Un'intervista a Raùl Zecca Castel che documenta come l'inferno esista, ed è su questa terra...
Da pochissimi giorni, per le Edizioni Arcoiris, è stato pubblicato il libro “Come schiavi in libertà”, di Raùl Zecca Castel, filosofo, antropologo e documentarista monzese (ma rivendica con orgoglio anche le sue origini catalane...). Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e rivolgergli alcune domande sul suo lavoro fresco di stampa.
Il tuo libro è un saggio antropologico molto approfondito e documentato sui braccianti delle piantagioni di canna da zucchero della Repubblica Dominicana. Ce ne vuoi parlare?
Effettivamente questo libro è il risultato di una lunga ricerca sul campo che ho condotto nella Repubblica Dominicana. Per circa quattro mesi mi sono trasferito in quella che è comunemente nota come una delle mete turistiche più ambite, un'isola caraibica dominata da una natura meravigliosa, che tuttavia cela al suo interno anche una drammatica realtà. Una realtà che ho cercato di indagare a fondo, immergendomi nella vita quotidiana delle persone, conquistandone la fiducia e raccogliendone le dure testimonianze. In particolare la mia ricerca si è concentrata sulle condizioni di lavoro e più in generale di vita che contraddistinguono i tagliatori di canna da zucchero, un mestiere tra i più faticosi e pericolosi che esistano. Non è un caso infatti che la maggior parte dei braccianti sia di origine haitiana. Dico che non è un caso perché tutti sappiamo in che condizioni versa Haiti, dunque non sorprende il fatto che migliaia di haitiani emigrino da quel paese così sventurato per cercare migliori condizioni sull'altro lato dell'isola di Hispaniola.
Per svolgere la tua ricerca sei stato quattro mesi sul campo. Ci puoi spiegare meglio dove hai vissuto e come ti sei rapportato con le persone che hai intervistato?
Bisogna considerare che le piantagioni di canna da zucchero rappresentano distese infinite di terra che si perdono a vista d'occhio per decine e decine di chilometri, e le comunità dei lavoratori sono piccoli assembramenti di baracche spesso molto distanti gli uni dagli altri, ma soprattutto distanti dai centri urbani. Molte di queste comunità dunque non dispongono dei principali servizi di base come l'energia elettrica, l'acqua corrente, ospedali, scuole... La comunità nella quale ho trovato ospitalità, di nome Las Pajas, era piuttosto popolata e per fortuna, anche se a fasi alterne, c'erano corrente e acqua, tuttavia la città più vicina distava a più di mezz'ora di sterrata. Ho vissuto presso una famiglia locale che in qualche modo mi ha tutelato nella mia sicurezza e mi ha aiutato nei primi approcci con i lavoratori... A questo proposito inizialmente non è stato facile instaurare rapporti. I braccianti erano molto reticenti e temevano fossi lì per acquistare una piantagione o uno stabilimento per la produzione di zucchero, ma col tempo sono riuscito a guadagnarmi la loro fiducia e anche la loro amicizia, così tutto è è andato per il meglio...
Che cosa hai potuto vedere in quei luoghi e che cosa ti hanno raccontato i lavoratori?
La situazione nelle piantagioni di canna da zucchero è davvero drammatica. I braccianti lavorano ininterrottamente per 10-12 ore al giorno in condizioni durissime, sotto un sole impietoso, e lo fanno senza le minime protezioni antinfortunistiche. In molti si feriscono con il machete o addirittura svengono per il caldo. Lavorano da mattina a sera e non guadagnano abbastanza per permettersi due pasti al giorno. Mangiano un piatto di riso con fagioli e spesso finiscono addirittura per indebitarsi perché vengono pagati a cottimo, dunque se per qualsiasi motivo un giorno non lavorano, non ricevono alcunché. Trascorrono così l'intera esistenza, consumandosi giorno dopo giorno, e quando non sono più in forze per lavorare restano senza nulla, potendo contare solo sull'aiuto di eventuali figli o degli amici più giovani che condividono solidaristicamente il poco cibo con loro. Le testimonianze che ho potuto raccogliere hanno tutte un comune denominatore rappresentato dalla povertà estrema e dallo sfruttamento.
