Di tante stagioni del mio inesauribile e inesaurito rapporto con Calvino, la più recente è quella del divertimento condiviso con altri lettori attraverso la lettura ad alta voce. Lettori e collaboratori di Vorrei raccontano il proprio rapporto con la letteratura di Italo Calvino. Scrivici anche il tuo Calvino: info@vorrei.org
Dovessi raccontare in generale dei miei amori letterari, direi che li ho vissuti, a ondate successive, come viaggi di scoperta in cui non potevo lasciare nulla di inesplorato: cominciavo coi Buddenbrok e non potevo più abbandonare Mann, e così per gli altri grandi: russi o francesi, tedeschi o americani, esaurirne il catalogo era d’obbligo. Ma forse era solo perché sentivo che era possibile in qualche modo concluderla, quell’ esplorazione, circoscriverne i confini, saziarmene, per così dire. Calvino no. Calvino per me non è stata una città da esplorare, ma l’intero regno di Kublai Kan, la stanza del tesoro a cui tornare per trovare sempre nuove meraviglie, per farmi sempre nuovamente incantare: eleganza e leggerezza, fantasia e realtà, l’adolescenza coi suoi pensosi stupori, la maturità con la sua sorridente e consapevole ironia, il gioco talvolta astratto, talatra divertito dell’intelligenza. La realtà raccontata come fiaba o la fiaba usata per capire la realtà.
Le città invisibili come prima scoperta e poi il piacere di proporle e condividerle anche coi ragazzi: ai quali si poteva leggere di Leonia e della continuità tra la passione per gli oggetti nuovi fiammanti, per i rituali “igienici” del consumismo, e la crescita iperbolica, fantastica e realissima, degli immondezzai ai margini delle città, senza timore di banalizzare il tema, anzi con la fiducia di poterne fare uno stimolo per una riflessione più ampia sulla contraddittorietà dei nostri stili di vita. Ho tenuto invece per me l’incanto delle storie che hanno i ragazzi per protagonisti, non tanto quando si trovano coinvolti come Pin nella grande avventura della guerra partigiana, quanto più semplicemente quando si avventurano su un sentiero nuovo e si ritrovano ad osservare la vita degli altri al di qua di un cancello: perché solo da adulti si può guardare con tanta stupenda nitidezza a certi momenti della prima adolescenza, quando sembra che la vita ti stia rivelando qualcuno dei suoi misteri. E quanto vorrei aver avuto da ragazzina la determinazione di Cosimo di Rondò nel rifiutare l’ennesimo piatto di lumache fuggendo sugli alberi e costruendosi in piena autonomia la vita che voleva! Ma forse a modo mio l’ho fatto, le lumache le ho sempre odiate anch’io e per quanto troppo spesso da qualche pero sia cascata, ho preferito frequentare sentieri che mi permettessero di osservarlo un po’ dall’alto e dall’esterno, questo mondo.
Di tante stagioni del mio inesauribile e inesaurito rapporto con Calvino (sempre scopro fra i suoi scritti qualcosa di ancora nuovo per me…), la più recente è quella del divertimento condiviso con altri lettori attraverso la lettura ad alta voce: abbiamo riso insieme tutta una sera in libreria sia con quel poco noto racconto sulla vita di fabbrica che è La gallina di reparto, in cui Calvino mette in scena con meravigliosa ironia il ridicolo della fordizzazione calata in un mondo ancora contadino, sia con la più surreale scena d’amore della letteratura mondiale, quella tra Agilulfo, cavaliere inesistente, lucente armatura vuota, energia senza corpo, e la dama Priscilla. La cui conclusione è che mai Priscilla dimenticherà quella notte di irresistibile seduzione tutta fatta solo di sapienti parole e di romantiche fantasie, di gesti delicati e di incanti condivisi, mentre le damigelle inseguite e afferrate dallo scudiero Gurdulù non ricordano più nulla di una notte passata a fingere di sfuggirgli per rotolarsi poi fuggevolmente con lui in ogni angolo del castello, e invidiano invece tanto quel “paradiso” che l’illusione della parola e dell’intelligenza ha saputo regalare alla loro fortunata castellana.