Quando il Mississipi era burning. La setta segreta più sanguinaria della storia degli Stati Uniti in un libro di Franco Nencini
Forse non ci crederete, ma cominciò tutto con uno scherzo.
Estate 1866. Pulaski era una cittadina al confine tra Tennessee e Alabama, nel profondo sud appena uscito sconfitto dalla Guerra di Secessione. Sei cavalieri mascherati si presentarono davanti a una casupola di un nero, un ex schiavo emancipato. Uno dei cavalieri allungò la propria mano per stringere la mano alla moglie del nero, ma da sotto il mantello invece di una mano spuntò lo scheletro di una mano. Subito dopo comparvero spade confederate. La situazione sembrava volgere al peggio, ma alla fine i due neri se la cavarono solo con tanto spavento.
Questa è la prima azione attribuita al famigerato Ku Klux Klan, una setta segreta fondata alla fine del 1865 da ex combattenti della causa sudista, a cui è dedicato l’interessante saggio che vi propongo: Storia del Ku Klux Klan, a cura di Franco Nencini.
Le caratteristiche del Ku Klux Klan (il nome deriva dalla storpiatura di una parola greca che vuol dire circolo) furono fin da subito l’estrema segretezza, una gerarchia evocativa fatta di cariche dai nomi affascinanti – Gran Turco, Grande Scacchiere, Gran Mago, Gran Ciclope –, una serie di rituali di iniziazione grotteschi e uno spirito goliardico. Quest’ultimo aspetto andò però smarrito nel giro di pochi mesi.
Il Ku Klux Klan degli inizi non aveva una struttura gerarchica ben organizzata, ma si diffuse rapidamente e a macchia d’olio nel sud come una federazione informale di Klan autonomi che condividevano gli stessi ideali, che erano poi gli ideali della Confederazione sconfitta, interpretandoli però ciascuno a modo suo.
Il Klan di Pulaski in questo senso perse subito il ruolo di guida, e gli scheletri lasciarono quindi ben presto spazio ai fucili. Nel sud sconfitto e umiliato, alcuni Klan trovarono infatti il terreno adatto per dare il via a un’insurrezione tanto disorganizzata quanto violenta, una sorta di continuazione della guerra appena persa. Un’insurrezione che nel solo scorcio finale del 1866 provocò oltre cento morti.
Il contesto in cui il Ku Klux Klan nacque e si diffuse fu quello di un’enorme quanto forzata riforma economica e sociale dovuta all’abolizione della schiavitù. Una riforma che oggettivamente stravolgeva le tradizioni economiche e sociali del vecchio sud. Contemporaneamente i nordisti compivano continue rappresaglie nei confronti degli ex appartenenti all’esercito confederato e dei suoi simpatizzanti (si tenga inoltre sempre presente che gran parte dei cittadini del profondo sud statunitense era stata privata del diritto di voto).
Gli aderenti al Ku Klux Klan vennero dunque visti dai bianchi sudisti come i difensori delle tradizioni e di un mondo minacciato dai neri (c’era il timore di una loro imminente rivolta) e attaccato dai nordisti.
Nel 1867 fu promossa a Nashville una riunione di tutti i Klan, che qualcuno già cominciava a vedere come una forza paramilitare. Il Ku Klux Klan in quell’occasione si diede uno statuto secondo cui avrebbe dovuto proteggere i deboli, gli oppressi e gli innocenti. Ovviamente a nessuno dei delegati passò per la testa che un debole, un oppresso o un innocente potesse essere un nero. Grande importanza venne di nuovo attribuita alle liturgie e alla segretezza dell’organizzazione. L’ex generale confederato Nathan Bedfor Forrest fu nominato capo di tutti i Klan.
La reazione del governo di Washington non si fece attendere. A partire dal 1868, con l’intervento di truppe federali e attraverso decine di migliaia di arresti, l’insurrezione strisciante del sud fu duramente repressa e il Ku Klux Klan, dopo numerose battute d’arresto, nel 1873 fu costretto allo scioglimento.
