Libri. In “Ribelli in paradiso” Paul Avrich traccia la storia del più temuto movimento anarchico mai apparso negli Stati Uniti.
È stato finalmente tradotto anche in lingua italiana un importante saggio pubblicato nell’ormai lontano 1991 e intitolato Ribelli in paradiso. Sacco e Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, nel quale lo storico Paul Avrich – uno dei massimi studiosi del movimento anarchico statunitense – ricostruisce la vicenda di quel gruppo di anarchici italiani che dal 1910 al 1930 tentò di abbattere le istituzioni civili, religiose, economiche e politiche della democrazia capitalistica liberale americana.
Il saggio di Avrich in questo modo fa luce sul poco conosciuto contesto in cui si svolsero le indagini, il processo, la condanna e infine l’esecuzione capitale (avvenuta nel 1927) dei due anarchici italiani Bartolomeo Sacco e Nicola Vanzetti per rapina e omicidio.
Precisiamolo ancora: Ribelli in paradiso non è un saggio sul processo a Sacco e Vanzetti. Anzi, Avrich non prende nemmeno posizione sulla vicenda – pur sottolineando che il processo fu certamente viziato da palesi preconcetti, non esclude tuttavia la possibilità che i due siano stati colpevoli – perché il suo centro di interesse sono proprio le biografie di Sacco e Vanzetti prima del loro arresto, la storia del movimento politico di cui fecero parte e il contesto in cui si svolsero i fatti.
Andiamo con ordine.
Il movimento anarchico italiano si sviluppò negli Stati Uniti assieme all’emigrazione di massa dall’Italia, e quindi a partire dalla fine del XIX secolo, e trovò ispirazione grazie al continuo afflusso dall’Italia di intellettuali anarchici: Tresca, Merlino, Ciancabilla, Gori, Malatesta e Galleani. Quest’ultimo in particolare diede vita a un grande movimento politico, che venne definito movimento gallenaista, e ideò la rivista “Cronaca sovversiva”, un periodico che arrivò a tirare quattromila copie e che nel 1917 il Dipartimento di Giustizia americano definì: “la pubblicazione più sediziosa, più violenta e anarchica mai pubblicata negli Stati Uniti”.
Galleani teorizzò con chiarezza la necessità di una rivoluzione che abbattesse lo stato capitalista anche con mezzi violenti, inclusa la dinamite e l’omicidio politico.
Gian Maria Volonté in “Sacco e Vanzetti” di Giuliano Montaldo, 1971
Sacco e Vanzetti erano due galleanisti convinti. Scrissero diversi articoli su “Cronaca Sovversiva” e collaborarono alla sua diffusione. Rifiutavano lo stato e la proprietà privata, ma non erano solo innocenti sognatori. Aderivano infatti a una corrente di pensiero che propugnava apertamente la violenza, e non solo a parole.
Se Galleani pubblicò un manuale su come si potevano costruire bombe rudimentali, e successivamente egli stesso rimase ferito in uno scontro a fuoco con la Polizia, a sua volta il movimento galleanista non fu da meno e si rese protagonista di innumerevoli azioni terroristiche che provocarono morti e feriti, come per esempio le numerose bombe fatte esplodere contro chiese, palazzi di giustizia, sedi di Polizia, abitazioni di magistrati e di sindaci; per non parlare poi delle decine di lettere esplosive recapitate a decine di autorità in tutti gli Stati Uniti. E non è tutto.
Nel 1916 l’anarchico gallenaista Nestor Dandoglio, travestito da cuoco, avvelenò con l’arsenico le vivande del banchetto in onore dell’arcivescovo di Chicago Alexander Mundelein, che era stato appena nominato cardinale, provocando duecento intossicati.
Nel 1919 i galleanisti attentarono inoltre alla vita di Alexander Palmer, Procuratore Generale degli Stati Uniti, l’equivalente del nostro ministro della giustizia: un attentato alla cui preparazione quasi sicuramente presero parte anche Sacco e Vanzetti, così come probabilmente parteciparono alla preparazione di diversi altri attentati.
