Gian Luigi Rondi, nel libro Tutto il cinema in 100 (e più) lettere, apre il suo "scrigno segreto":
il cinema italiano si racconta attraverso le lettere dei suoi protagonisti
Io
Era un’attesa, una delle condizioni migliori della vita, che aveva un grandissimo fascino. Ora, nel presentismo assoluto nel quale viviamo, in cui tutto è contemporaneo, (…) tutto viene consumato molto rapidamente e sarà difficile tra 100 anni pubblicare un libro, se ci saranno i libri, con qualcosa di analogo perché tutto ormai è online.
Così Walter Veltroni presenta il volume di Gian Luigi Rondi Tutto il cinema in 100 (e più) lettere durante la decima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Non un carteggio ma solo lettere ricevute da Gian Luigi Rondi negli anni, archiviate con cura e ora donate al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lettere che Rondi leggeva «come se arrivassero da parenti, da persone che io avevo apprezzato e amato», perché «avendoli anche conosciuti mi sono legato a loro profondamente e ho sempre sentito quello che rappresentavano per me, ossia dei membri della mia famiglia».
Una famiglia, in cui il legame affettivo con i registi, gli sceneggiatori, gli attori che ne hanno fatto parte non gli ha comunque mai impedito di essere fedele al suo pensiero quando doveva dare giudizi critici negativi. Nello scegliere il materiale da pubblicare, Rondi non ha selezionato lettere volutamente autocelebrative ma ha inserito, accanto ad inevitabili messaggi di ringraziamento, ammirazione e affetto, molte testimonianze in cui emerge in tutta la sua forza la diversità di vedute, quando non si tratta addirittura di scontro aperto. Ma anche laddove leggiamo del risentimento, non manca mai la profonda stima reciproca che sta alla base dei rapporti di Gian Luigi con questi suoi “familiari”.
Un libro da guardare, oltre che da leggere, perché contiene le grafie dei protagonisti del tempo, sulle carte più diverse. Foto, cartoline, carte intestate degli hotel o dei personaggi, persino la carta di Villa Ponti con il disegno della villa seicentesca regalata da Carlo Ponti a Sophia Loren per il loro matrimonio.
Lettera di Sophia Loren
La maggior parte delle lettere è scritta a mano, poche sono quelle scritte a macchina. Tra queste ultime le lettere di Michelangelo Antonioni che, ci fa sapere Rondi nell’introduzione alle missive del regista, utilizza la macchina da scrivere solo quando è arrabbiato. Il movente? L’elzeviro Cinema chiaro, cinema oscuro, scritto dal critico inserendosi nella polemica suscitata da Pietro Germi con la sua distinzione tra film “chiari” (che riscuotevano il largo consenso del pubblico) e film “oscuri”. Poco importa che Rondi, schierandosi più a favore dei film “chiari”, abbia comunque fatto di tutto per non citare l’amico regista tra gli autori di un certo cinema oscuro. La replica di Antonioni è sanguigna e stupisce la veemenza con la quale il regista dell’incomunicabilità e dell’“oscurità” sia invece così comunicativo e chiaro nel manifestare le proprie opinioni.
«Ma tu credi davvero che Germi (il quale farebbe bene a stare zitto, lui che di film noiosi ne ha fatti tanti) abbia ragione quando pretende di far coincidere arte e divertimento, cioè non-noia? Ma dove diavolo è andato a prendere un simile criterio estetico? Di lui non mi meraviglio, di te sì. (...) nelle sue manifestazioni migliori il cinema ha diritto ad essere quello che intende essere: una cosa sola importa, che sia esteticamente bello. Talvolta il bello è anche spettacolare, ma non necessariamente. Sono cose così ovvie che mi vergogno quasi di scriverle. Io credo proprio che articoli come il tuo siano dannosi al cinema, perché sviano il pubblico».
