Il 12 dicembre al Binario 7 porte aperte gratis per “Dell’amore e di altri demoni” di Gabriel García Márquez con la Regia e l'interpretazione di Accordino. Facciamo il punto sulla prima parte della stagione del teatro monzese.
Si chiuderà con “Dell’amore e di altri demoni” la prima parte della stagione, quella autunnale, del Teatro Binario 7. Sabato 12 dicembre si potrà assistere gratis al lavoro diretto e interpretato dal direttore, Corrado Accordino, tratto e dedicato allo stesso tempo a Gabriel García Márquez «Metterlo in scena è una follia. Perché una follia? Perché la sua scrittura è potente, magica, evocativa ed è potente in quanto parola scritta: parola che apre, che sfonda l'immaginario, che trasforma la percezione del reale. — leggiamo nelle note di regia — Perché una parola che sposta il limite tra poesia e fantasia difficilmente troverà una dimensione nella scatola nera del teatro? Perché tutte le riduzioni cinematografiche che ho visto non sono mai state all'altezza della forza della sua scrittura.»
A precedere in calendario sono stati tre lavori profondamente diversi. A metà ottobre, l’apertura postmoderna con la Compagnia del sole e “Orlando pazzo per amore” ha visto mettere insieme di tutto, dal dialetto barese stretto alla Commedia dell’arte, da Monteverdi ai Beatles. Un turbinio vertiginoso di maschere, suoni e voci, intrattenimento divertente e sano.
Anche la seconda data è stata una produzione Made in Puglia e doppiamente. Perché “Io provo a volare” è un omaggio a Domenico Modugno — nato a Polignano a Mare — e perché il mattatore assoluto, Gianfranco Berardi, è nato e cresciuto nella provincia tarantina. Il richiamo alla vita del meraviglioso Modugno è un pretesto. Il vero protagonista è il lavoro teatrale, artistico: in balia dei colpi di fortuna, degli approfittatori; precario da molto prima che questa parola divenisse così familiare. Anche qui, e per forza di cose, c’è stata tanta musica e tanta commedia dell’arte. Berardi è stato strabordante, anche quando — dopo lo spettacolo — si è concesso generosamente alle tantissime domande del pubblico, dando vita ad un secondo atto in cui, ancor più che nel primo, la sovrapposizione biografica è stata totale. Le speranze, le difficoltà, il coraggio, la famiglia, il Sud, gli allontanamenti e i ritorni. Temi che non tramontano mai perché c’è sempre un treno che dal tacco punta al nord dell’Italia, con a bordo la valigia di cartone dei braccianti in cerca del pane o quella dell’attore in cerca di palcoscenici più ampi.
La terza data è stata un ritorno. Mario Perrotta aveva già assaggiato le tavole del Binario 7 alcuni anni fa, quando portò il suo “Italiani cincali”, lo spettacolo sugli emigranti degli anni Sessanta. Stavolta in “Un bés” ha dato corpo a Antonio Ligabue, il pittore outsider, a cui decenni fa aveva prestato il volto uno straordinario Flavio Bucci, in uno di quegli sceneggiati televisivi entrati nella memoria collettiva italiana. Un progetto più che un singolo spettacolo, quello intorno all’artista emarginato, che sta portando molti riconoscimenti all’attore e regista «Indagare Ligabue significa indagare il rapporto di una comunità con lo “scemo del paese”, da tutti temuto e tenuto a margine, ma significa anche accettare lo spostamento che provoca una nuova visione delle cose, una visione "folle", che mette a rischio gli equilibri di chi osserva, costringendolo a porsi la classica domanda: chi è il pazzo?». In “Un bés” il registro è stato assai diverso da quello dei primi due spettacoli del Binario 7. Qui è stato il disagio il protagonista. Il freak Ligabue, respinto in quanto malato di mente ma ambìto in quanto artista. Un campo di ricerca quanto mai fertile, quello della relazione del disagio psichico con l’arte, che proprio a teatro sembra dare i maggiori stimoli (giusto per non andare troppo lontano, basterà citare il progetto Case matte di Teatro Periferico).
Come detto sarà l’accoppiata Accordino-Márquez a chiudere questa prima parte di stagione. Poi ci saranno le feste di fine anno e a gennaio arriverà Il Teatro della tosse, con “La lezione” di Ionesco con la regia di Valerio Binasco.
Mentre in altri ambiti artistici si soffre la perdita di ricerca della verità, ci si ripiega su se stessi o ci si vende anima e corpo all’intrattenimento, la nostra opinabilissima idea è che proprio a teatro, in questi anni, si trovi con maggiore frequenza il senso del fare arte. Andateci più spesso che potete e raccontatecelo.