Nel 1920, come rappresaglia per l’arresto di Sacco e Vanzetti (avvenuto a sua volta pochi giorni dopo la morte dell’anarchico Salsedo, volato giù dalla finestra del comando di Polizia), i galleanisti piazzarono una bomba a Wall Street che provocò la morte di trenta persone.
Fin dal suo primo apparire negli Stati Uniti, il movimento anarchico fu nondimeno duramente represso dalle autorità. Già per esempio nel 1887 otto anarchici vennero arrestati e condannati per una strage compiuta l’anno precedente a Chicago. Nel 1903, a seguito dell’assassinio del presidente degli Stati Uniti McKinley da parte dell’anarchico Czolgosz, vennero varate norme per impedire l’ingresso degli anarchici negli Stati Uniti e per impedire la pubblicazione e la diffusione delle loro riviste (dal 1880 al 1940 vennero pubblicati oltre cinquecento periodici anarchici, cento dei quali in lingua italiana). Nel 1914 la Guardia Nazionale sparò sui minatori in sciopero a Ludlow uccidendo 21 persone, tra cui 12 donne.
Fu però nel 1917 che la spirale di violenze tra forze dell’ordine e anarchici degenerò in modo definitivo.
Nel 1917 gli Stati Uniti entrarono infatti nella Prima guerra Mondiale, e i vertici militari del Paese vedevano con apprensione le posizioni antimilitariste antipatriottiche degli anarchici. La Rivoluzione d’Ottobre in Russia peggiorò ulteriormente le cose perché scatenò nell’opinione pubblica americana un’ondata di panico indiscriminato nei confronti delle organizzazioni anarchiche, sindacali, comuniste e socialiste, a cui le autorità risposero attraverso arresti ingiustificati ed espulsioni di massa dal territorio statunitense: dal 1917 al 1920 furono per esempio espulsi dagli Stati Uniti ottocento anarchici italiani. Tali risposte innescarono inevitabilmente altre reazioni violente da parte dei movimenti di sinistra che si sentivano duramente attaccati, e tali reazioni violente a loro volta generarono altro panico nell’opinione pubblica. Non a caso gli anni immediatamente successivi al 1917 passarono alla storia con il nome di Red Scare, terrore rosso.
Il mostruoso processo a cui furono sottoposti Sacco e Vanzetti, e che li portò sulla sedia elettrica, si svolse dunque in un clima di esasperazione dell’opinione pubblica e all’apice di un’escalation di attentati e di rappresaglie tra galleanisti e Polizia.
Se questo fu il contesto in cui si svolse la vicenda giudiziaria di Sacco e Vanzetti, chi erano però Sacco e Vanzetti secondo Avrich?
Bartolomeo Sacco e Nicola Vanzetti non erano nati poveri, come invece spesso si crede. Erano emigrati negli Stati Uniti per curiosità e spirito di avventura più che per motivi economici. Certamente non erano intellettuali, ma erano piuttosto due militanti di base dalle idee molto nette, ideologiche: il capitalismo era il male, il governo era la schiavitù, il mondo era diviso tra oppressi e oppressori ecc. ecc. Erano due buoni lavoratori, due persone semplici, ma non erano semplici idealisti poiché avevano preso parte ad azioni violente, anche se – per quanto ne sappiamo – in esse avevano avuto sempre ruoli secondari, da “fiancheggiatori” si direbbe oggi.
Il testo di Avrich è dunque un libro scomodo, che forse dice quello che non vorremmo sentirci dire, ma che ha il pregio di fare piazza pulita di tutta una serie di luoghi comuni e di semplificazioni, di miti e di tabù intellettuali a cui siamo ancorati, e che nel tempo sono stati veicolati, oltre che da un celebre film (bello ma falso) di Giuliano Montaldo, anche da una pubblicistica che non ha mai fatto passare le proprie tesi al vaglio di una ricerca storica seria.
Paul Avrich, Ribelli in paradiso. Sacco e Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti (Nova Delphi, 2015, pp. 382, euro 15,00)