Estratto di una lettera e foto di Michelangelo Antonioni
Gian Luigi Rondi costruisce il suo libro introducendo sempre le lettere con la contestualizzazione del momento in cui sono state ricevute. Il lettore può così entrare nel vivo della storia e conoscere la generazione di cineasti e intellettuali che hanno animato il dibattito culturale dal dopoguerra agli anni Settanta e oltre, attraverso un insolito punto di vista.
Con un libro del genere si può addirittura giocare. Ad esempio cercando di indovinare a chi appartengano le grafie, alcune più dritte, altre più storte, alcune con un tratto marcato, altre ancora quasi timide. Alcune su fogli fitti, riempiti interamente, altre che invece lasciano respirare la pagina come ad esempio quelle di Federico Fellini, Vittorio De Sica, Ermanno Olmi e Monica Vitti. Oppure ci si può divertire andando alla riscoperta di film magari dimenticati o alla scoperta di film non visti. Si può vagare tra personaggi, aneddoti, retroscena, con tutto l’entusiasmo che la rivelazione porta con sé.
Curiosa è la differenza grafica e stilistica tra le due eterne rivali, Gina Lollobrigida e Sofia Loren, l’una che non riesce a seguire la linea orizzontale della pagina con la sua grafia quasi adolescenziale, l’altra più sicura, ordinata, scrive con un pennarello nero o una penna dal tratto deciso. Entrambe grate e affettuose nei confronti dell’amico.
Stupisce la timidezza che traspare dalle parole di Anna Magnani che, a dispetto della forza e veemenza dei suoi personaggi, si sottrae all’invito di Rondi a partecipare ad una trasmissione televisiva per parlare di Clarke Gable, non avendolo conosciuto di persona: «A me sembra che di Gable attore tutti hanno avuto modo di vedere e amare la sua grande personalità e il suo fascino. Mentre è come essere umano che bisogna raccontarlo e questo non posso farlo io».
Lettere con insolite impaginature e rientri a capo sono quelle di Pupi Avati e Roberto Benigni, pagine piene di correzioni sono quelle di Franco Brusati, Gian Luigi Calderone e Cesare Zavattini.
O ancora, spiritose cartoline mandate da Alberto Sordi, nelle lingue dei paesi dai quali venivano inviate; un biglietto di Pier Paolo Pasolini, che confessa di non esser solito scrivere né rispondere ai biglietti di auguri ma di voler fare un’eccezione per Rondi: «Ho qui davanti un mucchio di biglietti, per la maggior parte idioti, è vero: ma ce n’è anche di deliziosi. E non rispondo. Rispondo invece a lei...».
Foto e biglietto di Pier Paolo Pasolini
La scelta di alcune lettere testimonia in modo particolare la sensibilità di Rondi e dei personaggi che le hanno inviate. È il caso dello sfogo di Gina Lollobrigida, imbrigliata per dieci anni in processi e appuntamenti con avvocati a causa di calunnie e false testimonianze sulla sua vita e il suo lavoro. Oppure delle storie di Francesca Bertini ed Isa Miranda, delle quali Rondi pubblica tutte le lettere ricevute. Seguite dal critico fino alla loro morte, le due dive del passato sono scomparse nella miseria più assoluta, senza poter beneficiare di alcuna assistenza, né della legge Bacchelli per il sostegno dei cittadini illustri che ancora non era stata promulgata.
Foto con dedica di Gina Lollobrigida
Una biografia epistolare di Gian Luigi Rondi o meglio, come si legge in una delle lettere di Pupi Avati, «un epistolario anomalo, fatto di film da una parte e da recensioni dall’altra, che deve continuare ancora per anni e anni, per essere documento di come un critico sensibile possa e debba assistere e favorire attraverso i suoi scritti la maturazione di un autore, fin dai suoi primi balbettamenti».
Sapere che questo libro è il primo volume dedicato al cinema italiano, suscita inevitabilmente il desiderio di poterne sfogliare altri.
La raccolta di lettere scritte a mano, testimoni di un tempo passato, fa rivivere nel libro di Rondi un affascinante ritratto del cinema che racconta se stesso, in tutta la sua carne.
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