna e la mostra, seppure pretestuosa, riesce apprezzabile. Molte volte no. Una personale, opinabilissima indagine sugli ultimi 15 anni porta a quantificare il rapporto mostre di qualità – mostre da baraccone a Palazzo Reale pari a 1 su 10. Intendiamoci, per moltissimi può essere più che soddisfacente poter osservare caterve di Chagall o quantità industriali di Ligabue senza badare troppo al senso di tutto ciò. In questo pernicioso confondersi del resoconto scientifico, della divulgazione culturale con l’intrattenimento fine a se stesso bastano le emozioni. La parola magicadietro cui si mescolano più o meno legittime aspettative economiche, malintese strategie di marketing territoriale, veri e propri piani di produzione delle aziende che le mostre le fanno esattamente come farebbero le brugole. Le emozioni, come si trattasse di una giornata a Gardaland. Abitualmente i paladini dello sbigliettamento, quelli per cui contano i numeri signori miei,  si appellano alla democratizzazione della cultura: abbasso la triste cultura elitaria, i musei devono accogliere folle, le mostre battere i record, i libri andare a ruba. Cosa importa poi se una volta usciti ne sappiamo meno di prima, l’importante sono le emozioni, al diavolo la conoscenza.

“Arte lombarda dai Visconti agli Sforza” (prodotta da Comune di Milano e Skira) crediamo rientri — alla grande — fra le mostre di senso. Non si gioca la carta del nome, e non è poco, e rappresenta la ripresa di un discorso avviato da Roberto Longhi nel 1958 con una mostra nella stessa sede, sullo stesso periodo storico e, ovviamente, con lo stesso titolo. Sfuggendo alle insopportabili nenie pseduo-identitarie in salsa verde, ricompone un quadro dell’arte territoriale (con le necessarie, salubri aperture all’esterno) lungo un percorso storico che offre, come spiegano i curatori Mauro Natale e Serena Romano «Uno spaccato della cultura visiva di quella che gli storiografi definivano come l’età dell’oro lombarda, dopo la frammentarietà comunale e prima dell’invasione straniera». Un contesto chiaro, come chiaro è il percorso della mostra: cronologico, ormai una rarità. Per il dettaglio si veda il box a fondo pagina.

L’allestimento è assai gradevole, si ha la possibilità di apprezzare agevolmente la grande qualità delle opere pittoriche (a parte qualche incertezza delle luci con due strepitosi Bergognone da noi trovati al buio purtroppo) e scultoree (i tre San Pietro martire di Giovanni di Balduccio da togliere il fiato per esempio), nonché la strabiliante bellezza delle miniature e dei reliquiari.

Cinque sezioni legate all’avvicendarsi fra Pavia e Milano dei signori Visconti e Sforza che, una volta di più, riaprono la riflessione sul rapporto fra arte e potere e, se vogliamo, fra arte e libertà di espressione. Le meraviglie che è possibile ammirare nella mostra sono tutte frutto di committenze. E i committenti erano personaggi tutt’altro che rassicuranti. Una frase attribuita a Harry Lime e ripresa da Orson Welles in Il terzo uomo recita «In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù». A parte il fatto che non fossero solo i Borgia, la sostanza non cambia, anche per quanto riguarda i Visconti, gli Sforza e il loro tempo. Era il medioevo, cioè quel periodo a cui — anche nelle chiacchierate — attribuiamo tutte le nefandezze civili, sociali e storiche dell’uomo. Eppure l’arte ha lasciato testimonianze straordinarie che gelosamente custodiamo e tramandiamo ai nostri figli e nipoti. Oggi che viviamo mediamente nell’agio, che le cosiddette democrazie evolute telecomandano le guerre in posti lontani, siamo in grado di produrre una bellezza altrettanto capace di attraversare i secoli? Fra cinquecento anni ci sarà qualcuno che andrà a vedere una mostra con i conigli giganti di Jeff Koons e l’iPhone?

 

 

 

Il   percorso  della   mostra  si   svolge   attraverso  una   serie   di   tappe    in   ordine cronologico,  che  costituiscono altrettante sezioni e  sottosezioni, che  illustrano  la progressione degli eventi e la densità della produzione artistica: pittura, scultura, oreficeria,   miniatura,   vetrate,    con    una   vitalità   figurativa    che    soddisfa  le esigenze della  civiltà  cortese e conquista rinomanza internazionale al punto  da divenire sigla d’eccellenza riconosciuta: l’“ouvraige de Lombardie”.

