La mostra in corso a Palazzo Reale testimonia l'eredità artistica di un periodo fondamentale per Milano e la Lombardia. Lontano dalla spettacolarizzazione della cultura ma con opere spettacolari
Palazzo Reale a Milano è — come sappiamo — una delle sedi espositive più importanti e visitate in Italia. Mostre di grande richiamo che però a volte lasciano l’amaro in bocca per lo scarso spessore scientifico che le sostiene. È la logica conseguenza della spettacolarizzazione dell’arte. Si organizzano mostre non perché si siano svolti nuovi studi e ricerche su un determinato artista, movimento o periodo storico, ma per fare una mostra e basta. Tipicamente si lancia l’esca di un nome assai noto (in questo abuso gli impressionisti e Van Gogh non hanno pari come vittime), si recuperano 3 o 4 opere neppure fra le più significative e si contornano di una dose più o meno abbondante di nomi presi dalle seconde linee, le riserve dei campioni. Il risultato è così assai altalenante. A volte va di fortuna e la mostra, seppure pretestuosa, riesce apprezzabile. Molte volte no. Una personale, opinabilissima indagine sugli ultimi 15 anni porta a quantificare il rapporto mostre di qualità – mostre da baraccone a Palazzo Reale pari a 1 su 10. Intendiamoci, per moltissimi può essere più che soddisfacente poter osservare caterve di Chagall o quantità industriali di Ligabue senza badare troppo al senso di tutto ciò. In questo pernicioso confondersi del resoconto scientifico, della divulgazione culturale con l’intrattenimento fine a se stesso bastano le emozioni. La parola magicadietro cui si mescolano più o meno legittime aspettative economiche, malintese strategie di marketing territoriale, veri e propri piani di produzione delle aziende che le mostre le fanno esattamente come farebbero le brugole. Le emozioni, come si trattasse di una giornata a Gardaland. Abitualmente i paladini dello sbigliettamento, quelli per cui contano i numeri signori miei, si appellano alla democratizzazione della cultura: abbasso la triste cultura elitaria, i musei devono accogliere folle, le mostre battere i record, i libri andare a ruba. Cosa importa poi se una volta usciti ne sappiamo meno di prima, l’importante sono le emozioni, al diavolo la conoscenza.
“Arte lombarda dai Visconti agli Sforza” (prodotta da Comune di Milano e Skira) crediamo rientri — alla grande — fra le mostre di senso. Non si gioca la carta del nome, e non è poco, e rappresenta la ripresa di un discorso avviato da Roberto Longhi nel 1958 con una mostra nella stessa sede, sullo stesso periodo storico e, ovviamente, con lo stesso titolo. Sfuggendo alle insopportabili nenie pseduo-identitarie in salsa verde, ricompone un quadro dell’arte territoriale (con le necessarie, salubri aperture all’esterno) lungo un percorso storico che offre, come spiegano i curatori Mauro Natale e Serena Romano «Uno spaccato della cultura visiva di quella che gli storiografi definivano come l’età dell’oro lombarda, dopo la frammentarietà comunale e prima dell’invasione straniera». Un contesto chiaro, come chiaro è il percorso della mostra: cronologico, ormai una rarità. Per il dettaglio si veda il box a fondo pagina.
L’allestimento è assai gradevole, si ha la possibilità di apprezzare agevolmente la grande qualità delle opere pittoriche (a parte qualche incertezza delle luci con due strepitosi Bergognone da noi trovati al buio purtroppo) e scultoree (i tre San Pietro martire di Giovanni di Balduccio da togliere il fiato per esempio), nonché la strabiliante bellezza delle miniature e dei reliquiari.