Nel tuo libro indichi chiaramente quelli che a tuo avviso sono i responsabili di questa situazione. Puoi spiegarlo anche ai nostri lettori?
Questa situazione non è un fatto nuovo. Esiste da decine di anni e le responsabilità sono molteplici. Esiste indubbiamente una responsabilità statale, del governo dominicano, poiché conosce perfettamente ciò che accade tra le piantagioni di canna e come viene prodotto lo zucchero nazionale, ma la responsabilità principale ovviamente è nella mani delle grandi imprese che gestiscono le piantagioni e tutto il processo di produzione dello zucchero. In particolare a spartirsi questo grande affare sono tre famiglie che detengono ingenti interessi in molti settori della vita economica e anche politica del Paese: la famiglia Vicini (di origini italiane), la famiglia Campollo (guatemalteca) e la famiglia Fanjul (di origini cubane). Sono famiglie che nella Repubblica Dominicana fanno il bello e il cattivo tempo e che non si fanno scrupoli con i lavoratori delle piantagioni, soprattutto perché sanno che anche per lo Stato dominicano non godono di molti diritti, dato che la maggior parte dei braccianti haitiani non è in regola con i documenti.
Tuttavia nel libro citi quello che può essere considerato uno scontro diplomatico tra il governo dominicano e quello statunitense proprio in ragione di tale situazione (complice anche il tuo lavoro)...
La verità purtroppo è che le cose non sono andate per il verso giusto. Effettivamente il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti aveva inviato una delegazione di ispettori per verificare se nelle piantagioni della Repubblica Dominicana si riscontrassero violazioni in materia di diritti del lavoro. Questo perché tra USA e RD vige un trattato di libero commercio (CAFTA-DR) che evidentemente implica il rispetto di alcuni diritti fondamentali. A seguito dell'ispezione e della consultazione di vario materiale documentaristico (tra cui alcune mie fotografie) nel settembre del 2013 il Dipartimento emise un rapporto molto critico in cui evidenziava forti violazioni ed esigeva che la Repubblica Dominicana risolvesse tale situazione al più presto, pena la rottura dei rapporti commerciali. Purtroppo a distanza di due anni posso confermare che la situazione nelle piantagioni non è affatto cambiata e tuttavia nessun provvedimento è stato preso da parte del governo statunitense, poiché a maggioranza il Congresso non ha ritenuto di dover procedere nella penalizzazione della Repubblica Dominicana. La verità è che gli interessi economici e politici coinvolti sono molto ghiotti e nessuno vuole rimetterci, tanto meno gli Stati Uniti, che rappresentano il principale importatore di zucchero dominicano.
Un'ultima domanda. Puoi spiegarci il senso del titolo che hai scelto per il tuo libro?
In realtà si tratta di un paragone che non ho inventato io, ma è un'immagine che trovo davvero efficace e rappresentativa della realtà che ho potuto constatare e per questo motivo l'ho scelta come titolo del libro. La frase me la ripeteva spesso un giovane bracciante per spiegarmi la tragedia della sua condizione, comune a quella di tutti i lavoratori delle piantagioni. Mi diceva che di fatto i braccianti erano liberi, nessuna catena li tratteneva, nessuna frusta li obbligava a tagliare canna da zucchero da mattina a sera, nessun guardiano impediva loro di scappare dalle piantagioni, eppure, allo stesso tempo, non potevano fare altro, non avevano alternative, ed erano dunque tutti schiavi di quel destino infame. Tutti erano “come schiavi in libertà”.
Non servono commenti. Questo libro è uno squarcio di luce nelle tenebre dell'ignoranza della nostra vita quotidiana.
Come schiavi in libertà
di Raùl Zecca Castel
Prefazione di Fabrizio Lorusso
Edizioni Arcoiris
Pagine 272
Euro 14