Un film di Abderrahmane Sissako. Altro che scontro di civiltà, altro che modernità contro barbarie. I frutti perversi dell'emarginazione e della sottocultura europea
Timbuktu è un film che viaggia leggero, poetico, verso la tragedia, individuale e collettiva. I paesaggi straordinari di un luogo fuori dal tempo, di armonia tra uomo e natura, resi con maestria da una fotografia curatissima ed essenziale, i suoni, i colori, gli antichi mestieri ci introducono in un mondo antico ed equilibrato, vitale, gioioso, che viene oppresso, asfissiato da un fanatismo di maniera, modaiolo. Si può giocare una partita di calcio senza pallone? Tanto può la passione, la forza della vita contro i lacci di un dogmatismo che nulla a che vedere con la modernità.
Telefonini, videocamere, gipponi, e armi. I segni dell'occidente, i tratti del suo consumismo, narcisismo, del suo egotismo ipertrofico, esteriorità e apparenza, sono i segni distintivi, le differenze che mostrano a quale cultura e da dove proviene la guerra santa, il fondamentalismo che si impone con la violenza in una cultura tollerante e aperta.
Altro che scontro di civiltà, altro che modernità contro barbarie. I frutti perversi dell'emarginazione e della sottocultura europea che assumono radicalizzandola una religiosità che non gli appartiene e della quale, per questo, non riescono a cogliere l'essenza, aggrappandosi ad una superficiale e ossessiva armatura di regole e di norme di cui perdono il senso e il significato. Dove sta la carità? La pietà? Il perdono? Un film da vedere per sfatare i luoghi comuni e da guardare lasciando la mente aperta. Riuscirà la gazzella a fuggire? Riuscirà la natura a sopravvive e ricostruire la sua armonia?