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Quante definizioni si possono dare alla cultura? cosa intendiamo per la sua valorizzazione? Nell'episodio 1 rispondono Agnese Ermacora, Chiara Spinnato, Michela Tilli, Luigi Rossi e Alfredo Somoza

 La cultura sembra essere tornata al centro dell'interesse di tutti, ma di cosa parliamo esattamente quando parliamo di cultura? che cosa abbiamo in mente quando invochiamo la sua valorizzazione? E cosa non è cultura? Lo abbiamo chiesto a molte personalità attraverso 4 domande secche. Questo è il primo episodio, qui la raccolta. Buona lettura.

  1. Una sua definizione, personale, della cultura.
  2. Cosa non è cultura?
  3. Qual è la funzione del patrimonio culturale?
  4. Cosa vuol dire, per lei, valorizzare il patrimonio culturale?

 

Agnese Ermacora, autrice e speaker radiofonica

  1. Non è cultura quello che dopo essere passato nelle tue mani non lascia niente, nemmeno un pensiero.
  2. La funzione del patrimonio culturale è quella di esporre la cittadinanza alla bellezza, affinché possa avere uno strumento in più per essere migliore.
  3. Valorizzare vuol dire aver cura, proteggere, mostrare: fare in modo che tutti lo conoscano.

 

Chiara Spinnato, Vidi visit different

  1. Cultura, per me è tutto ciò che ha a che fare con l'immaginazione. Tutto ciò che ci spinge ad uscire dalla realtà circostante per pensare, capire, sentire il desiderio di essere diversi da quello che siamo.
  2. L'omologazione
  3. Farci capire chi siamo
  4. Conservazione prima di tutto, in secondo luogo il patrimonio culturale va divulgato senza tradirne il significato. La vera valorizzazione viene realizzata quanto più il messaggio del bene culturale viene divulgato a tutti: bambini, ragazzi, adulti, esperti del settore e soprattutto NON esperti del settore. Il patrimonio culturale va raccontato più che divulgato. Per me la valorizzazione, dopo la conservazione, in sostanza è una storia da raccontare; in sostanza il Visit different è questo. E spesso per raccontare l'emozione è un ingrediente indispensabile, ma non sempre si riesce a innestarla, ci si prova, ma il contesto non sempre aiuta. Ascoltare è la cosa più difficile al giorno d'oggi.

 

Michela Tilli, scrittrice

  1. A mio parere la definizione di cultura dovrebbe essere il più possibile ampia e comprendere qualunque produzione umana, se considerata con l’occhio della riflessione e della conoscenza, della fruizione estetica e dell’accrescimento spirituale.
  2. Non credo siano di per sé cultura le produzioni umane che hanno un immediato scopo materiale, come un oggetto tecnologico, un messaggio pubblicitario, un programma televisivo di puro intrattenimento, e tuttavia credo che possano diventarlo, con il tempo e grazie alla riflessione che l’uomo compie su di sé.
  3. Conservare e valorizzare il patrimonio culturale è necessario a una comunità per nutrire lo spirito e coltivare l’identità della comunità, ma anche la consapevolezza delle differenze.
  4. Data una definizione così ampia della cultura, è necessario sottolineare però che le risorse di una comunità non sono infinite, e quindi si dovrà decidere cosa valorizzare e a cosa destinare le risorse. Credo che in una comunità sana tutto dovrebbe partire dalla scuola e dall’istruzione, perché rafforzare la consapevolezza dei cittadini è fondamentale affinché le scelte culturali non calino dall’alto, ma si impongano dalla base e dalle reali esigenze e proposte culturali di una popolazione attenta e dotata di mezzi.

 

