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Cinema. Presentato nella sezione Orizzonti del Festival del Cinema di Venezia 2014, e osannato dal pubblico, l’ultimo film di Franco Maresco: tra l’ironico e l’amaro, un geniale ritratto dell’incompiutezza.

Un’inchiesta, un documentario, un metafilm, pensato, fatto partire, modificato in corso d’opera, un’opera incompiuta, un progetto mai terminato: così si presenta Belluscone, una storia siciliana, ultimo lavoro del regista palermitano Franco Maresco, autore di Cinico TV e molti altri film.

Un “progetto” ripercorso e portato alla luce dalla voce narrante e investigativa di Tatti Sanguineti, storico del cinema che, giunto a Palermo per cercare l’amico regista, latitante ormai da giorni, mette insieme i pezzi disgregati girati da Maresco e nel ricostruire la storia del fallimento di quello che avrebbe dovuto essere Belluscone, costruisce e insieme restituisce al pubblico il film stesso, geniale e straniante.

Nelle intenzioni dichiarate di Maresco Belluscone, una storia siciliana doveva essere un’inchiesta sulle origini dell’amore e del consenso dell’isola per Berlusconi. Dopo svariate interviste a giornalisti, boss mafiosi, magistrati e politici (di cui vediamo solo qualche spezzone, come l’intervista a Dell’Utri, il cui audio durante un passaggio importante dell’intervista si interrompe per un guasto tecnico – grottescamente vero), Maresco abbandona l’idea iniziale, scoraggiato dal trovarsi di fronte a un’impresa più difficile del previsto e alle insormontabili difficoltà su più fronti, da quello tecnico a quello finanziario a quello prettamente giuridico delle denunce. Ma nel frattempo, Maresco si imbatte in un pittoresco personaggio, Ciccio Mira, noto impresario delle feste di piazza dei quartieri siciliani e agente di molti cantanti neomelodici che spopolano in queste feste, tra cui Erik, autore di un brano intitolato Vorrei conoscere Berlusconi. A questo punto la storia delle radici del consenso siciliano si dipana intorno a questo mondo di cantanti che mette tutti d’accordo: ragazzine, giovani e meno giovani.

Dalle inquadrature in bianco e nero di Ciccio Mira, ai ritratti colorati del pubblico urlante di fronte ai loro idoli, cantanti neomelodici che non sanno neanche cos’è il neomelodico, con umorismo e ironia, graffiante sì, giudicante e moralista mai, il viaggio di Maresco prosegue tra il vecchio e il nuovo, tra il silenzio di parole impronunciabili e misconosciute, come “mafia”, e i messaggi in codice indirizzati a quella stessa mafia che i cantanti neomelodici leggono pubblicamente in piazza durante i loro concerti, tra i saluti delle emittenti televisive locali ai detenuti mafiosi chiamati “ospiti dello Stato”, e le interviste finali a giovani borghesi imbellettati in discoteca sui fatti del 23 maggio e 19 luglio, e all’assenza nelle loro risposte dei due importanti nomi legati a quei tragici giorni.

Ed è così che la storia fallimentare del progetto iniziale di Maresco, del suo personale fallimento, si intreccia a quella della parabola discendente di Berlusconi (le riprese partono nel 2011) e del personaggio Ciccio Mira (intercettato dai carabinieri e arrestato).

Il film finisce qui, incompiuto e abbandonato dal suo regista che decide di sparire.

Partono i titoli di coda e la sensazione che si ha è quella di essere parte di quel film, se non di quella precisa storia, parte di quel fallimento. Perché Belluscone non è l’ennesimo film su Berlusconi, non è un film politico o di denuncia, Belluscone è una fotografia antropologica di un Paese e del suo fallimento, della sua immobilità sfiancante. Delle speranze liofilizzate che si sciolgono nel caffè amaro del mattino a uso e consumo di una giornata, delle azioni insabbiate, delle battaglie di “don chisciottana” memoria, delle ineludibili sconfitte.

Figlio del suo tempo, di un tempo che è il nostro tempo, viene spontaneo chiedersi se questo film avrebbe potuto avere un finale diverso.

 

Regia: Franco Maresco
Sceneggiatura: Franco Maresco
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Franco Maresco
Soggetto: Franco Maresco