In “Svegliamoci Italici! Manifesto per un futuro glocal” Piero Bassetti lancia un appello che potrebbe suonare così: “Fratelli italici di tutto il mondo, svegliatevi e unitevi!”.
Un problema complesso, sempre presente in ciascuno di noi e da sempre argomento di miti, drammi e racconti, dal “conosci te stesso” dell’oracolo di Delfo all'“uno, nessuno, centomila” di Pirandello, è quello dell’identità. Personale, di una famiglia, di un clan, di un popolo, di una lobby, di una categoria, di una “cosa nostra”... Identità che, inoltre, è plurima, fino all’idea che il Pereira di Tabucchi sostiene, secondo cui ciascuno di noi non ha un’anima, bensì una “confederazione delle anime” spesso in lotta per l’egemonia. Parallelamente a questo problema, si pone quello dei rapporti tra la propria e le altrui identità, con tutti i relativi risvolti positivi o negativi, spesso drammatici.
Nel suo libro “Svegliamoci Italici! Manifesto per un futuro glocal” (Marsilio, 2015) Piero Bassetti propone alla nostra riflessione una identità costituita da coloro che egli chiama “Italici”. Così li definisce: “Non sono soltanto i cittadini italiani in Italia e fuori. Sono anche i ticinesi, i dalmati e i loro discendenti, i sammarinesi, gli italo-americani, quelli delle due Americhe e dell’Australia, nonché gli italofoni e tutti coloro che, magari senza alcuna parentela o ascendenza italiana, hanno tuttavia abbracciato valori, stili di vita e modelli condivisi nel nostro paese”.
La definizione comprende anche ogni ibridazione dell’identità italiana con altre, che convivono più o meno tranquillamente. Esiste, questa identità? Secondo Bassetti, well traveled in tutto il mondo, sì. Ma è per lo più latente, o inconsapevole, e per questo egli invita a un risveglio. Un risveglio costruttivo, non una rivendicazione o un progetto di predominio. Un invito agli italici a trarre, da una vocazione storica alla bellezza, alla ricerca della perfezione non solo funzionale ma anche estetica, alle piacevolezze della vita, alla creatività. alla flessibilità, all’allegria, l’incitamento a realizzarsi e a realizzare.
Bassetti immagina un commonwealth italico, ispirandosi a quelli storici, britannico e ispanico. Ma a differenza dei precedenti, nei quali la diffusione della cultura dei conquistatori fu portata sulla punta delle lance, quello italico sarebbe un commonwealth che chiamerei gramsciano, basato sull’egemonia culturale. Una identità non imposta e diffusa dall’alto (top down), ma fiorente dal basso (bottom up).
“La sfida”, dice Bassetti, consiste nel “configurare il ‘nuovo’ soggetto organizzativo e politico all’interno del quale... milioni di italici potrebbero trovarsi ad affrontare insieme il loro avvenire comunitario e politico in un mondo non più internazionale ma glocal”.
PB si è occupato molto in passato del potere. Qui potrebbe sembrare che l’abbia lasciato da parte. Ma evidentemente lo ha solo sottinteso. Egli immagina sicuramente che l’egemonia culturale sia la premessa di una egemonia anche politica ed economica, non in conflitto, ma in civile competizione-convivenza con altre identità.
Pur parlando esplicitamente di valenza politica, Bassetti non propone nulla che si traduca in una istituzione “internazionale”, che riecheggerebbe ancora l’idea decadente di “nazione”. La leva su cui propone di contare è prima di tutto Internet, utilizzando le reti sociali per un’azione di diffusione virale dell’italicità, una open source aperta ai contributi di chiunque. “Ma non basta. All’intensificarsi della comunicazione reticolare dovrà accompagnarsi anche il fiorire di sempre più numerosi ‘luoghi ufficiali’ in cui far incontrare fisicamente gli italiani nel mondo, affinché la cultura comune alla quale si ispirano possa essere alimentata e agire come motore identitario e strategico. Sarà questo lo spazio per un nuovo associazionismo...” .