Cinque sezioni legate all’avvicendarsi fra Pavia e Milano dei signori Visconti e Sforza che, una volta di più, riaprono la riflessione sul rapporto fra arte e potere e, se vogliamo, fra arte e libertà di espressione. Le meraviglie che è possibile ammirare nella mostra sono tutte frutto di committenze. E i committenti erano personaggi tutt’altro che rassicuranti. Una frase attribuita a Harry Lime e ripresa da Orson Welles in Il terzo uomo recita «In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù». A parte il fatto che non fossero solo i Borgia, la sostanza non cambia, anche per quanto riguarda i Visconti, gli Sforza e il loro tempo. Era il medioevo, cioè quel periodo a cui — anche nelle chiacchierate — attribuiamo tutte le nefandezze civili, sociali e storiche dell’uomo. Eppure l’arte ha lasciato testimonianze straordinarie che gelosamente custodiamo e tramandiamo ai nostri figli e nipoti. Oggi che viviamo mediamente nell’agio, che le cosiddette democrazie evolute telecomandano le guerre in posti lontani, siamo in grado di produrre una bellezza altrettanto capace di attraversare i secoli? Fra cinquecento anni ci sarà qualcuno che andrà a vedere una mostra con i conigli giganti di Jeff Koons e l’iPhone?
Il percorso della mostra si svolge attraverso una serie di tappe in ordine cronologico, che costituiscono altrettante sezioni e sottosezioni, che illustrano la progressione degli eventi e la densità della produzione artistica: pittura, scultura, oreficeria, miniatura, vetrate, con una vitalità figurativa che soddisfa le esigenze della civiltà cortese e conquista rinomanza internazionale al punto da divenire sigla d’eccellenza riconosciuta: l’“ouvraige de Lombardie”.
Dopo una breve sezione introduttiva che offre il contesto storico, presentando una galleria di ritratti delle due dinastie di grandi committenti, i decenni centrali del Trecento costituiscono la prima sezione espositiva, dedicata a illustrare come i Visconti abbiano impresso una svolta fondamentale alla cultura lombarda, dapprima importando a Milano e in Lombardia artisti “stranieri” – i toscani Giotto e Giovanni di Balduccio – poi aprendo cantieri nelle capitali del ducato, nelle città satelliti, nelle campagne, occupando gli spazi urbani e rinnovando quelli ecclesiastici; fondando biblioteche, come quella di Pavia, che fu una delle più importanti del mondo occidentale e fu poi in gran parte spostata in Francia dopo la conquista del ducato.
Sono qui esposte opere di grandissimo pregio e di svariate ed eccelse tecniche: dipinti su tavola, affreschi, vetrate, sculture in marmo, legno, pietra, oreficerie, miniature, bronzi, ricami, arazzi; tra gli altri, i manoscritti Liber Pantheon del 1331 e il Libro d’Ore Bodmer dalla Morgan Library (prestito eccezionale che non fu concesso nel 1958), splendide vetrate dalla chiesa di Santa Maria Matris Domini di Bergamo, uniche del Trecento esistenti in Lombardia, alcune mirabili opere in marmo di Giovanni di Balduccio, del Maestro di Viboldone e di Bonino da Campione provenienti, oltre che dalla Lombardia, da importanti musei europei e americani, disegni, tavole e affreschi di Giovanni da Milano, di Giusto de’ Menabuoi, del Maestro di San Nicolò dei Celestini.
Si assiste qui alla trasformazione del linguaggio figurativo lombardo, dapprima ancora legato alla tradizione autoctona, come nella austera e arcaica Madonna col Bambino del Maestro degli Osii (1330 circa), poi innovato dagli artisti toscani, intrisi di cultura francese.
Una seconda tappa sarà quella degli anni attorno al 1400, dove domina Gian Galeazzo Visconti, personaggio chiave del tardo gotico lombardo: sono gli anni del grande cantiere del Duomo di Milano.
È stata in questo caso fondamentale la collaborazione con la Fabbrica del Duomo, che ha generosamente accettato di smontare dalle guglie ed esporre in mostra alcune statue della Cattedrale e alcune vetrate, altrimenti difficilmente visibili.
Per non alterare l’allestimento recentemente ripensato del Museo del Duomo, si è deciso di non privare di opere le sale dedicate a questi anni, che potranno così costituire un’utile integrazione alla visita della mostra.