Dopo  una  breve  sezione  introduttiva  che  offre  il  contesto storico,  presentando una galleria di ritratti delle due dinastie di grandi committenti, i decenni centrali  del Trecento  costituiscono  la  prima  sezione espositiva, dedicata  a  illustrare  come  i Visconti  abbiano  impresso  una  svolta  fondamentale alla  cultura   lombarda, dapprima importando a Milano e in Lombardia artisti “stranieri” – i toscani Giotto e Giovanni di Balduccio – poi aprendo cantieri nelle capitali del ducato, nelle città satelliti, nelle campagne, occupando gli spazi urbani e rinnovando quelli ecclesiastici; fondando  biblioteche,  come   quella  di  Pavia,  che   fu  una   delle  più  importanti  del mondo  occidentale  e fu poi  in  gran  parte  spostata in  Francia  dopo  la  conquista  del ducato.

Sono   qui  esposte opere di  grandissimo  pregio  e  di  svariate  ed  eccelse  tecniche: dipinti su tavola, affreschi, vetrate, sculture in marmo,  legno, pietra, oreficerie, miniature, bronzi, ricami, arazzi; tra gli altri, i manoscritti Liber Pantheon del 1331  e il Libro d’Ore Bodmer dalla Morgan Library (prestito eccezionale che  non fu concesso nel 1958),  splendide vetrate  dalla chiesa di Santa Maria Matris Domini di Bergamo, uniche  del  Trecento  esistenti  in  Lombardia,  alcune  mirabili  opere  in  marmo   di Giovanni di Balduccio, del Maestro di Viboldone e di Bonino da Campione provenienti,  oltre  che  dalla  Lombardia,  da  importanti  musei  europei  e  americani, disegni,  tavole  e  affreschi  di  Giovanni da  Milano,  di  Giusto  de’  Menabuoi,  del Maestro di San Nicolò dei Celestini.

Si assiste qui alla trasformazione del linguaggio figurativo lombardo, dapprima ancora legato  alla  tradizione  autoctona, come  nella  austera e  arcaica  Madonna col Bambino del Maestro degli  Osii (1330  circa), poi innovato dagli artisti toscani, intrisi di cultura francese.

Una  seconda tappa  sarà  quella  degli  anni  attorno  al  1400,  dove  domina  Gian Galeazzo Visconti, personaggio chiave del tardo  gotico lombardo: sono gli anni  del grande cantiere del Duomo di Milano.

È stata in  questo caso fondamentale  la  collaborazione  con  la  Fabbrica  del  Duomo, che   ha  generosamente  accettato di  smontare  dalle  guglie  ed  esporre  in  mostra alcune statue della Cattedrale e alcune vetrate, altrimenti difficilmente visibili.

Per  non  alterare  l’allestimento  recentemente ripensato  del  Museo del  Duomo,  si  è deciso  di  non  privare  di  opere le  sale  dedicate  a  questi  anni,  che  potranno così costituire un’utile integrazione alla visita della mostra.

Al  volgere  del  1400,   grazie  alla  personalità  magnetica  e  intraprendente  di  Gian Galeazzo,  i  rapporti  della  corte  milanese  con  le  altre  corti  e  gli altri  grandi  cantieri europei  –  specialmente  Parigi,  ma  anche Praga, Vienna,  Budapest, le  Fiandre  – sono  strettissimi   e   contribuiscono   alla   fioritura   di   una   cultura    gotica  che rappresenta uno dei punti culminanti dell’esposizione.

I protagonisti di questa stagione sono Giovannino deGrassi e in seguito Michelino da Besozzo: entrambi lavorano al cantiere del Duomo,  e vengono esposte a Palazzo Reale opere notevolissime come  alcuni preziosi manoscritti – il Taccuino di disegni, l’Offiziolo Visconti e il Landau  Finaly 22 di de’ Grassi e il Libro d’Ore di Michelino da Avignone.  Questo  straordinario  momento  creativo  corrisponde  all’apice  del  fasto della  corte  pavese verso la  quale  convergono artisti  di  primissimo  piano,  italiani  e stranieri come  Jean  d’Arbois, Gentile  da Fabriano,  di cui è in mostra una  splendida tavola da Pavia e Pisanello.