Un altro strumento su cui propone di agire è costituito dall’insieme dei giornali, radio, TV e altri mass media di ispirazione italica, diffusi nel mondo e che risultano in grande aumento.
Last but not least, la rete delle Camere di Commercio italiane all’estero, che sono già in parte, ma dovrebbero diventare italiche a pieno titolo, di cui Bassetti è stato presidente per lunghi anni. Con questo spiegamento di forze l’autore lancia un appello che potrebbe suonare così: “Fratelli italici di tutto il mondo, svegliatevi e unitevi!”.
In realtà, gli esempi che Bassetti cita (Jorge Mario Bergolio, Sergio Marchionne, Bill De Blasio, Mario Balotelli, Quentin Tarantino, eccetera) sono già ben svegli. magari senza pensare di esserlo come italici! Si tratta allora di dirlo ai dormienti. E da questo punto di vista, forse gli italici dispersi in tutto il mondo, che si sono confrontati per generazioni con altre identità, sono i più pronti a svegliarsi. Il messaggio appare invece particolarmente importante per quelli della madre patria che un giorno si flagellano fino all’autolesionismo, e il giorno dopo pensano di essere los mejores del mundo, magari solo perché l’Italia ha battuto la Germania in una partita di calcio.
Quindi, la sveglia di Bassetti è benvenuta per rimuovere da molti italiani e dintorni complessi di inferiorità o di vacua superiorità (quel “popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori” di mussoliniana memoria), e per dare loro consapevolezza delle proprie potenzialità, fiducia in sé stessi e voglia di fare. Ben venga un nuovo patriottismo, scevro di qualsiasi residuo nazionalistico. Nella consapevolezza che c’è molto da fare.
Condivido la visione dell’italicità come un campo i cui confini sono indefinibili, in una giusta tendenza all’inclusione piuttosto che all‘esclusione. Ho tuttavia qualche perplessità sul considerare italici anche coloro che, ad esempio, producono il parmesan. Qui sento riecheggiare il “ma anche” di veltroniana memoria. Certo, chi produce il parmesan testimonia che il parmigiano-reggiano è un marchio di valenza globale, espressione certificata dalla italicità. Ma non è italico: è semplicemente un falsario.
Mi sembra anche, forse sbagliando, che la proposta di una identità globale si accompagni ad una eccessiva liquidazione del territorio come suo fondamento. Io credo ancora che il territorio abbia una formidabile forza di attrazione identitaria, che assorbe nel tempo anche le grandi invasioni, dominazioni e migrazioni, quelle del passato come quelle che si svolgono drammaticamente in questi tempi.
Del resto il termine glocal, di cui Bassetti può a ben diritto essere considerato tra gli ideatori, parla proprio di loci: globale e locali. Di congiunzione tra la grande varietà di espressioni riconducibili a territori diversi, ciascuno con le proprie specificità storiche e le proprie potenzialità, e un villaggio globale che si impone sempre più come inesorabile appartenenza.
Piero Bassetti stesso è testimone di questa congiunzione: cittadino del mondo, non conosco nessuno che sia più lombardo, e soprattutto milanese come lui! Allo stesso modo, pur in un mondo ormai reticolare e in perenne fluida trasformazione, non mi riesce di immaginare un commonwealth senza una madre patria. Per questo suggerirei di includere, tra gli strumenti su cui far leva per risvegliare gli italici di tutto il mondo, un forte rilancio del Gran Tour, del Viaggio in Italia.
In questo come in tutte le sue esternazioni, Piero Bassetti riesce a mettere in questione le certezze, i modelli mentali che ci sembrano punti di arrivo su cui rilassarci. A volte ci entusiasma, a volte ci irrita. A volte ci convince, a volte ci sembra assurdo. Ma sempre ci provoca, dà l’impressione di essere un passo avanti (non a caso in gioventù è stato un velocista!). Per questo viene considerato anche dai dubbiosi come una specie di oracolo, il cui ascolto è sempre consigliabile.