Al volgere del 1400, grazie alla personalità magnetica e intraprendente di Gian Galeazzo, i rapporti della corte milanese con le altre corti e gli altri grandi cantieri europei – specialmente Parigi, ma anche Praga, Vienna, Budapest, le Fiandre – sono strettissimi e contribuiscono alla fioritura di una cultura gotica che rappresenta uno dei punti culminanti dell’esposizione.
I protagonisti di questa stagione sono Giovannino de’Grassi e in seguito Michelino da Besozzo: entrambi lavorano al cantiere del Duomo, e vengono esposte a Palazzo Reale opere notevolissime come alcuni preziosi manoscritti – il Taccuino di disegni, l’Offiziolo Visconti e il Landau Finaly 22 di de’ Grassi e il Libro d’Ore di Michelino da Avignone. Questo straordinario momento creativo corrisponde all’apice del fasto della corte pavese verso la quale convergono artisti di primissimo piano, italiani e stranieri come Jean d’Arbois, Gentile da Fabriano, di cui è in mostra una splendida tavola da Pavia e Pisanello.
Nella terza sezione si passa al lungo regno di Filippo Maria Visconti, molto diverso da Gian Galeazzo, con una personalità nevrotica, non adatta a riunire una vita di corte di qualità. Comincia la crisi del ducato e molti artisti lasciano la Lombardia, disperdendosi. Michelino da Besozzo va infatti a Venezia, Verona e Vicenza, poi rientra a Milano, ma non lavora più per la committenza ducale. In questa sezione domina comunque il linguaggio tardo-gotico con largo uso di materiali preziosi, ori, vestiti sfarzosi, con opere straordinarie: le tavole di Michelino di Verona (Civici Musei d’Arte - Museo di Castelvecchio), di Siena (Pinacoteca Nazionale) e di New York (Metropolitan Museum); magnifici manoscritti di seguaci di Michelino, il bellissimo polittico con Madonna col Bambino, Santo e donatore (1447) di Maestro Paroto; e ancora pale d’altare, messali, miniature, i celebri Tarocchi di Bonifacio Bembo, di cui sarà eccezionalmente ricomposto in mostra il capolavoro costituito dall’Incoronazione del Museo di Cremona e dalle due tavole che l’affiancavano, ora al Museo di Denver; inoltre una serie di opere di alta oreficeria di straordinaria maestria.
Il capitolo successivo, la quarta sezione, mette a fuoco l’importanza capitale dello snodo figurativo che corrisponde alla fine dinastica dei Visconti e alla presa di potere di Francesco Sforza (gli anni intorno al 1450) fino a tutto il periodo di governo di Galeazzo Maria Sforza. Le iniziative di Francesco Sforza si collocano all’insegna della continuità con il passato, ma integrano anche nuove esperienze favorite dalla politica di alleanze sulle quali il duca poggia il proprio potere. Anche il progressivo spostamento della sede della corte da Pavia a Milano, destinata a diventare a breve l’unica capitale stabile del ducato, facilita l’avvento di nuove maestranze e nuove tendenze: il razionalismo figurativo di Vincenzo Foppa che si apre al linguaggio padovano si confronta con il naturalismo di origine fiamminga che filtra da Genova e seduce i signori italiani. È il periodo delle grandi botteghe che si spartiscono il lavoro delle grandi imprese decorative al Castello Sforzesco a Milano e a Pavia: Foppa, Bembo, Zanetto Bugatto, Bergognone. Sfilano opere straordinarie come i Santi Stefano e Ambrogio di Donato de Bardi (collezione privata); le splendide tavole di Vincenzo Foppa da Pisa e dalla Pinacoteca di Brera; un magnifico e rarissimo Cristo in pietà tra i santi Ambrogio e Agostino, del Maestro di Chiaravalle; la tavola Madonna con bambino e angeli (1460-70) di Zanetto Bugatto dalla Collezione Villa Cagnola - Gazzada (Varese), finalmente riavvicinata agli altri elementi che l’affiancavano (Santi ora in collezione privata); il prezioso trittico di Gottardo Scotti (Museo Poldi Pezzoli); una serie di sculture in legno intagliato e dipinto e in terracotta, di un gusto già rinascimentale, anche se fortemente lombardo.
