Cinema. Ferrara non racconta Pasolini, prova a realizzare Pasolini, restituire Pasolini, dare vita alle sue creature mai nate e insieme alle sue parole e al suo coraggioso viaggio nell'abisso.
Il film di Abel Ferrara è difficile e controverso. Ma a mio parere è un film davvero da vedere.
Sconta una cifra troppo americana nello stile, nella recitazione, nell'immagine dell'Italia. E una lentezza che a volte rende completamente irreali proprio le scene che vorrebbero essere (forse) più veriste. Ma la scelta felice di non raccontare una biografia ma come di far vivere nella loro pienezza le ultime ore di vita di Pasolini e provare a dare forma in particolare alle due opere cui lavorava proprio in quei giorni, la presenza assoluta delle sue parole, rende a mio parere giustizia al titolo.
Pasolini è lì. Con la sua straordinaria capacità di cogliere l'essenza di una società in trasformazione che è diventata la nostra. Una società che insegna a possedere e distruggere. La società di massa e dei consumi che consuma la semplicità della vita precedente, fatta di bisogni materiali, fatiche e sofferenze, ricca di differenze che vengono piano piano livellate dalla grande autostrada linguistica, culturale e consumistica della modernità. Tutti vogliamo le stesse cose perché ci educano a volerle. E questo libera forse alcuni dei nostri istinti più beluini sdoganandoli e giustificandoli, incanalandoli, usandone la forza, per trasformali in motore del consumo, alimentandone la drammatica distruttività e l'intrinseca violenza. Ferrara non racconta Pasolini, prova a realizzare Pasolini, restituire Pasolini, dare vita alle sue creature mai nate e insieme alle sue parole e al suo coraggioso viaggio nell'abisso. Un abisso in cui trovare i coraggio di guardare.