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Teatro. Molto più che il ritratto teatrale di Mark Rothko. Un omaggio ad un'arte protesa verso l'eternità, imbevuta di umanità. Se non riuscite a vederlo all'Elfo (fino al 28 ottobre) non perdetelo in primavera al Binario7 di Monza.

 

A

vvicinati. Ancora un po'. NO, così è troppo. Ecco così. Cosa vedi? Non mi rispondere. Cosa provi? Sst. Non dire niente. Lascia che agisca su di te. Lascialo pulsare. Fagli fare il suo lavoro. Però anche tu lavora con lui. “Rosso”, di John Logan, si apre così: con un'esortazione – inedita per i nostri tempi – alla contemplazione, alla lentezza, al silenzio, all'esattezza.

Sprofondato in una poltrona anni Cinquanta – è in effetti la primavera del 1958 – un uomo di mezza età osserva meditabondo un'ampia tela quadrata, dove una mano disomogenea di rosso (ma è proprio rosso?) lascia spazio solo a due rettangoli simmetrici color antracite.

È Markus Rothkowitz, meno ebraicamente noto come Mark Rothko, che ha da poco accettato di realizzare una serie di dipinti per il Four Seasons di New York, concepito per essere un vero e proprio luogo d'arte a un piano panoramico del Seagram Building.

È forse in virtù di questa danarosa commessa che l'artista decide di farsi affiancare da un assistente (Alejandro Bruni Ocaña, 22 anni, controllato, raffinato, ma concreto e autentico nella sua interpretazione di Ken). Tra il ragazzo e il suo capo – capo, non maestro, tiene a specificare sin dall'inizio Rothko – nel corso dei mesi che trascorrono insieme, otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana (una concezione artigiana e salubre di arte, mi vien da dire) si innesca la relazione che costituisce il vero asse narrativo dell'opera. Alcune semplici ma efficaci scelte registiche marcano le tappe evolutive di questo rapporto.

Quando lo incontriamo per la prima volta, Ken è rigido e dimesso e annuisce in continuazione a un Rohtko saccente ed egocentrico (anche un po' buffo, in realtà, nelle sue invettive iper-intellettualizzate e puntellate di parolacce). Ma già nella scena seconda dell'atto primo, l'abito della domenica è sostuito da jeans e sneakers imbrattate di colore (rosso, o quasi), in una mise pressoché identica a quella del maestro. La crescente armonia tra i due, intervallata da occasionali esplosioni autoritarie di Rothko, culmina nella pittura a quattro mani di una base di rosso (carminio), una vitale partitura fisica sulle note della musica di Mozart.

Tuttavia, man mano che i mesi con le scene trascorrono, Ken compone intimamente una visione nuova e lucida di Rothko. “Di una cosa sola al mondo io ho paura. Che un giorno il nero inghiotta il rosso” confessa l'artista. Ma non è descrittiva, semplicistica, banale, questa identificazione del nero con la morte, l'estinzione, la fine? E non è assurdo che dopo due anni non sappia nulla del suo collaboratore, se è fidanzato, se è gay, dove vive, che cosa dipinge? Perché disprezzare ferocemente questa generazione di artisti che fanno di tutto per raccontare il presente? E come definire se non ipocrita e venale la scelta di decorare quattro pareti di un ristorante da ricchi solo perché molto ricca è anche la paga? La volontà di affermazione di Ken, trattenuta per mesi, si manifesta in un lungo monologo, la cui carica critica, sincera e appassionata, riuscirà ad innescare una inattesa svolta nella psiche (solo apparentemente inamovibile) e nelle azioni (solo apparentemente strafottenti) di Mark Rothko.

La regia di Francesco Frongia asseconda piacevolmente la personalità cinematografica della drammaturgia di Logan, celebre in effetti per aver sceneggiato blockbuster hollywoodiani quali Il Gladiatore e The Aviator. Il copione è la risultante di ingranaggi esatti: ritmo impeccabile, impeccabile rottura dell'equilibro, impeccabile arriva anche il colpo di scena.

Grazie alla verità perseguita dagli attori – Ferdinando Bruni, pittore anche nella vita, incarna un ego umanissimo, insopportabile e amabile al tempo stesso – le lancette impiegano un attimo a compiere un giro e tre quarti.

 

Autore John Logan

Regia, scene e costumi Francesco Frongia
Traduzione Matteo Colombo
Con Ferdinando Bruni e Alejandro Bruni Ocaña
Luci Nando Frigerio
Sarta Ortensia Mazzei

assistenti alla regia Valeria Nucera, Matteo de Mojana

Una produzione Teatro dell'Elfo

Gli autori di Vorrei
Anita Pepe