Una quinta e ultima tappa sarà infine dedicata agli anni di Ludovico il Moro e alla spaccatura provocata dalla sua caduta e dall’arrivo dei Francesi: sono anni di cambiamenti radicali nell’urbanistica, nell’architettura e in generale nella produzione artistica grazie alla presenza a Milano di personalità eccezionali come Bramante, Leonardo e Bramantino. In questi anni, malgrado la crisi del sistema politico e la fragilità delle finanze dello stato, le botteghe lavorano a pieno regime: Milano produce ed esporta meravigliosi prodotti di lusso come smalti, oreficerie, ricami eseguiti in gran parte sulla base di progetti elaborati da artisti di primo piano, secondo un procedimento che anticipa quello del moderno “design”. Stimolata dall’ambizione sfrenata del duca, la produzione artistica è sottesa da uno spirito di emulazione/concorrenza nei confronti delle altre corti padane, legate a quella sforzesca da stretti rapporti famigliari oltre che da interessi economici e politici comuni: la sezione prende in esame in modo particolare le relazioni con Ferrara, Bologna, e con Mantova. Vi sono esposte sculture in marmo di Giovanni Antonio Amadeo, importanti tavole di Bernardino Butinone (abitualmente inaccessibili perché di antiche collezioni private), la bella tavola Madonna con il Bambino, sante Dorotea e Caterina, angeli dal Petit Palais di Parigi; vetrate dal Duomo di Milano e alcune tavole di Foppa, tra cui la mirabile Annunciazione (1500 circa) dal Palazzo Borromeo all’Isola Bella (Stresa) e la Madonna in trono con il Bambino e angeli dal Musée des Beaux-Arts di Digione; le due tavole di Bernando Zenale dagli Uffizi; la splendida Madonna in trono con il Bambino e il Salvator Mundi di Bergognone dalla collezione Borromeo; il celebre manoscritto Ore all’uso degli Umiliati con iconografia da Bergognone, dalla British Library di Londra, mai esposto; e anche qui una serie strepitosa di opere di oreficeria, reliquiari, medaglioni, messali, manoscritti, bronzi, dove emerge con tutta la sua forza la cosidetta arte lombarda. La mostra si chiude con opere che attestano l’impatto avuto in Lombardia da Leonardo e Bramante, con dipinti di Giovanni Antonio Boltraffio, Ambrogio de Predis, Bernardo Zenale.
Arte lombarda: dai Visconti agli Sforza
Palazzo Reale Milano
12 Marzo-28 Giugno, 2015
ORARI
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Lunedì: 14.30 - 19.30
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Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 09.30 - 19.30
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Giovedì e Sabato: 09.30 - 22.30
la biglietteria chiude un’ora e mezza prima
BIGLIETTI
Il prezzo del biglietto comprende audioguida in omaggio
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Intero: € 12,00
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Ridotto: € 10,00
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Ridotto club Skira: €9,00
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Gruppi*: € 10,00
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Scuole*: € 6,00
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Famiglie: € 16,00 (1 adulto + 1 ragazzo di età inferiore a 14 anni)
* Per i gruppi e per le scuole, approfitta dello sconto promozionale valido fino al 15 Aprile, 2015
Biglietti congiunti (con audioguida in omaggio)
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Biglietto congiunto con Mostra Leonardo OPEN: € 20,00
(Visiti Leonardo il giorno dell’acquisto, e torni a vedere Visconti Sforza quando vuoi) -
Biglietto congiunto con Mostra Leonardo IN GIORNATA: € 18,00
(Visiti prima Visconti Sforza e SALTI LA CODA per Leonardo!)
Biglietti online
I biglietti per la Mostra possono essere anche acquistati online (diritto di prevendita € 1,50 a persona) cliccando sul bottone qua sotto:
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Infoline e prevendite +39.0292800375 (dal lunedì al sabato dalle 8.00 alle 18.30)