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Il nostro Massimo Pirotta ha seguito a Sanremo l'edizione 2015 della rassegna dedicata alla musica d'autore italiana

 

E non è tanto quello dell’acqua del mare, ma il sale in zucca degli organizzatori, che hanno saputo offrire ai convenuti una rassegna con più sapori. Già dagli artisti che hanno passato le selezioni nelle varie categorie, si poteva intuire che qualcosa di eclatante era nell’aria. Accantonata la figura del menestrello solitario, un pizzico edonista e agrodolce, è stata l’edizione della musica “di gruppo” e meraviglia: addirittura due orchestre sul palco. Cambiano i tempi, cambia il modo di proporre e fruire musica e il Club Tenco, rimanendo fedele alle sue origini (poco importa disquisire se è o non è più l’anti-festival di Sanremo), ha saputo raccogliere le migliori realtà in circolazione ed unirle in una tre giorni scalpitante, briosa e ricca di punti di (ri)partenza e a divenire. Cosa bella: il Club Tenco ha finalmente una sede.  È vicino al lungomare ed occupa alcuni locali nell’ex-stazione ferroviaria. E se la rassegna è un accorato e collettivo omaggio a Francesco Guccini (ex-cantautore, perché non vuole più cantare, ma ha dato alla musica italiana tutta la genuinità e la qualità che le è sempre servita, e che si è cambiato mestiere, scrittore-romanziere, “rigattiere” su carta delle cose perdute (e già c’erano state le osterie di fuori porta), tutto calza a pennello con quella canzone-manifesto che è “La locomotiva”. Stilizzata e scenografica sul palco e che pare priva di fermate. Ma alla quale è sempre piaciuto fare tappa qui.

Il suo autore, circondato d’affetto e da stima. Carismatico, sornione, ironico e che qui gioca qui i suoi tempi supplementari. Guccini che firma autografi ed è sempre attorniato da persone con le quali parla, discute, risponde ininterrottamente. Lo intravedi seduto nella sua casa dentro la casa (l’Infermeria dove ti curano con il vino rosso o bianco) o in prima fila al Teatro Ariston. Attento, partecipe, e sotto sotto anche un pò imbarazzato da così tanta bella atmosfera. C ‘è la folla delle grandi occasioni, c’è il sold-out della serata conclusiva e un altrettanto esaltante set a fine manifestazione. Ad eseguirlo sono i suoi Musici. Coriacei, olfattivi, altamente comunicativi, con tutti i punti e le virgole al posto giusto. E quando hai a che fare con Vince Tempera, Jimmy Villotti, Antonio Marangolo, il “capo cordata” Flaco Biondini e compagnia bella, non può che essere così. E se alla mattina, nella capiente nuova sede, si assiste a conferenze stampa informali e non noiose, nei pomeriggi hai a che fare con visioni, sempre in quei locali più per la lunga che per la larga. Il docu-film-intervista “Guccini racconta Francesco” di Fausto Pellegrini, “Dovevo fare del cinema”, un montaggio dei vari film in cui Guccini ha recitato e raccolto, montato, distribuito per l’occasione da Tommaso Bertoncelli.  Nel tardo pomeriggio gli spettacoli nella parte vecchia della città e subito dopo tutti dentro quel contenitore che è il Teatro Ariston. Acustica amica, ma visto dall’esterno, con quelle vetrate demodè  all’ingresso, ti confonde un po’: sala parrocchiale oppure dove hanno gareggiato anche  gli Yardbirds, Louis Armstrong, Wilson Pickett? In ogni caso duemila400 posti (così mi hanno detto).

Quando si apre il sipario risuona ancor più ipertestuale “Auschwitz” eseguita da Vittorio De Scalzi, in trio con Mauro Pagani e Edmondo Romano. E sarà stata anche l’aria bonaria quanto lo sguardo risoluto del “festeggiato”, che tutti gli artisti hanno fatto bene. Chi in modo più che discreto, chi in modo eccelso. Tra brani propri e riletture (in alcuni casi, nuova linfa all’originale). Momenti clou: l’intero set di John De Leo, con quella “voce un po’ così”…. (uno strumento vero e proprio, capace di cambiare timbrica in pochi secondi e sullo stesso pezzo, “tenorile”, “stratosiana”, c’è il suo equilibrio ad alta quota nel ripescare  “Il pensionato”) ed è accompagnato da un ensemble dai suoni sopraffini. Cristina Donà, disinvolta ed affiancata da un Saverio Lanza riempitivo (non a caso, ma dentro le trame). Carmen Consoli, energia rock e al femminile: con Lei una bassista e una batterista… rosa shocking. Bobo Rondelli, profondo nella dedica di una canzone alla madre e che con l’ukulele rende ancora più grintosa “L’avvelenata”. Cesare Basile, la Sicilia multietnica, mandorle e blues, sudata e notturna (nella sua band ci sono pure Lilith e Rodrigo D’Erasmo).

Vanessa Tagliabue York, una voce che è gesto liberatorio accompagnata dall’Orchestra Sinfonica di Sanremo (vale la pena recuperarsi “Contradanza”, il suo nuovo cd in cui hanno collaborato, tra gli altri, Mauro Ottolini, Paolo Tomelleri e Vincenzo Vasi).  Bocephus King, rocker scalzo e sempre sorridente, freak pure quando entra in un“Autogrill” (questa la sua cover in inglese). E a proposito di riletture, va menzionato Mauro Ermanno Giovanardi in preda ad una vera e propria genialata. Linguaggio intrinseco tra “Je t’aime…” di Gainsbourg e “Dio è morto”. “Il mio stile”, giudicato dalla giuria nazionale come migliore album in assoluto dell’anno. Il suo stile, tra un caffè a Paris St.Germain e una “fu censura” che si espanse a macchia d’olio. E poi: La Scapigliatura, Tètes de Bois, Pacifico, Armando Corsi, Jacqui McShee (Pentangle), Appino, Orchestra Nazionale dei Giovani Talenti del Jazz diretta da Paolo Damiani, Roberto Vecchioni, Pacifico, Giovanni Truppi. Più gusti, più baci e i gusti sono gusti. Samuele Bersani che non ha potuto esibirsi causa una brutta laringite, Vinicio Capossela che invia un affettuoso messaggio, Leonardo Pieraccioni (punto di domanda facoltativo, non ha rotto le scatole più di tanto e suvvia, qui perché fan e amico del Maestrone). Quindi il dopo-Tenco, dove si cena, tutto il vero viene a galla e le jam-session si susseguono. Bocephus King detta legge con alcuni classici rock’n’roll. Sul palchetto del piano superiore, salgono con lui Mauro Pagani, Bobo Rondelli, Vanessa Tagliabue York ed altri. Si balla, e si balla pure “Billie Jean” di Michael Jackson. Il Tenco si scopre eterodosso e non ortodosso e bacchettone. Un altro giorno è andato. E’ l’alba. Nella mano destra una copia de “Il Cantautore” e in quella sinistra una bottiglia di vino, etichettata “Tenco 2015/Guccini & Bardolino” e griffata da Sergio Staino. Nella testa, tutti i linguaggi musicali indispensabili.