Luigi Emanuele Rossi, Bice Bugatti Club

  1. Preferisco parlare di culture. Le culture sono il risultato di un collettivo e di complesse interazioni. La crisi della politica è sicuramente il derivato della incapacità dei partiti di essere organismi in grado di produrre culture diverse. Le culture si rapportano con la realtà e la storia e in questo sono diverse dalle astrazioni e dai modelli. La realtà non è solo quella oggettiva che si misura, ma anche quella che si manifesta nelle azioni, paure, opinioni degli altri. I percorsi individuali e i processi creativi sono la sostanza, la materia prima, l'energia che consente la costruzione la elaborazione, nel collettivo o meglio nel sociale, di culture diverse. Le culture includono i sogni le utopie e il nostro razionale; non possono cioè prescindere dal nostro inconscio, dalla nostra storia più intima e profonda e dalla nostra sensibilità… Persona colta e moderna è Steve Jobs.
  2. L'ideologia, l'economia, la tecnica... Tutto ciò che prescinde dalle persone, dalla società e dalla storia. Sono al massimo strumenti per capire.
  3. Il patrimonio culturale è la memoria della società cristallizzata nelle varie forme, dai muri ai libri alle immagini alla tradizione orale e musicale. Una fonte a cui attingere per la elaborazione in continuo di nuove culture e nuove prospettive.
  4. Non è solo un problema di soldi... I soldi sono il risultato di un confronto e di un dibattito sui patrimoni culturali che sono storicamente determinati. La società è sicuramente fluida, come dice Bauman, e i soldi aiutano le sue dinamiche interne, ma la realtà emerge o riemerge con continuità e con letture sempre diverse. Come le guerre, le ingiustizie, le violenze eccetera. Valorizzare il patrimonio culturale significa rileggere e attualizzare le storie per aiutare non i giovani e non solo a orientarsi nella attualità.

 

Alfredo Luis Somoza, giornalista

  1. Avendo una formazione antropologica, non mi posso esimere dal considerare cultura l’insieme della produzione materiale e immateriale dell’uomo diventata patrimonio collettivo riconosciuto. La riduzione del concetto di cultura alle manifestazioni cosiddette “alte” e alle persone “istruite”, è stato storicamente un valido supporto pseudo-scientifico all’impresa coloniale ottocentesca. Non esiste, in antropologia, un discrimine tra “arte-artigianato”, “musica colta-musica popolare”, “religione-credenze”. Sono tutte manifestazioni culturali di pari dignità con diverse fortune, diffusione, accettazione.
  2. Non è cultura qualsiasi pensiero o produzione senza condivisone sociale. Non esiste la cultura “individuale”. Oggi la pubblicità spesso tenta di fare passare come “cultura” fatti o pensieri scaturiti dalla mente di un creativo. Il fenomeno più interessante è che spesso tali invenzioni culturali fasulle, diventano successivamente parte integrante della cultura contemporanea a pieno titolo. L'esasperato utilizzo televisivo del cibo e della cucina ad esempio, da format scelto perché di bassissimo costo ai tempi della frammentazione dovuta al digitale terrestre, è diventato “cultura”. Oggi si verifica un'attenzione per la tradizione culinaria, culturale per eccellenza, che si era perso nei decenni precedenti.
  3. Il patrimonio culturale ha molteplici funzioni, da quelle alte, come ad esempio tramandare la storia di un popolo, a quelle pratiche, quando diventa volano del turismo. Il patrimonio rischia però di finire mummificato quando si pensa che sia soltanto quello risalente al passato remoto oppure solo legato al racconto della vita dei ricchi. La  “sindrome FAI”, senza ché il Fai ne sia colpevole,  porta a considerare il patrimonio soltanto nelle sue dimensioni architettoniche, monumentali e legate alle classi agiate. Splendide ville dei signori di altri tempi tutelate e curate nei minimi dettagli, di fianco alla memoria del mondo contadino o del lavoro andato perso per incuria e perché non considerate degne di essere raccontato. Una delle cose più tristi che si può incrociare andando in giro per paesi sono i “Musei etnografici” dove vengono accatastati sempre gli stessi oggetti, recuperati da qualche solaio, e regolarmente coperti dalla polvere e dall’indifferenza.
  4. Anzitutto considerarlo nella sua complessità di patrimonio tangibile e intangibile, monumentale e tematico. I musei del territorio, un concetto recente di musealità nato in Francia e che in Lombardia ha trovato terreno fertile, è un ottimo esempio di come valorizzare l’insieme del patrimonio di un territorio, senza musealizzarlo isolandolo dal contesto. I percorsi dei musei del territorio fanno da filo conduttore alla scoperta di un patrimonio che si articola in modo complesso, sulle tracce della cultura locale e della natura modificata l’uomo.
    L’Italia spende molto, contrariamente a quando si dice, e male per tutelare un Patrimonio imponente, perché si considera priorità solo le principali attrattive, quelle di richiamo, con la conseguenza di un turismo sempre più concentrato nei principali poli urbani e un impoverimento dello stesso patrimonio che si vorrebbe difendere. Ripensare il patrimonio vuole dire riconoscere che esiste qualcosa di importante da conoscere e valorizzare che non è sempre e comunque la Chiesa, il castello, la grande villa.

 

Nella foto Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini, eseguito tra il 1622 e il 1625 si trova nella Galleria Borghese a Roma