Nella terza sezione si passa al lungo regno  di Filippo  Maria Visconti, molto diverso da  Gian  Galeazzo,  con  una  personalità  nevrotica,  non  adatta a  riunire  una  vita  di corte di qualità. Comincia la crisi del ducato e molti artisti lasciano la Lombardia, disperdendosi.  Michelino  da  Besozzo va  infatti  a  Venezia,  Verona   e  Vicenza,  poi rientra  a  Milano,  ma  non  lavora  più  per  la  committenza  ducale.  In questa sezione domina  comunque il  linguaggio  tardo-gotico  con  largo  uso di  materiali  preziosi,  ori, vestiti  sfarzosi,  con  opere straordinarie:  le  tavole  di  Michelino  di  Verona   (Civici Musei  d’Arte  - Museo di  Castelvecchio),  di  Siena  (Pinacoteca  Nazionale)  e  di  New York  (Metropolitan   Museum);  magnifici   manoscritti   di   seguaci   di   Michelino,   il bellissimo polittico  con  Madonna col  Bambino, Santo e donatore (1447)  di Maestro Paroto;  e ancora pale d’altare, messali, miniature, i celebri Tarocchi di Bonifacio Bembo, di cui sarà eccezionalmente ricomposto in mostra il capolavoro costituito dall’Incoronazione del Museo di Cremona e dalle due  tavole che  l’affiancavano, ora al  Museo  di  Denver;   inoltre  una   serie  di  opere di  alta  oreficeria  di  straordinaria maestria.

Il capitolo successivo, la quarta sezione, mette  a fuoco l’importanza capitale dello snodo figurativo che  corrisponde alla fine dinastica dei Visconti e alla presa di potere  di  Francesco  Sforza   (gli  anni  intorno  al  1450)  fino  a  tutto  il  periodo  di governo di  Galeazzo Maria Sforza.  Le iniziative  di  Francesco  Sforza  si  collocano all’insegna  della  continuità  con  il  passato, ma  integrano  anche nuove   esperienze favorite dalla politica di alleanze sulle quali il duca  poggia il proprio potere. Anche  il progressivo  spostamento  della  sede della  corte   da  Pavia  a  Milano,  destinata  a diventare a breve  l’unica capitale stabile del ducato, facilita l’avvento di nuove maestranze e nuove  tendenze: il razionalismo figurativo  di  Vincenzo Foppa  che  si apre  al linguaggio padovano si confronta con il naturalismo di origine fiamminga che filtra da  Genova e seduce i signori  italiani. È il periodo delle  grandi botteghe che  si spartiscono il lavoro delle grandi imprese decorative al Castello Sforzesco a Milano e a Pavia: Foppa,  Bembo, Zanetto  Bugatto, Bergognone. Sfilano opere straordinarie come   i   Santi  Stefano  e  Ambrogio  di  Donato  de   Bardi  (collezione  privata);  le splendide  tavole  di  Vincenzo  Foppa   da   Pisa  e  dalla  Pinacoteca  di  Brera;   un magnifico e rarissimo Cristo in pietà tra i santi Ambrogio e Agostino, del Maestro  di Chiaravalle; la tavola Madonna con bambino e angeli (1460-70) di Zanetto  Bugatto dalla  Collezione  Villa Cagnola  - Gazzada  (Varese), finalmente riavvicinata   agli  altri elementi che l’affiancavano (Santi ora in collezione privata); il prezioso trittico di Gottardo  Scotti (Museo Poldi  Pezzoli);  una  serie  di  sculture  in  legno  intagliato  e dipinto e in terracotta, di un gusto già rinascimentale, anche se fortemente lombardo.