Va riconosciuto però che la sconfitta militare del Ku Klux Klan fu favorita anche dal fatto che pian piano ai neri del sud vennero revocati i diritti conquistati con la Guerra di Secessione (in diverse contee i neri furono per esempio privati del diritto di voto). Detto in altri termini, la sconfitta del Ku Klux Klan fu dovuta anche al fatto che i cittadini bianchi del sud apprezzarono il nuovo corso del governo centrale che di fatto riconosceva come legittima se non la proprio la schiavitù, quantomeno la segregazione razziale.
Nel 1915 il Ku Klux Klan rinacque, anche se sotto forma di farsa.
William Simmons, un venditore di giarrettiere fallito, dopo essere stato respinto da una quindicina di associazioni segrete, decise di aprirne infatti una tutta sua, e trovò che la soluzione più semplice fosse quella di resuscitare il vecchio Klan morto nel 1873
Come era successo la prima volta, anche questa volta le cose presero subito una piega violenta.
Nel 1918 infatti alcuni membri del Ku Klux Klan rapirono un sindacalista, mentre altri membri si autoproclamarono “giustizieri della notte” e si diedero alla caccia di ladri e vagabondi.
Ricominciarono dunque gli omicidi, anche se molti di meno rispetto a cinquanta anni prima.
A quel punto accadde l’incredibile. Si avvicinano al Ku Klux Klan anche due esperti di marketing, Clarke e Tyler, che capirono che il prodotto poteva rivelarsi un ottimo affare e su di esso applicano tecniche pubblicitarie all’avanguardia diventando milionari. Gli iscritti nel 1921 toccarono infatti quota centomila, che divennero due milioni nel 1923.
La caratteristica di questo nuovo Ku Klux Klan fu che esso era un’organizzazione legalmente riconosciuta e che doveva quindi pagare le tasse. Fu questo aspetto a decretarne la fine, poiché a partire dagli anni Trenta il “secondo” Klan crollò proprio sotto il peso di reati finanziari e scandali di tutti i tipi, fino a dichiarare bancarotta nel 1944.
Il Ku Klux Klan però rinacque ancora una volta, la terza, e questa volta non come organizzazione, ma come movimento terroristico clandestino.
La data di inizio del terzo Ku Klux Klan fu il 1954, quando la Corte Suprema degli Stati Uniti abolì la segregazione razziale nelle scuole pubbliche (come abbiamo visto, l’introduzione della segregazione razziale era stata utilizzata dal governo federale per sedare gli animi surriscaldati nel profondo sud subito dopo la guerra civile).
Da allora in poi il Ku Klux Klan fece sentire la propria voce compiendo diverse azioni terroristiche. L’arma preferita? La dinamite.
Il “Terzo” Klan, quello degli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, è forse quello che ci è più familiare, anche per via di tutti i film che gli sono stati dedicati. Le sue azioni? Linciaggi di neri, bombe nelle chiese e omicidi degli attivisti dei diritti civili (in questo senso non dobbiamo ricordare solo l’omicidio dei tre attivisti per i diritti civili che poi ispirò il film Mississippi Burning, ma anche quello dell’attivista italoamericana Viola Liuzzo il 25 marzo 1965).
Le violenze continuarono anche negli anni Settanta. L’ultima azione eclatante fu compiuta nel 1979, quando il Ku Klux Klan uccise cinque sostenitori del Partito Comunista Americano.
A partire dagli anni Ottanta l’azione del Ku Klux Klan perse però vigore, un po’ per via del fatto che cominciarono a uscire di scena gli attivisti duri e puri degli anni Cinquanta e un po’ per via dell’enorme frammentazione del panorama della destra paramilitare americana.
Se questa a grandi linee è la storia del Ku Klux Klan, permettetemi di esprimere qualche considerazione sul saggio in sé e per sé.
