È un uomo qualunque quello che ho ritrovato in questo testo, un attivista moderato di un partito di sinistra non ben specificato, scelto per ricoprire il ruolo di uno scrutatore al Cottolengo. Lettori e collaboratori di Vorrei raccontano il proprio rapporto con la letteratura di Italo Calvino. Scrivici anche il tuo Calvino: info@vorrei.org
“per scrivere una storia così breve, ci ho messo dieci anni, più di quanto avessi impiegato per ogni mio altro lavoro. La prima idea di questo racconto mi venne proprio il 7 giugno 1953. Fui al Cottolengo durante le elezioni per una decina di minuti. (…) ero candidato del Partito Comunista… assistetti a una discussione… fu lì che mi venne l’idea del racconto. Provai a scriverlo, ma non ci riuscii… Pensai che avrei potuto scrivere solo se avessi vissuto veramente l’esperienza dello scrutatore che assiste a tutto lo svolgimento delle elezioni lì dentro.
L’occasione nel ’61. Passai al Cottolengo quasi due giorni e fui anche fra gli scrutatori che vanno a raccogliere il voto nelle corsie… Il risultato fu che restai completamente impedito dallo scrivere per molti mesi… Insomma, prima ero a corto di immagini, ora avevo immagini troppo forti.
Ho dovuto aspettare che si allontanassero, che sbiadissero un poco dalla memoria… ho dovuto far maturare sempre più riflessioni… come un seguito di onde o cerchi concentrici…”
Ecco il Calvino della mia maturità, così diverso da quello conosciuto sui banchi di scuola.
Non più lo stupore nel seguire un funambulo gentiluomo arrampicato sugli alberi; né la commozione per quel guerriero spaccato a metà da una cannonata; né l’illusione d’incrociare la via tracciata da un cavaliere inesistente.
È un uomo qualunque quello che ho ritrovato in questo testo, un attivista moderato di un partito di sinistra non ben specificato, scelto per ricoprire il ruolo di uno scrutatore al Cottolengo.
Anno 1953.
In una giornata piovosa ha inizio il viaggio di Amerigo (e con il nome che gli è stato affidato, altro non avrebbe potuto fare) attraverso “un’Italia nascosta … il rovescio di quella che si sfoggia al sole, che si ammira per le strade e che pretende e che produce e che consuma; che era il segreto delle famiglie e dei paesi …“
Un viaggio che ha dell’assurdo, dell’irragionevole: se avessi letto il libro senza conoscerne l’autore, lo avrei associato a Saramago.
Calvino si scontra con l’infelicità, si chiede quanto pesi su ognuno di noi la responsabilità di generare nuove vite, fa suo il dolore di chi è reietto, condannato all’ombra, inconsapevole pedina di questa nostra esistenza, eppure sfruttato per creare numeri, voti, potere.
“non avevo mai osato sfiorare questi temi prima d’ora. Non dico ora d’aver fatto più che sfiorarli; ma già l’ammettere la loro esistenza, il sapere che si deve tenerne conto, cambia molte cose.”
Questo breve romanzo è un concentrato di polemiche, di fatti politici, memorie storiche, di confini invalicabili fra la città dell’homo faber - che si è arrogata il diritto di conoscere in modo esclusivo il segreto del “fuoco … senza il quale le città non si fondano, né le ruote delle macchine vengono messe in moto” - e il mondo-Cottolengo, antitesi della” vanità del tutto”.
Sul finire del viaggio l’approdo all’amore in due diverse sfumature, a quell’amore che non porta traccia di pensiero razionale.
Vagando tra le corsie come membro del seggio, egli scorge una suora che ha fatto del Cottolengo il suo luogo di missione. L’amore come scelta.
Poi un anziano padre che “non aveva scelto nulla, perché il legame che lo teneva stretto alla corsia non l’aveva voluto lui, la sua vita era altrove, ma faceva alla domenica il viaggio per veder masticare suo figlio”.
Seduti ai lati del letto, in modo da potersi reciprocamente guardare con l’angolo dell’occhio, due esseri legati dal sottile filo di un altro tipo d’amore. “Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l'umano arriva dove arriva l'amore; non ha confini se non quelli che gli diamo”.