Una quinta  e ultima  tappa  sarà  infine  dedicata agli  anni  di Ludovico  il Moro e alla spaccatura provocata dalla sua caduta e dall’arrivo dei  Francesi: sono anni di  cambiamenti  radicali  nell’urbanistica,  nell’architettura  e  in  generale  nella produzione artistica grazie alla presenza a Milano di personalità eccezionali come Bramante, Leonardo e Bramantino. In questi anni, malgrado la crisi del sistema politico  e  la  fragilità  delle  finanze  dello  stato, le  botteghe lavorano  a  pieno  regime: Milano  produce  ed  esporta meravigliosi  prodotti  di  lusso  come   smalti,  oreficerie, ricami eseguiti in gran  parte  sulla base di progetti elaborati da  artisti di primo piano, secondo un procedimento che  anticipa quello del moderno “design”. Stimolata dall’ambizione  sfrenata  del  duca, la  produzione  artistica  è  sottesa da  uno  spirito  di emulazione/concorrenza   nei   confronti   delle   altre   corti   padane,  legate   a   quella sforzesca  da  stretti  rapporti  famigliari  oltre  che   da  interessi  economici  e  politici comuni: la sezione prende in esame in modo  particolare le relazioni con Ferrara, Bologna,  e  con  Mantova.  Vi sono esposte sculture  in  marmo  di  Giovanni Antonio Amadeo,  importanti   tavole   di   Bernardino   Butinone  (abitualmente   inaccessibili perché di  antiche  collezioni  private),  la  bella  tavola  Madonna con  il Bambino,  sante Dorotea  e Caterina,  angeli  dal  Petit  Palais  di  Parigi;  vetrate dal Duomo  di  Milano  e alcune tavole di Foppa,  tra cui la mirabile Annunciazione (1500 circa) dal Palazzo Borromeo all’Isola Bella (Stresa) e la Madonna in trono con  il Bambino e angeli dal Musée des Beaux-Arts di Digione; le due  tavole di Bernando  Zenale  dagli Uffizi; la splendida Madonna in trono con il Bambino e il Salvator Mundi di Bergognone dalla collezione Borromeo; il celebre manoscritto Ore all’uso degli Umiliati con  iconografia da  Bergognone, dalla British  Library  di  Londra,  mai  esposto; e anche qui  una  serie strepitosa  di  opere di  oreficeria,  reliquiari,  medaglioni,  messali,  manoscritti,  bronzi, dove  emerge con  tutta  la  sua forza  la  cosidetta arte  lombarda. La mostra si  chiude con opere che  attestano l’impatto avuto  in Lombardia da Leonardo e Bramante, con dipinti di Giovanni Antonio Boltraffio,  Ambrogio de Predis, Bernardo Zenale.

 

Arte lombarda: dai Visconti agli Sforza
Palazzo Reale Milano
12 Marzo-28 Giugno, 2015

ORARI

  • Lunedì: 14.30 - 19.30

  • Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 09.30 - 19.30

  • Giovedì e Sabato: 09.30 - 22.30

la biglietteria chiude un’ora e mezza prima


BIGLIETTI

Il prezzo del biglietto comprende audioguida in omaggio

  • Intero: € 12,00

  • Ridotto: € 10,00

  • Ridotto club Skira: €9,00

  • Gruppi*: € 10,00

  • Scuole*: € 6,00

  • Famiglie: € 16,00 (1 adulto + 1 ragazzo di età inferiore a 14 anni)

* Per i gruppi e per le scuole, approfitta dello sconto promozionale valido fino al 15 Aprile, 2015

Biglietti congiunti (con audioguida in omaggio)

  • Biglietto congiunto con Mostra Leonardo OPEN: € 20,00
    (Visiti Leonardo il giorno dell’acquisto, e torni a vedere Visconti Sforza quando vuoi)

  • Biglietto congiunto con Mostra Leonardo IN GIORNATA: € 18,00
    (Visiti prima Visconti Sforza e SALTI LA CODA per Leonardo!)

Biglietti online
I biglietti per la Mostra possono essere anche acquistati online (diritto di prevendita € 1,50 a persona) cliccando sul bottone qua sotto:
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Infoline e prevendite +39.0292800375 (dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 18.30)

Gli autori di Vorrei
Antonio Cornacchia
Antonio CornacchiaWebsite: www.antoniocornacchia.com

Sono grafico e art director, curo campagne pubblicitarie e politiche, progetti grafici ed editoriali. Siti web per testate, istituzioni, aziende, enti non profit e professionisti.
Scrivo soprattutto di arti e cultura.

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