La casa editrice Odoya da qualche anno a questa parte persegue una coraggiosa strategia editoriale che ha visto la pubblicazione di innumerevoli testi che hanno titoli che cominciano sempre con le stesse parole – La storia di… – e che si occupano delle più svariate “storie”: Storia della Coca Cola, Storia dei licantropi, Storia del sesso, Storia dell’ingegneria, Storia dei pistoleri, Storia del fumo, Storia delle SS, Storia del bacio, Storia della masturbazione, Storia della tortura e via dicendo.
Tale scelta ha portato in libreria una serie di saggi sfiziosi – di argomento, diciamo così, underground – che difficilmente avrebbero trovato spazio, per fare un esempio, nella paludata Laterza. Si tratta quindi di un aspetto positivo che arricchisce le possibilità di conoscenza di tutti.
Un giudizio equilibrato però non deve nemmeno trascurare altri fatti.
Innanzitutto, per una serie di ragioni (legate presumibilmente al costo delle traduzioni e al costo dell’acquisto di saggi appena usciti), Odoya si è dovuta spesso orientare su saggi vecchi, talvolta vecchissimi – per esempio il testo sulla storia dei fuorilegge americani è del 1942 – che sono già stati pubblicati in passato da altre case editrici. Intendiamoci, anche questo non sempre è un male, perché anche rimettere in circolazione vecchi libri, magari esauriti da decenni e ormai non più presenti nelle biblioteche pubbliche, può contribuire ad arricchire il dibattito culturale.
Inoltre poi, quando Odoya ha dovuto provvedere al confezionamento di saggi ex novo, i risultati non sempre sono stati all’altezza delle aspettative. Per esempio il testo sulla storia dei licantropi, argomento interessante, non elabora con correttezza scientifica le fonti, e il saggio che ne è venuto fuori è un po’ raffazzonato.
La nostra Storia del Ku Klux Klan che vi propongo ha un po’ entrambi questi difetti.
La casa editrice Odoya ha infatti messo uno dietro l’altro un testo divulgativo di 130 pagine pubblicato dalla Arnoldo Mondadori Editore nel 1973 (rivisto per l’occasione) e un romanzo d’inchiesta scritto nel 1954 da Stetson Kennedy e intitolato Sono stato nel Ku Klux Klan. Il tutto accompagnato da due brevi saggi di Alessandro Portelli e di Valerio Evangelisti.
Ne è venuto fuori un saggio non molto armonico, ma che vi consiglio comunque di leggere. E le ragioni sono almeno due.
Innanzitutto 130 pagine circa di saggio divulgativo sulla storia del Ku Klux Klan sono meglio delle tre paginette che offre Wikipedia, anche tenendo presente che sul tema non c’è molta letteratura specifica tradotta in italiano.
In secondo luogo, il romanzo di inchiesta di Stetson Kennedy, un libro che all’epoca fece scalpore, conferma la tesi più importante espressa nel saggio, e cioè che anche un’organizzazione basata sulla ciarlataneria, sulla corruzione e su grotteschi riti, se trova un terreno fertile, può proliferare e portare a conseguenze nefaste.
E ciò dovrebbe farci ricordare che anche il Partito Nazista venne fondato in una birreria in un clima di umiliazione generale simile a quello patito dai Confederati subito dopo la Guerra di Secessione; che anche il Partito Nazista aveva liturgie strane; che molti dei suoi primi simpatizzanti venivano dalle fila dell’esercito appena sconfitto; che anche il Partito Nazista si era creato nemici immaginari e che uno dei primi punti del suo programma politico si poneva come grottesco obiettivo “la pentola piena e il lavoro ben fatto”.
Insomma, tutte queste similitudini dovrebbero farci riflettere sul fatto che le cose possono volgere dalla commedia alla tragedia nel giro di poco tempo.
Ac. d. Franco Nencini, Storia del Ku Klux Klan, Odoya, 2010, 334 pp., 20,00 euro